Per una Comunità autonoma della Schiavonia

Allego alla presente il testo del documento elaborato in seguito alla decisione della Giunta regionale di abolire le Comunità Montane, nominando, come primo atto in quella direzione, i Commissari.
Ritengo che la nostra Comunità, in quanto entità identitaria specifica, debba recuperare un proprio autonomo assetto istituzionale, già messo in forte discussione con la composizione territoriale della precedente Comunità. Su questo argomento è indispensabile aprire un dibattito che superi le posizioni preconcette e dia libero corso alla elaborazione, la più partecipata e condivisa possibile, di una soluzione in grado di soddisfare le esigenze di partecipazione democratica, autonomia istituzionale ed efficienza operativa necessarie per ridare vitalità anche ad una prassi politica ormai assolutamente asfittica.
Ferruccio clavora

Premessa

Lo sgretolamento della dittatura comunista sui Paesi dell’Europa centrale ed orientale, il conseguente allargamento verso oriente dell’Unione Europea, le reazioni contro i processi di omologazione culturale portati dalla globalizzazione, la rivitalizzazione delle spinte all’autogoverno da parte delle Nazioni senza Stato in atto in tutto il continente europeo, la progressiva affermazione degli ideali federalisti in Italia ed il conseguente rafforzamento delle autonomie locali, la legge costituzionale n° 3 del 2001 che attribuisce espressamente la titolarità, ancorché non esclusiva, dell’iniziativa di revisione statutaria al Consiglio regionale, offrono in sostanza l’opportunità di una rinegoziazione dei patti tra lo Stato italiano e le Regioni e nello specifico mettono i popoli del Friuli, per la prima volta dopo il 1420, nella condizione, istituzionalmente ineccepibile, di poter affermare la propria individualità e di ridefinire le condizioni dei rapporti federativi con la Repubblica italiana.

E’ proprio con l’entrata della Repubblica di Slovenia nell’Unione Europea che viene a cadere il principale elemento giustificativo della invenzione di una Regione artificiale come il Friuli-Venezia Giulia. Pagati i dazi con la Storia e liberati dalle contingenze internazionali che ne hanno determinato l’evoluzione, costringendoli in un ambito istituzionalmente innaturale, i popoli del Friuli possono ora, democraticamente e consensualmente, definire, affermare e realizzare le condizioni del loro autogoverno, inserendosi nel movimento globale di affermazione dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, nella prospettiva di una democrazia mondiale che garantisca i diritti individuali e quelli collettivi dei popoli.

Il federalismo è la concezione opposta a quello dello Stato burocratico, accentrato ed autoritario, sordo alle aspirazioni dei popoli. E’ la gerarchia rovesciata, è il potere reso subalterno.
Il federalismo realizza l’autogoverno a misura d’uomo, facendo partecipe della cosa pubblica il cittadino, non soltanto in occasione delle consultazioni elettorali ma, concretamente, inserendolo nel vivo dei problemi immediati e soprattutto mettendolo in grado di esercitare con efficacia il controllo sugli amministratori da lui stesso prescelti nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni.

Coerentemente con l’impegno assunto in sede di campagna elettorale, la maggioranza che governa il Friuli-Venezia Giulia ha avviato la procedura di cancellazione delle Comunità Montane dal sistema delle autonomie locali. A livello governativo, invece, è stato approvato un disegno di legge recante “disposizioni in materia di organi e funzioni degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell’ordinamento e carta delle autonomie locali.”

In questa fase del dibattito politico sul futuro del sistema delle autonomie locali a livello nazionale e locale è ancora possibile, per i cittadini, interloquire ed intervenire con proposte, suggerimenti o contestazioni. Fra qualche mese o settimana sarà troppo tardi e le decisioni prese caleranno dall’alto, definitive, senza possibilità di appello.

Per questo il Forum per la Slavia lancia questa iniziativa di sensibilizzazione e rivolge un appello a cittadini ed eletti, di tutti gli orizzonti culturali e politici, per l’apertura di un confronto la cui finalità è l’individuazione di una proposta, largamente condivisa, di alternativa possibile ad una strutturazione istituzionale obsoleta e che non risponde, comunque, alle esigenze di questo territorio e della sua Comunità.

