S. Pietro e la Valle del Natisone

descritti da Giovanni Trinco nella "Guida delle Prealpi Giulia" di Olinto Marinelli

Da Cividale a S. Pietro.

Per una escursione nel distretto di S. Pietro dalla parte italiana, il punto naturale di partenza è Cividale.
Il servizio di trasporto regolare si fa due volte al giorno dalle diligenze postali, una per S. Pietro-Pulfero, un’altra per S. Leonardo-Clodig ed una terza per Savogna.

Sanguarzo (Sanuàrz, m. 147).

Uscendo da Cividale dalla porta S. Giovanni e seguendo la via nazionale si arriva, dopo circa 2,5 km. di strada alla borgatella di Sanguarzo (Sanuàrz, m. 147).
A sinistra si eleva l’arido Monte dei Bovi, alle cui falde sorgeva il castello di Gusbergo.
Su uno sprone dei colli che sono sull’opposto lato della valle, sono visibili, anche da lontano, le
Rovine del castello di Gronumbergo
Rovine del castello di Gronumbergo
rovine di un altro castello, quello di Gronumbergo (Grunberg, m.234). Presso S. Guarzo, la collina ai cui piedi sono le case di Soravilla, presenta allo scoperto una interessante successione di strati eocenici, ben distinguibili uno dall’ altro perché messi in diverso rilievo dal disfacimento meteorico, data la diversa loro resistenza.
Sono calcari, marne, arenarie e conglomerati in strati regolarmente pendenti verso SO.
Nei conglomerati si raccolgono abbastanza abbondanti fossili, in parte in posto (nummuliti e altri fossili eocenici), in parte rimaneggiati (rudiste e altri fossili cretacei).

S. Quirino

Percorsi altri 2 km. da S. Guarzo si giunge al ponte S. Quirino dove si entra nel distretto di S. Pietro al Natisone.
Poche case, in prevalenza osterie e botteghe di piccoli industriali, stanno aggruppate di qua e di là del ponte.
Il ponte si crede opera romana, ma è fatto evidentemente in due epoche.
Sotto il suo unico arco scorre profondamente (il ponte è alto m. 19 sul fiume) incassato fra due pareti nel suo angusto ma pittoresco letto, il Natisone.
Qui è il punto di divisione fra gli Sloveni ed i Friulani.

Appena oltrepassato il ponte, la strada si divide in due.
Un ramo continua diritto e si suddivide poi ancora; l’ altro, più importante, che conserva il carattere di strada nazionale, piega bruscamente a sinistra e percorre la valle seguendo più o meno da vicino il Natisone.
Per ciò che riguarda il movimento turistico, tanto questa, che le altre strade carrozzabili della Slavia godevano buona fama fino a questi ultimi tempi; ma ora il continuo passaggio di carri, conducenti carichi pesantissimi di marna (così detta “ponca”) per la fabbrica di cementi a Cividale, le guasta notevolmente e rende malagevole sopratutto il tronco Cividale-Pulfero.

Il castello di Gronumbergo

Prima di seguitare oltre per la valle del Natisone, può interessare una breve deviazione onde raggiungere (quasi ¾ d'ora) le rovine del castello di Gronumbergo, dalle quali si gode una bellissinia vista sulla vallata del Natisone e dell' Aborna e verso Cividale.
Dalla piazzetta del tiglio, a destra un viottolo scende alletto dell’Azzida - che si passa su di un ponticello pedonale - e risale quindi alle case Sottocastello (m. 135).
Di lì una ripida e sassosa mulattiera conduce direttamente al castello (m. 234).
Di questo son conservate le quattro mura esterne, con poche finestre.
Sopra la porta di ingresso si osservano due rozze scolture, malamente raffiguranti due faccie umane.
Il castello esisteva già nel secolo XII; nel 1276 vi abitavano i Portis di Cividale; fu rifabbricato in gran parte da essi nel 1304 e totalmente verso il 1380.
Nel 1441 il comune di Cividale fece costruire « unum rastrum fra il castello ed il fiume, per impedire il passo ai mercanti che dovevano pagare il dazio al “Gavo” lungo la via che era, come oggi, sulla destra del Natisone.
Nel 400 il castello era passato ai Formentini-Cusano che lo rimodernarono e ne tennero la possessione finchè (1775) la famiglia si estinse.