L’ipotesi proposta rivendica un solo merito: quello di esistere. Inoltre, è storicamente fondata, giuridicamente sostenibile e compatibile con le più avanzate esperienze europee in materia. Infine, va oltre la mera conservazione di un decadente esistente e rilancia la grande tradizione di democrazia diretta che i nostri avi ci hanno consegnato e di cui dobbiamo andare orgogliosi.

Considerazioni introduttive

L’azione delle Comunità Montane a favore delle aree e delle popolazioni della Montagna, nell’arco di più decenni e con ingenti risorse consumate, non sembra aver determinato significative inversioni di tendenza nel processo di degrado di questa parte del territorio del Friuli: crollo demografico, degrado ambientale, emarginazione economica, isolamento sociale, ecc …

In queste settimane, alcune voci si sono levate a difesa, autoconservativa, di questi particolari Enti sovracomunali.
Sono mancate serie analisi autocritiche, riconoscimenti di errori commessi, dichiarazioni di impotenza. Soprattutto, fanno difetto proposte sostanzialmente innovative a giustificazione del mantenimento e del rilancio di quelli che potrebbero essere considerati veri e propri livelli di autogoverno delle comunità locali in una prospettiva di ampliamento degli spazi di democrazia diretta e di rinnovata responsabilizzazione dei cittadini nella gestione della cosa pubblica.

Non si tratta di colpevolizzare amministratori confrontati con situazioni obiettivamente molto difficili ed impegnati a salvare il non salvabile.

L’indispensabile cambiamento di rotta va piuttosto indirizzato al risveglio della coscienza della gente di montagna nella prospettiva di un ritorno “dell’immaginazione al potere”.
Si tratta, in effetti, di stimolare la fantasia creativa di chi non si rassegna al mantenimento di un’avvilente realtà, limitando le proprie ambizioni nel garantire, alle popolazioni interessate, un’eutanasia sociale e comunitaria la meno traumatica possibile.
E’ probabile che non mancheranno “progetti di sviluppo” o “convegni sulla montagna” e altre illusorie iniziative di anestesia sociale promosse dai soliti profeti del nulla.

Ma è proprio da questa logica di penoso trascinamento verso l’estinzione che bisogna uscire. Servono proposte che possono anche apparire provocatorie, ma non per questo irrealizzabili poiché già attuate in altri contesti.

Il punto di partenza e la rinuncia alla panacea risolutiva e la presa d’atto della grande diversità delle situazioni oggettive. La Montagna non può più essere considerata come un unicum indifferenziato.

Per andare nel concreto, il Forum per la Slavia offre all’attenzione del mondo politico locale, provinciale e regionale una proposta applicabile allo specifico delle Valli del Natisone.

Una considerazione discriminante:
i valori dell’autonomismo male si conciliano con le sue riduzioni folcloristiche.
Anzi, la valenza politico-istituzionale della storica capacità all’autogoverno delle genti della Schiavonia (Slavia Friulana), viene svilita dalle insignificanti manifestazioni commemorative che ogni anno sono riproposte a San Pietro al Natisone.
Ricordare stancamente importanti fasi della nostra storia senza dimostrare capacità di elaborazione di proposte di aggiornamento ed attualizzazione delle Istituzioni che le hanno caratterizzate - proprio in un momento di profonda revisione dell’architettura istituzionale dello Stato in un mutato contesto europeo - banalizza sia questa storia che le capacità del nostro popolo di scegliersi il proprio futuro.
Significa, in altri termini, affermare che quella storia non tornerà e che si preferisce lasciare ad altri la facoltà di decidere per noi in funzione di interessi altri.

Commemorare l’Arengo, senza cercare in quel passato le ragioni e la chiavi di un possibile ripristino della capacità di autogoverno di una Comunità che ha, segnate nella drammatica realtà della sua condizione generale, tutte le motivazioni per contestare i risultati della colonizzazione istituzionale, culturale ed economica della sua individualità. Non risvegliare le fondamenta etiche di un positivo orgoglio del proprio Essere, e farne strumenti motivazionali per l’avvio di un processo di riscatto, significa banalizzare il nostro passato e ridurre a folclore il nostro futuro.
Perde, quindi, di significato politico anche l’impegno assunto dal Grande Arengo della Slavia che il 29 giugno 2009 invitava “I decani e gli amministratori ad impegnarsi nella tutela del patrimonio linguistico, storico e culturale delle Valli del Natisone, e nel farsi promotori presso gli enti superiori per richiedere maggiore autonomia decisionale e maggiori finanziamenti per poter dare al nostro territorio una nuova spinta per il rilancio culturale, economico e turistico.”