Ritornando al ponte S. Quirino (½ ora dal castello), proseguiamo per S. Pietro; sono ancora 2 km. di strada o poco più (da Cividale a S. Pietro in tutto 13,5).
Entriamo nella valle del Natisone propriamente detta.
Essa è veramente bella e fertile.
Il fiume, che la percorre, le dona un aspetto pittoresco e variato, specialmente in quel tratto di letto profondo, che le acque si scavarono nei grossi strati di puddinga calcarea, formanti il fondo di tutta la vallata.
Di qua e di là del fiume, sul primo inoltrarsi si protendono le ubertose campagne di Vernasso di S. Pietro e di Azzida, ben coltivate ed arricchite di gelsi e di viti.
La valle, in questo punto molto aperta, è fiancheggiata da poggi e colline vestiti di ricca vegetazione con abbondanza di alberi fruttiferi e non fruttiferi.
Le alture alla destra di chi si inoltra, più amene e rotondeggianti, appartengono alle estreme propaggini del Matajùr , che ergendosi maestoso sullo sfondo, signoreggia la regione e viene, giù degradando lentamente fino a fondersi col piano presso Azzida.
A sinistra attorno alla insenatura di Vernasso, su ergono i monti dei Bovi (m. 374) e Mladessiena (m. 727) i quali rappresentano le parti più esterne del lungo dosso che con le alture di Craguenza m. 912) si riattacca all’ altipiano del Juanes (m. 1168) e del Lubia (m. 1124).

S. Pietro al Natisone

Ufficio postale e telegraflco.
Posto telefonico pubblico.
Medico e Farmacia.
Veterinario consorniale.
Stazione dei Carabinieri.
Esattoria consorziale.
Notaio.
Scuole normali femminili con annesso Convitto.
Società di tiro a segno.
Orto forestale.
Trattorie Strazzolini “Al bel vedere”, con alloggio (6 letti); Mazzolini “Al Risorgimento", con alloggio (9 letti)
Osterie: Dal Masson e Zamparutti tutte con alloggio.
Caffè: uno, unito alla trattoria “Al Risorgimento”
Noleggio di cavalli: Bevilacqua Antonio, Blasutig Giuseppe, Novelli Fortunato, Strazzolini Luigi, Cernoja Pietro.

Il comune di S. Pietro al Natisone ha una superficie di kmq. 23,59, con 3234,ahitanti (cens. 1901), divisi nelle trazioni di S. Pietro (476), Azzida (con Azzida e parte di Ponte S. Quirino, 696), Vernasso (con Vernasso, altra parte di Ponte S. Quirino, Oculis, e coi casali Bùndig, Macorins e Bicùgnach, 542), Ponteàcco (con Ponteacco, Tiglio e Mezzana, 405), Sorzento (con Sorzento, Bècis e Biarzo, 252), Clènia (con Clenia, Corèda, Tarpezzo, Altovizza e Cocevaro, 314), Vernassino (con Vernassino Sottovernassino, Puòie, Costa, Pòder e Cedron, 549).

La situazione del comune è delle più felici; il territorio, assai fertile, produce granoturco, frumento, fagiuoli, patate, vino, castagne ed altre frutta e fieno.
Si esportano specialmente questi ultimi quattro generi.
L’ allevamento del bestiame è discreto.
Si coltiva con buon profitto il baco da seta, ma non in grande quantità.
Esistono nel comune due buoni mulini a cilindri (Gubana a S. Pietro e Pussini ad Azzida) ciascuno con una decina di operai; di più una fornace da calce ed una da laterizi, ambe di Piccoli Luigi di Vernasso, nonchè una cava di marna (a Ponteacco) ed una di pietra piasentina (ad Azzida). Gli emigranti del comune (mu ratori e braccianti) ascendo,ìo a circa 500 (fra cui 50 donne e 70 ragazzi) e si recano un po’ in Germania ed Austria, un po’ negli Stati Uniti d’ America.

S. Petrus Sclaborum

S. Pietro al Natisone (Spìetar), capoluogo del comune, fino al 1867 si chiamò S. Pietro degli Slavi (S. Petrus Sclaborum nei documenti latini, S. Pieri dai Sclàs o dai Sclavòns in fr.).
Oltre che del comune, è capoluogo, del distretto, ma gli uffici distrettuali si trovano a Cividale.
E' in pari tempo sede della parrocchia, la quale è una delle più vaste della diocesi, avendo 17 filiali, o cappellanie, sparse nei comuni di S. Pietro, Tarcetta, Rodda e Savogna, con circa 10000 anime in cifra tonda. E' retta da un vicario curato dipendente dal capitolo dì Cividale, coadiuvato da un cappellano parrocchiale e da iuta dozzina di cappellani residenti nelle filiali più importanti.

S. Pietro (m. 173), è in bella posizione nello spazio piano ed aperto fra il monticello Robje e il Natisone.
Il suo panorama si presenta assai bene a chi lo considera dalla riva destra del fiume.
Le case sono divise in due gruppi ed allineate di qua e di là della strada nazionale, con un po' di diramazione nella parte superiore.
Molte spiccano per il loro aspetto civile.
La bella sede del municipio, ove sono anche le scuole comunali, è di recente costruzione.
Le scuole normali ed il relativo convitto si trovano nei locali Cucavaz, opportunamente addattati ed ampliati.

Presso alle normali sopra un ripiano, a cui si accede dalla strada per una gradinata, giace la vecchia chiesa parrocchiale.
Non si sa a che anno risalga la sua prima origine.

Fu fatta in più riprese.
La parte più antica è il presbiterio, che conserva nelle sue linee il carattere gotico e risale probabilmente al secolo XV.
In origine ci deve essere stata una sola navata, ma poi se ne formarono tre, piuttosto irregolari.
La chiesa è bassa e a travatura scoperta.
E fornita d’ organo, che si dice opera del Nachini, ma lo è più probabilmente d’un qualche suo allievo.
Un atrio aperto protegge l’ ingresso della chiesa. Ha quattro altari. Merita considerazione il maggiore, specialmente per il tabernacolo bellamente intagliato ed intarsiato.
C’ è anche qualche rozza scultura del 500.
Esternamente appoggiata al muro si vede una pietra sepolcrale con iscrizione all’ ingiro, che pel guasto non è facile decifrare.

Come si ignorano le primi origini del paese, così non si sa quando sia sorta la parrocchia.
Il documento più antico che ne fa espressa menzione, è una bolla di Celestino III del 1192.
L’ archivio parrocchiale conserva la collezione completa dei registri battesimali dal 1612 in poi ed una piccola raccolta di pergamene, delle quali le più antiche rimontano al secolo XIV.

Si dice che un tempo l’ archivio fosse stato distrutto dal fuoco, ma non è certo.

La chiesa di S. Quirino

La parrocchiale è sempre ricordata come “Ecclesia S. Petri “, però c'è un’ altra chiesa fòrse più antica, citata dai documenti come Eccl. S. Quirini delAlgida (Azzida).
Essa esiste ancora perfettamente nelle vicinanze del mulino Gubana.
Mulino Gubana e chiesetta di San Quirino col Matajur nello sfondo
Mulino Gubana e chiesetta di San Quirino col Matajur nello sfondo
È gotica, ma ha qualche finestra intrusa che sarebbe bene rimettere in istile, come s’è già fatto con una. Anch’ essa è fornita d’ un atrio aperto. La seguente iscrizione, scolpita in eleganti caratteri gotici sopra una lapide nel muro esterno del presbiterio, indica l’anno della sua costruzione:

Anno Domi(ni)1493 Ma(iste)r Marti(n) piri(ch)