E’, invece, nella rivisitazione ed ammodernamento concettuale di quella storica struttura che può essere individuato un nuovo sistema di autonomia locale per una comunità culturalmente ed etnicamente diversa e distinta dal resto del Friuli ed area di transizione tra lo stesso Friuli ed il confinante mondo sloveno.
Superate le battaglie ideologiche degli opposti nazionalismi, una nuova autonomia istituzionale della Schiavonia può sia restituire dignità politica alla comunità che contribuire a risolvere situazioni amministrative ancora difficilmente sostenibili: riducendo i costi e migliorando i servizi alla popolazione.

Cosa sono questi ultimi centocinquant’anni di dipendenza franco-austro-italiana se confrontati con i precedenti secoli di gestione autonoma del proprio destino ?

Storia

Per fondare storicamente e giuridicamente la rivendicazione di una nuova stagione autonomista per la Slavia Friulana non si può prescindere dalla straordinaria epopea di autogoverno della stessa, ampiamente documentata da Carlo Podrecca nella sua Slavia Italiana del 1884.
Opera da leggere, rileggere e costantemente meditare; da diffondere, in particolare tra le giovani generazioni combattute tra incerte identità e falsi sensi di appartenenza.

E’ lo stesso Podrecca ad indicare che
“La Schiavonia, isolata per monti e torrenti dai contermini Stati, ab immemorabili faceva una specie di Stato a sé” e che veniva considerata sia dal Patriarcato di Aquileia (dal 3 aprile 1077 - con l’investitura feudale - al 1420) che dalla Repubblica di Venezia (da 1420 al 1751) “una nazione diversa e separata dal Friuli”.
In realtà, il primo documento che fa specificamente riferimento ad un trattamento differenziato “delle Convalli di Antro e Merso della Schiavonia” risulta essere una “Ducale” della Serenissima Repubblica di Venezia del 26 settembre 1492.

Continua Podrecca:
“Dai suddetti documenti emerge che il popolo della Schiavonia aveva saputo crearsi un governo proprio, democratico e parlamentare, che deliberava nei suoi Arrenghi intorno a tutti gli interessi amministrativi, economici, politici e giudiziari della regione, che fino all’ultimo diede saggio di forte organamento, di sapienza civile e che è degno di figurare nella storia gloriosa dei Comuni Italiani.”
Una “storia gloriosa” che si conclude con la fine della Repubblica veneta e non viene riproposta dai successivi dominatori di queste terre e di queste popolazioni: dalla Casa d’Asburgo a Napoleone, dal Regno d’Italia alla Repubblica “nata dalla Resistenza”.

Forte della concreta dimostrazione, da parte del popolo della Schiavonia, della sua straordinaria capacità di esercitare un vero e proprio diritto di autodeterminazione, in un contesto politico-istituzionale non certo semplice, il Forum per la Slavia promuove questa riflessione sulle possibili conseguenze politiche, giuridiche ed istituzionali di un diretto riferimento allo statuto di autonomia istituzionale in capo alla Schiavonia stessa nel contesto statuale del Patriarcato di Aquileia e della Repubblica Veneta. Quale rafforzativo della concretezza e della fattibilità di una tale innovazione istituzionale, il Forum per la Slavia ha, inoltre, condotto una ricerca su eventuali modelli, attualmente in vigore, di statuti di autonomia speciale per piccole comunità etnico-linguistiche minoritarie nel contesto europeo.