I caratteri sono simili e contemporanei a quelli delle iscrizioni sulle chiese di S. Giovanni d’Antro, di Brischis e di Merso di sotto.
La piccola chiesa si alza sul ciglio del Natisone.
Qualcuno la dice fondata sulle rovine d’ un tempio di Diana, ma è pura supposizione.
Una chiesetta anteriore a questa vi doveva essere, giacché molte considerazioni inducono a credere che lì fosse il centro sacro più antico della Slavia friulana.
San Quirino, secondo l’ universale costume slavo, era circondato dai sacri tigli.
All’ ombra di essi teneva le sue sedute annuali l’ Arrengo delle Banche d’ Antro e di Merso, ossia il consiglio generale, o piccolo Parlamento, che curava gl’ interessi delle valli slave, come dirò più avanti.
La chiesetta, dai tempi napoleonici in poi, subì varie vicende, passando da chiesa a fenile da fenile a lazzaretto ecc., finché per una illuminata iniziativa dei paesani, con a capo la famiglia Strazzolini, non riacquistò il carattere primitivo, come era desiderabile, attesa la sua importanza storica.

E' da notarsi che la campagna circostante si chiama “Sedla” (da “sedlo”, luogo abitato, villaggio), il che farebbe supporre che il paese fosse anticamente condensato intorno alla chiesetta, oggi quasi solitaria.
Comunque stieno le origini e l’ ubicazione del paese slavo, è certo che la località fu abitata da tempi molto remoti.

Difatti nelle immediate vicinanze di S. Quirino furono scoperte pochi anni fa tombe romane e preromane, con vari oggetti, che furono trasportati nel museo di Cividale e che hanno molte analogie con quelli scoperti nella grande necropoli di S. Lucia presso Tolmino (1).

Si aggiunga inoltre che sui due vicini colli Robje (luogo sassoso) e Dobje (querceto) si trovarono tracce di abitati romani, con una piccola moneta d’oro bizantina sul primo, e con un’ altra della famiglia romana Mecilia sul secondo. Sul Robje (m. 801) esistette un castello, corrispondente a quello d’ Antro da una parte e a quello di Purgessimo dall’ altra.

Si deve notare infine, che data l’ amenità e la salubrità del luogo, S. Pietro è molto adatto per villeggiare.
Il desideratissimo prolungamento della ferrovia da Cividale per Canale, con stazione sul terrazzo di Azzida, faciliterebbe il movimento dei forestieri e darebbe impulso all’ iniziativa dei paesani.

La “sagra” di S. Pietro che cade ai 29 di giugno, è conosciuta come una delle più attraenti, ed infatti attira da ogni parte una grandissima folla di forestieri, desiderosi di divertirsi e di gustare sul luogo la squisita gubana (gubànza). specialità di questi paesi e di inaffiarla col così detto vino ‘ cividino ‘, altra non meno gustosa specialità.

Passeggiata a Vernasso.

Vernasso e dietro San Pietro al Natisone
Vernasso e dietro San Pietro al Natisone
Le frazioni del comune di S. Pietro si trovano disperse un po’ nella valle del Natisone, un po’ in quella dell’ Aborna.
Vi appartiene in parte anche il gruppo di case al ponte S. Quirino.
Venendo su da questo paesello, prima di giungere alla chiesetta dello stesso nome, sopra mentovata, si stacca dalla. strada nazionale un piccolo tronco di via, che in pochi minuti conduce a Vernasso (Dolénji Barnàs, fr. Vernàss, m. 163). Un magnifico ponte di pietra ad un arco, costruito nella seconda metà del secolo scorso, unisce le due rive del Natisone.
Il paese, che consta di più aggruppamenti di case, è bellamente situato in una larga e fertile conca sotto il monte Mladessiena.
Ha parecchie belle e comode case; tre osterie (Cedarmaz, Struchil Ant. e Struchil Gius.); una chiesa fornita d’organo e recentemente decorata dal pittore Toso di Udine.
Vi risiede un cappellano.
Vi si conserva una croce rocessionale di rame a figure del sec. XVI.

Cava di Vernasso

Vernasso è noto presso i geologi per una cava di calcare che ha fornito bellissimi tessili della creta superiora (senoniano).
La fauna fu descritta dal Tommasi e la flora dal Bozzi (opere cit. alla nota 1, pag. 11).
Si ritenne per un pezzo che si trattasse di un affioramento di roccia in posto, mentre sembra si abbia da faro soltanto con un così dotto klippe o meglio ancora con un masso facente parte di un grande strato di conglomerato eocenico ad elementi cretacei (così detto conglomerato pseudocretaceo).
Il progredire dei lavori di cava ha mostrato infatti che accanto ai masso fosslifero, ne esistono altri di roccia diversa e di diversa grandezza che si susseguono in una zona la quale corre si piedi della collina posta a SO di Vernasso ed è messa allo scoperto specialmente presso una fornace indicata come tale anche nella tavoletta di S. Pietro al Natisone .
Massi più isolati ancora, della stessa natura, si osservano anche a NE del castello di Gronumbergo di fronte al Molino Umalne (Pussini).
A Vernasso, scendendo, verso nord, nel letto del Velipotok si può osservare una interessante stratificazione nel conglomerato quaternario che occupa il fondo di tutta. la vallata del Natisone. Si tratta di uno strato di “ferretto” rossastro, con ciottoli silicei, interposto, per lo spessore di un paio di metri, tra due grossi banchi di conglomerato. Il ferretto, che trova riscontro in quello che si vede al ponte di Premariacco, indica il succedersi di due ben distinti periodi d’ alluvionamento; fra i quali ne corse uno di sosta.

Oculis

Ponte sospeso sul Natisone presso Oculis
Ponte sospeso sul Natisone presso Oculis
Da Vernasso si può ritornare a S. Pietro, anziché por la via di S. Quirino sopra indicata, per Òculis (Nàucula) piccolo gruppo di case, posto di fronte a S. Pietro.
La via fra Vernasso ed Oculis (m. 178, 1 km.) è carreggiabile e seguita poi per Biacis e Tarcetta; un ponte pedonale di recente costruzione permette poi di passare il Natisone fra Òculis e S. Pietro e ritornare quindi in questa ultima località.

Da S. Pietro a Tarcetta.

Seguendo da S. Pietro la strada nazionale verso il Pùlfero, (101)0 circa un chilometro e mezzo si presenta, un po' discosta dalla strada, alle falde delle amenissime colline, Sorzento (Sorzint, m. 193), una delle borgate più ricche della vallata, con case pulite e comode e con una chiesetta un po’ in rialzo fuori del paese, mezzo nascosta nel folto dei castagni.
Pochi passi più su, ma a sinistra, sotto il livello della strada, nel ripiano del fiume sta Biarzo (m. 183) e qualche centinaio di metri più oltre, a destra presso la strada, Ponteacco (Petjàch, in fr. Ponteà, in. 210), con chiesa e squola e due osterie (Pocovaz Antonio e Jussa Umberto) e finalmente Tiglio (Lipa), dove c’ è di notevole la semplice, ma antica chiesetta gotica, fornita di due campane rimarchevoli per la loro antichità.
Essa è dichiarata monumentale, specialmente a motivo delle campane, giacchè all’ infuori di esse e della propria età (rimonta al secolo XV), non presenta altro che meriti considerazione.

Tarcetta - Tarčèt

Poco oltre Tiglio, dalla nazionale si stacca un breve tronco di strada che passa il Natisone su di un bel ponte in pietra e conduce a Tarcetta (km. 4 da S. Pietro).
Tarcetta (Tarcét, in. 221) è capoluogo di un comune abbastanza esteso (29 kmq.) e popolato (2088 ab. nel 19013, e conta 266 abitanti.
Gli spettano le borgatelle di: Biàcis, che con Spagnùt, Cras e S. Silvestro d’ Antro ha 295 abitanti, Làsiz, che, con Cicìgolis ne ha 304, Pegliano che ne ha 260, Erbezzo che, con Podvarschis, ne ha 528 e finalmente Montefosca che ne conta 585.
Il comune e parte in piano (fondo della valle), parte, e prevalentemente, in monte.
Sulle altre coltivazioni (granturco, patate, fàgioli ecc.), prevale quella del castagno, che colle legna ed il fieno danno uno dei principali redditi alla popolazione.
Si alleva pure molto bestiame; veri pascoli montani sono pero solo a Montetosca.
Scarsa è l’ emigrazione. Tarcetta è in bella posizione in mezzo ad una campagna ubertosa, con viti, alberi da frutto e gelsi.
C’ è una buona oosteria (Cernoia Marianna).
Non ha chiesa propria, essendo soggetta alla cappellania di S. Silvestro d’ Antro.
Fu per qualche tempo sede della Banca d’ Antro, di cui diremo dopo.