Diritto

A. Il diritto dei popoli all’autodeterminazione.

La questione del riconoscimento dei diritti dei popoli non è nuova, anche se negli ultimi decenni ha assunto maggiore pregnanza e trovato diversi e più ampi ambiti di applicazione.
Uno dei pronunciamenti più significativi in proposito è stato l’intervento di Sua Santità Paolo Giovanni II alla cinquantesima Assemblea generale delle Nazioni Unite del 5 ottobre 1995, in occasione delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
“Presupposto degli altri diritti di una nazione è certamente il suo diritto all’esistenza: nessuno, dunque - né uno Stato, né un’altra nazione, né un’organizzazione internazionale - è mai legittimato a ritenere che una singola nazione non sia degna di esistere.
Questo fondamentale diritto all’esistenza non necessariamente esige una sovranità statuale, …. Possono esserci circostanze storiche in cui aggregazioni diverse dalla singola sovranità statuale possono risultare persino consigliabili, ma a patto che ciò avvenga in un clima di vera libertà, garantita dall’esercizio dell’autodeterminazione dei popoli.
Il diritto all’esistenza implica naturalmente, per ogni nazione, anche il diritto alla propria lingua e cultura., mediante le quali un popolo esprime e promuove quella che direi la sia originaria “sovranità” spirituale.
La storia dimostra che in circostanze estreme (come quelle che si sono viste nelle terre in cui sono nato) è proprio la sua stessa cultura che permette ad una nazione di sopravvivere alla perita della propria indipendenza politica ed economica.
Ogni nazione ha conseguentemente anche il diritto di modellare la propria vita secondo le proipeie tradizioni, … “
Avviandosi a concludere il suo intervento il Santo Padre ricordava ancora, ribadendone l’importanza, “l’ideale additato dalla Carta delle Nazioni Unite, quando pone a fondamento dell’Organizzazione il “principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri (art. 2.1) o quando la impegna a “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli, fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione.” (art. 1.2)

Dopo il terremoto del 1976, nel dibattito sui termini ed i significati etici della ricostruzione, l’Arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, aveva già messo in evidenza che:
“Quando ad un popolo si impongono organizzazioni o strutture che gli sono estranee diventa un popolo colonizzato, alienato, schiavo.
Quando può esprimersi in base a ciò che esso è, alla sua esperienza storica e si dà una ricostruzione conforme alla sua cultura, allora abbiamo un popolo libero.”

In concreto, per quanto riguarda la Repubblica italiana ci si limita ad indicare come il diritto dei popoli all’autodeterminazione viene riconosciuto dal “Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali” entrato a fare parte del diritto interno della Repubblica italiana con la legge 25 ottobre 1977, n° 881.

Il Preambolo del Patto recita che:
“- in conformità ai principi enunciati nello Statuto delle Nazioni Unite, il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

- riconosciuto che questi diritti derivano dalla dignità inerente alla persona umana;

- riconosciuto che, in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, l'ideale dell'essere umano libero, che goda della libertà dal timore e dalla miseria, può essere conseguito soltanto se vengono create condizioni le quali permettano ad ognuno di godere dei propri diritti economici, sociali e culturali, nonché dei propri diritti civili e politici;

- considerato che lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati l'obbligo di promuovere il rispetto e l'osservanza universale dei diritti e delle libertà dell'uomo.”

L’articolo 1 della Parte prima del Patto recita inoltre:
- tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

B. La Costituzione.

E’ evidente che nello specifico trattasi di rivendicare il diritto ad esercitare una “autodeterminazione interna” intesa come la più ampia autonomia istituzionale possibile, anche in applicazione dell’articolo 6 della Costituzione repubblicana che recita:
“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.”

In questa sede si sostiene che il dibattito sui diritti delle comunità linguistiche alloglotte d’Italia si è, quasi sempre ed erroneamente, limitato alla mera sfera della tutela culturale e linguistica, tralasciando un elemento essenziale della stessa che è quello della sopravvivenza fisica di queste comunità, per lo più, in rapido esaurimento demografico mentre le “apposite norme” vanno considerate anche nella loro valenza sociale, economica ed istituzionale.

La particolare “minoranza linguistica” delle Valli del Natisone, identificata come Schiavonia Veneta o Slavia Friulana è storicamente ed istituzionalmente oltre che culturalmente e linguisticamente identificabile e può legittimamente pretendere di essere messa nelle condizioni di dotarsi di istituzioni autonome che le garantiscano le condizioni di un riscatto identitario, culturale e linguistico, sociale ed economico.
Va liberata dai pesanti condizionamenti che limitano l’esercizio della sua piena sovranità.
Solo suoi rappresentanti democraticamente eletti possono garantire una progettazione ed una gestione del proprio sviluppo, autenticamente ed esclusivamente legata agli interessi del popolo.
Solo in questo senso, rinverdire i fasti della democrazia diretta delle Banche di Antro e di Merso e dell’Arengo diventa l’ anticipazione di una nuova fase della vita democratica della Slavia e non la folcloristica commemorazione di un passato che non si vuole fare tornare proprio perché andrebbe a cozzare contro il potere - più o meno occulti - esercitato da soggetti mai sottoposti a verifica democratica, a scapito degli interessi reali dei cittadini.