S. Silvestro e S. Giovanni d’Antro.

Da Tarcetta una strada a fondo naturale, abbastanza comoda e non troppo ripida, conduce in una ventina di minuti a S. Silvestro d’Antro (Làndar), piccolo paesello ridente sopra un dosso arrotondato, che sporge lievemente dalle parti inferiori del Mladessiena e che cade piuttosto ripido verso il Natisone.
Ha una bella chiesa con organo e vi risiede un cappellano.
Il paese, donde si gode una bella vista verso la vallata si chiama anche semplicemente Antro e nella storia della Slavia ha la sua importanza per aver dato il nome all’antica Banca d’Antro, ossia al consiglio deputato a sbrigare gli affari amministrativi e giudiziari di prima istanza, concernenti gli abitanti delle valli del Natisone e dell’Aborna.
Esso era formato dai decani dei comuni o borgate, che nel secolo XVIII somnmavano a 86.
La Banca d’Antro aveva la sua pari in quella di Merso, che amministrava collo stesso metodo le convalli di S. Leonardo.
A capo delle due Banche stavano due decani maggiori o Sindaci, che convocavano a consiglio i decani minori delle rispettive valli intorno alle lastre (tavole) di pietra o banche, esistenti l’ una a Biàcis (più tardi a Tarcetta) per la Banca d’ Antro, e l’altra a Merso per la Banca omonima.
Le due Banche formavano assieme l’Arrengo, o piccolo parlamento, il quale si riuniva in seduta ordinaria una volta all’anno a S. Pietro, presso la chiesa di S. Quirino e trattava all’ aperto, all’ ombra dei tigli, gl’ interessi generali di tutta la nostra Slavia.

Antro poi è un luogo notevole e degno di essere visitato anche e specialmente per la sua grotta di S. Giovanni (Svet Ivan u čelè).
A qualche centinaio di metri dal paese si presenta una scabrosa rupe calcarea a picco, di gigantesche proporzioni e di notevole altezza.
Il luogo è pittoresco e romantico.
L’ enorme parete lapidea è incorniciata da tutte le parti da vigorosa vegetazione e le spaccature stesse delle rupi ed i piccoli ripiani erbosi sono allietati da sterpi e cespugli d’ogni fatta.
Ai piedi della rupe c’ è un’ abbondante fontana, la cui acqua accresciuta da altra, che dopo le pioggie sgorga dal fondo della grotta e cade giù dall’ imboccatura della medesima, saltella rumoreggiando gaiamente fra i massi e la vegetazione lungo un valloncello che declina ripido verso il sottostante paese di Biàcis.

La grotta

La grotta si apre su alto nel bel mezzo della parete, protetta sui davanti da opere artificiali. Ricevette il nome di S. Giovanni, perchè la prima parte è convertita in chiesa dedicata a questo santo.
Ben 114 gradini di pietra, addossati alla parete, con riparo in ferro verso l’ esterno, vi conducono con comodità e sicurezza.
Verso la sommità della gradinata si entra in una specie di atrio, donde due ingressi conducono nell’ interno della grotta: uno a galleria artificialmente lavorata in pietra, che corre sotto il pavimento della chiesa, alla quale si può rimontare in fondo con pochi gradini; l’ altro, che è il principale si apre un po’ più alto, a livello del pavimento e consiste nella imboccatura naturale della grotta, ristretta a destra da un muricciuolo a banchina. Serve d’ingresso alla chiesa.
Sul muricciuolo c’ è una rozza pila per l’ acqua benedetta e sopra il capo pende da una spaccatura della volta naturale una piccola campana.

La chiesetta ha 16 metri di lunghezza, 10 di larghezza e poco meno in altezza.
Le pareti e la volta sono di viva roccia.
L’ uomo ci pose di suo il pavimento in rozzi lastroni di pietra, sotto il quale esce nelle piene il torrente della grotta - il muro sul davanti, i due terzi del presbiterio e la piccola sagristia accoccolata sur un ripiano erboso molto stretto ed aggrappata al presbiterio, quasi paurosa dell’ abisso che le sta sotto.
Il presbiterio gotico dà ricetto ad un altare in legno, che per lo stile gli sta agli antipodi, essendo barocco.
Un altro rozzo altarino c’ è, diremo così, nella navata della chiesa, appoggiato al basso muro, che divide il santuario dai resto della grotta.
Aggiungi il pulpito, un vecchio e rozzo confessionale ed alcuni ripari contro gli stillicidi della volta.

Il luogo - già utilizzato all’epoca romana come lo dimostra il ritrovamento di embrici di quella età - deve essere stato consacrato al culto molto per tempo.
In un documento dei 888 si trova che il re d’ Italia Berengario affidò alle cure del diacono Felice la chiesa di S. Giovanni d’ Antro.
Il presbiterio, come sta oggi, risale al 1477; lo dice la seguente iscrizione in eleganti minuscole gotiche, murata nell’ interno:
maister andr e von lack ta lmo 4mo 7mo 7mo Un’ altra iscrizione molto più antica si trova nel vano a finestra fra la chiesa e la sagrestia, scolpita su una lapide, che ricopre delle ossa.

IACEO INDIGNUS HIC TVMV
LATUS EGO FELIX AD FUN
DAMENTA SCORVM EccIAE
IOHIS BAPTISTAE AC EVANGELISTE
IDCIRCO OBSECRO OMS ASCENDEN
TES ET DESCENDENTES VT PROME
IS FACINORIBUS DM PRECARE DIGNE
MINI

Come si vede, la lapide doveva trovarsi in origine in altro posto.
Non si sa chi fosse questo Felice, nè quando vissuto; ma non è improbabile che si tratti di quel Felice a cui Berengario consegnò la chiesa.
Altri opinano per un certo maestro Felice vissuto ai tempi del re Cuniberto e morto prima dei 720.
Dalla forma dei caratteri si guò argomentare che la lapide appartenga al secolo VIII o IX. In questa antichissima non meno che originale chiesa si tiene sagra due volte all’anno (seconda festa di pasqua e 24 giugno) con grandissima affluenza di gente.
Molti approfittano della circostanza per inoltrarsi nella grotta.

Una grotta di tal fatta non poteva non dare occasione a leggende e supposizioni.
In tempi antichi, non dico preistorici, fu abitata di certo; ne fanno fede gli avanzi d’un forno e d’un mortaio scavato nel masso per triturare il grano.
Essi si trovano sul davanti in una specie d’incavatura a guisa di cella, alla quale si accede dall’atrio deviando a sinistra prima di salire gli ultimi gradini alla grotta.
Un grosso pilone naturale ne sostiene la volta ed un basso muricciuolo le serve di riparo verso l’abisso.
La vista da quel punto è magnifica.

Q ualche storico chiama la grotta “Fortilizio dei Schiavi”, alcuni credono che vi fosse stato rinchiuso il duca Pemmone dopo la sua cacciata da Cividale.
Altri opinano che in seguito essa servisse di difésa e di appoggio al castello di Ahremberg, le cui rovine si vedono più sotto nella valle presso Biacis.

Una leggenda, ispirandosi forse al forno ed al mortaio, parla di una regina che, assediata nella grotta voleva far pane e non aveva farina.
Per strattagemma essa aveva gettato dall’alto in mezzo ai nemici l’ultima misura di grano, facendo annunziare con ostentazione, che avrebbe resistito ancora tanti anni, quanti erano i chicchi gettati.
La quale cosa naturalmente, sempre secondo le intenzioni della leggenda indusse il nemico a levare l’assedio.