Questa strategia della democratizzazione e della trasparenza dei giochi politici reali in atto nella Slavia, potrebbe avere effetti dirompenti sul penoso sostanziale status quo nel quale si dibatte la politica locale e toglierà le complesse problematiche che hanno condizionato, ed oggi ancora condizionano, i destini della Comunità dalle oscure pastoie “della delicata situazione del confine orientale”.
Si tratta di, finalmente, inserire questa questione nel più ampio movimento europeo e mondiale dei popoli che, in quanto tali, lottano per la riconquista di una loro dignità, e quindi di trasformare le corporative richieste di tutela linguistica e culturale in rivendicazioni politiche relative all’esercizio del diritto all’autodeterminazione.

Il contesto europeo

Anche grazie al suo collegamento con strutture scientifiche e politiche del più avanzato autonomismo europeo, il Forum per la Slavia ha individuato nella Valle d’Aran, “comarca” della Catalogna, una possibile istituzione di riferimento sia per similitudine di condizioni linguistiche (una lingua autoctona, quella locale, tra due lingue standard) che per numero di Comuni interessati (nove) ed ampiezza demografica della comunità (circa 9.000 abitanti).

La Val d’Aran è stata istituita in “regime speciale” con la legge n. 16 del 13 luglio 1990, in applicazione dello Statuto di autonomia della “Generalidad” della Catalogna.

Per mettere questa esperienza a disposizione delle locali autorità , già nel novembre 2008, nell’ambito dell’utilizzo dei finanziamenti regionali di cui all’articolo 22 della L.R. 26 del 2007, il Forum per la Slavia inoltrò domanda di contributo alla Comunità Montana Valli del Torre, Natisone e Collio per l’organizzazione di un convegno sull’argomento, con particolare riferimento allo specifico aspetto linguistico. La proposta non ebbe, purtroppo, seguito.

Prospettive

Ora, tenendo conto della stringente attualità del tema istituzionale - con l’avvio del processo di abolizione delle Comunità Montane - e prendendo atto dell’assenza di proposte alternative per quanto riguarda la storica comunità della Slavia Friulana, il Forum per la Slavia ritiene necessario proporre all’attenzione dell’opinione pubblica, delle forze politiche e delle amministrazioni locali, provinciali e regionali una possibile alternativa alla definitiva cancellazione istituzionale della nostra Comunità in quanto tale e quindi la sua fine in quanto “formazione sociale” della Repubblica.

In estrema sintesi e con la massima disponibilità ad accogliere suggerimenti migliorativi, quale stimolo all’apertura di un confronto democratico, si suggerisce che l’autonomia della Comunità Autonoma della Schiavonia venga riconosciuta nel nuovo Statuto della Regione Autonoma del Friuli-Venezia Giulia e che il suo esercizio venga articolato in vari livelli istituzionali eletti direttamente dai cittadini sul modello storicamente sperimentato: Arengo, Vicinia, ecc … .
Con legge regionale e d’intensa con le rappresentanze politiche democraticamente elette della Comunità - tenendo anche conto anche del dettame costituzionale relativo alle “apposite norme” di tutela delle minoranze linguistiche - verranno poi definite le competenze della Comunità e le norme per il suo finanziamento.
L’organo esecutivo della Comunità sarà l’interlocutore della Provincia di Udine, della Regione Friuli-Venezia Giulia e degli organi centrali dello Stato nella definizione di tutte le questioni relative alla programmazione ed alla gestione dello sviluppo del proprio territorio nonché di quelle inerenti al rafforzamento della sua specifica identità culturale e dell’uso - anche pubblico - della propria lingua.

In attesa della definizione precisa di queste competenze e dell’approvazione dello Statuto della Comunità, la gestione dei compiti attualmente spettanti ai Comuni ed alla Comunità Montana oltre che dei fondi derivanti dalle Leggi 482/1999 e 38/2001 statali e 26/2007 regionale venga affidata, con Decreto del Presidente della Giunta, ad un “Consiglio speciale provvisorio” costituito dai Sindaci dei sette Comuni delle Valli del Natisone.
Con lo stesso Decreto venga nominato un “Comitato speciale per la scrittura dello Statuto della Comunità Autonoma della Schiavonia”, composto da personalità del mondo culturale, sociale ed economico della comunità e da rappresentanti del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia.
La proposta di Statuto verrà sottoposta all’approvazione dei cittadini tramite apposito referendum.

Memori delle Istituzioni e della capacità di autogoverno dimostrata dai nostri antenati, si ritiene che questa proposta possa rappresentare un modello innovativo, giuridicamente fondato, in proiezione europea, radicato nello storico comune sentire della comunità ed in grado di rinnovare la fiducia dei cittadini nei processi di partecipazione democratica.

Parallelamente all’approfondimento del tema politico-istituzionale, va compiuta una seria analisi delle condizioni che hanno impedito il concretizzarsi di una fase di sviluppo economico e sociale della Slavia, tenendo conto del nuovo clima politico che si era instaurato dopo la ratifica del Trattato di Osimo tra Italia e Yugoslavia del 1975 ed i terremoti del maggio e del settembre 1976 ed i conseguenti ingenti investimenti operati in loco, in particolare per la costituzione di alcune società a “capitale misto”.

Considerazioni conclusive.

La virulenza del dibattito sviluppatosi in questi ultimi mesi sul sistema delle autonomie locali, il rinvigorirsi dell’intensità delle polemiche sui rapporti complessivi tra il Nord ed il Sud del Paese e soprattutto il basso livello delle argomentazioni proposte a sostegno delle contrapposte posizioni denota una scarsa conoscenza sia delle condizioni storiche che determinarono l’unificazione degli Stati preesistenti al Regno che dei contenuti del complesso dibattito che precedette la formazione di uno Stato - quello italiano - fortemente centralizzato e che non lasciava spazio alla libera manifestazione delle notevoli diversità cultural-linguistiche e tradizioni amministrative che caratterizzavano la Penisola alla vigilia di un elitario Risorgimento.
In effetti, la soluzione che ha prevalso è più il risultato di una casuale contingenza politico-militare per interessi di parte e vertisticicamente imposta che di un processo democratico veramente partecipato.

Prendere atto che “fatta l’Italia”, non sono - ancora - stati “fatti gli italiani” e considerare fallita l’ipotesi programmatica di Massimo D’Azeglio, ” non significa negare le potenzialità reali di una organizzazione statale unica della penisola italica oppure operare per la destrutturazione della “Nazione italiana”.
Proprio in ragione del mancato processo di sostanziale integrazione delle diversità culturali ed autonomie municipalistiche che caratterizzavano la Penisola, in una condivisa prospettiva “nazionale”, si impone la rivisitazione e rivalutazione delle perplessità, preoccupazioni e contrarietà dei vari Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo alla modulazione di una monarchia più sabauda che italiana, centralistica e poco interessata ai complessi processi di una vera costruzione nazionale.
Solo prendendo atto di questa situazione si potrà avviare un’azione di consolidamento - su altre basi istituzionali - della traballante comunione di interessi e valori che fa di una comunità umana una Nazione.
Considerare fallita l’unificazione calata dall’alto su città, stati, municipalità, ecc... molto diversi l’uno dagli altri - per storia, lingue e culture, modelli istituzionali, tradizioni democratiche, modi di fare, ecc… - da una lontana e rigida burocrazia statale può essere uno stimolo per riprendere, dal basso, la definizione condivisa di obiettivi di sviluppo della comunità statale in un processo di riconoscimento e valorizzazione delle diversità da considerare come valori e strumenti di aggregazione e non ragioni di divisione e sensi di separatezza.

Non vi è, quindi, niente di forzato e scandaloso nel voler cogliere le opportunità offerte da questa stagione di riforme istituzionali in un contesto di ridefinizione dei rapporti planetari tra “risorgimenti locali” - che vanno ricondotti alle logiche costruttive della sussidiarietà e della partecipazione democratica - e processi globalizzanti.

Il mondo d’oggi vive, in effetti, un paradosso del quale bisogna tenere conto nel tentativo di dare risposte concrete, credibili, durature e democratiche alle tendenze disgregatrici che si manifestano all’interno delle varie forme di organizzazione statale: la crescente globalizzazione della finanza, dell’economia e delle comunicazioni si accompagna e fa da contraltare alla radicalizzazione di una molteplicità crescente di differenziazioni culturali che si manifestano prepotentemente sulla scena mondiale sotto la forma di precise rivendicazioni autonomistico-indipendentistiche di queste nuove identità individuali e collettive.
Questo mondo in frammenti pone in discussione molte delle categorie concettuali - paese, stato, nazione, popolo - che sono state considerate pietre miliari dell’ordine politico mondiale e della sua sostanziale stabilità.
La stessa teoria politica che su di esse si fonda, in particolare la sua pretesa universalistica, appare sempre più inadeguata a cogliere il senso profondo della rivoluzione dal basso che sta scuotendo la nostra società all’inizio di questo nuovo millennio.

E’ evidente che il riconoscimento istituzionale dell’autonomia della Schiavonia andrebbe inserito in un nuovo assetto istituzionale del Friuli e dell’Europa, mentre viene avviato il processo di federalizzazione della Repubblica.
Si tratta, quindi, di spronare anche le altre componenti del Friuli ad operare per fare della Patrie comune un sistema territoriale attrattivo ad alta qualità di vita, con elevato sviluppo e forte coesione sociale.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario risvegliare le risorse assopite del Friuli, le caratteristiche peculiari delle sue popolazioni, e superare quella mancanza di fiducia nel futuro che determina una incapacità di crescere dal punto di vita economico e sociale.

In questa prospettiva e con questo intendimento, opportuno sarebbe ripartire, aggiornandola, dalla rivendicazione espressa dal movimento autonomista friulano che, nel 1947, con Tiziano Tessitori, raccomandava “una Regione friulana e di amministrazione friulana”, obiettivo sostanzialmente diverso da un semplice decentramento amministrativo che lascerebbe, comunque, il Friuli succube delle logiche centralistiche ora in atto, a discapito degli interessi vitali dei popoli della “Patrie”.

Il percorso delle Nazioni senza Stato d’Europa dimostra che - senza implicazioni di carattere internazionale - il raggiungimento di uno statuto di autonomia, per un popolo non dominante nell’ambito di uno Stato, esige il superamento della vaga consapevolezza di una identità distinta dalla maggioranza dei concittadini e la maturazione di una chiara coscienza di appartenenza nazionale. Fiamminghi, catalani, scozzesi, ecc… hanno trovato in questo salto di qualità identitario la forza e le argomentazioni per rivendicare ed ottenere il riconoscimento del loro diritto all’autodeterminazione.

Il modello di Europa tecnocratica e mercantile proposto dagli Stati centralisti è stato bocciato dai popoli. Tutte le comunità autoctone del Friuli devono assumere la consapevolezza che la loro battaglia, se vuole portare a risultati non effimeri, si colloca anche a quel livello e che, di conseguenza, devono impegnarsi anche per il futuro del continente e della sua strutturazione istituzionale: le condizioni per la pace e la prosperità delle sue genti, che esprimono concreta solidarietà per le nazioni che versano in condizioni di povertà, stanno nella libera organizzazione dei popoli in Istituzioni autonome e democratiche che garantiscano, a tutti i cittadini, il pieno godimento dei diritti universali dell’Uomo.
I valori sui quali costruire l’Europa dei popoli che risponda alla sua ispirazione originale e si prepari ai cambiamenti epocali che caratterizzano l’attuale momento storico sono: dignità dell’uomo, libertà, eguaglianza, solidarietà, democrazia, Stato di diritto.

La ricerca dei popoli del Friuli di una loro autonomia istituzionale, memori delle esperienze del passato, esige, pena l’ennesimo - e probabilmente definitivo – fallimento, uno salto di qualità nella sostanza delle rivendicazioni.
Cogliendo l’opportunità offerta dalle trasformazioni in atto negli assetti istituzionali statali e comunitari ed incamminandosi sulla via tracciata da altre nazioni d’Europa, i popoli del Friuli devono concordare i contenuti delle rivendicazioni per fare inserire nel nuovo Statuto di Autonomia della Regione, la previsione di norme che contemplino, inequivocabilmente, il loro inalienabile diritto all’autogoverno.

E’ in questo contesto - friulano, italiano ed europeo - che prende avvio il Risorgimento della Comunità Autonoma della Schiavonia.

Valli del Natisone, settembre 2009
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