Le prime esplorazioni della grotta

La grotta di S. Giovanni d’Antro, già ricordata nel secolo XVI da G. Valvasone di Maniago, in un manoscritto esistente alla Biblioteca comunale di Udine (Descrizione delle città e terre grosse del Friuli), e poi da tutti coloro che descrissero il Friuli (Girardi, Ciconi, ecc.), richiamò più modernamente l’attenzione, oltre che degli storici (parecchi scritti riguardano le iscrizioni della grotta, citiamo:
M. LÈICHT, S. Giovanni in Antro, “Ateneo Veneto”, 1882, pag. 86-95; G. G.,;
Le iszrizioni di S. Giovanni in Antro, “Pag. Fr”, VI, 1893, p. 170-172; A. LAZZARINI, Castelli Friulani Antro, “Giorn. di Udine”, 1897, ti. 163, 169 e 175;
M. Leicht, La qostaldia ecc., loc. cit. pag. 80, anche dei naturalisti.
La grotta fu sotto questo ultimo aspetto esplorata specialmente dal Tellini (Peregrinazioni ecc., In Alto a, 1899, pag. 19 e .24) e poi resa in qualche parte praticabile dal Circolo Speleologico, il quale a parecchie riprese l’ ha fatta meta delle sue escursioni
Però l’umidità ha gravemente danneggiato i manufatti in legno da questo costruiti alcuni anni fa, per cui una visita alle parti interne richiede prudenza e mezzi adeguati.
Tuttavia il primo tratto si può percorrere senza pericolo.
Dalla parte più interna della chiesetta scendendo pochi gradini si raggiunge il piano naturale della grotta, la quale e ud complesso in salita; ad una cinquantina di metri dall’ esterno è una specie di salto, che si supera facilmente. più innanzi si trovano alcune pozze abbastanza profonde. che ostacolarono molto le prime esplorazioni, e che costituiscono ancora una difficoltà nell’ ulteriore progredire.
A 200 metri dall’ingresso il canale, sempre senza diramazioni, si allarga, formando una specie di piccola sala, oltre la quale continua ancora, a stento praticabile, per altri 180 metri, dopo i quali termina restringendosi e in condizioni tali, per le acque, da essere impossibile penetrare ulteriormente nella cavità.
Quindi la grotta è lunga nel complesso 330 metri ed è notevole specialmente perchè consta di un unico corridoio a decorso quasi rettilineo.
In quanto alla suaorigine la grotta deve mettersi evidentemente in relazione con una piccola sorgente la quale scaturisce alla base della parete rocciosa, nel la quale. a metri 348 sul livello del mare, la grotta stessa si apre (vedi Musoni, Visìta alle sorgenti della grotta di S. Gioranni d’Antro, e Mondo Sotterr. i, I, 1904-5, n. 2)-
Nell’interno della grotta furono trovati resti dell'ursus speleus e precisamente della forma tipica di questo (due coste, frammenti dell’omero destro e cubito destro) e della varietà minor (branca mandibolare, atlante, due cubiti e due femori), la quale ultima, nel Friuli fu riconosciuta pure nella grotta di Viganti ed in Italia è nota specialmente per i ritrovamenti liguri.
Cfr.in proposito GORTANI, Avanzi di mammiferi rinvenuti in alcune qrotte friuiane, “Mondo Sotterr. “, V, 1908, pag. 8-14.
Della fauna vivente furono raccolti solamente pipistrelli di specie comuni (Rhinolophus ferrum-equinum, miniopterus Screibersii ecc.).
A coloro che volessero visitare la grotta sì ramrnenta qui in fine, che l’ingresso è chiuso mediante una porta, e che la chiave di questa è tenuta dal sagrestano di S. Silvestro d’Antro.
In quanto alla pianta qui accanto riprodotta, avvertiamo come essa sia stata rilevata dal prof. Tellini, nè in essa fu tenuto conto, perchè non riscontrata, della correzione proposta da A. Lazzarini (Grotta di S. Giovanni d’ Antro, Mondo Sotterr. s~ III, 1906, pag. 32), secondo la quale l’ ultimo tratto del corridoio, anzichè staccarsi dal lato nord della sala, partirebbe dal punto estremo a nord-ovest della sala stessa.

Biacis

Lasciando la grotta e ritornando a S. Silvestro, da questa si può discendere in un quarto d’ora per un viottolo piuttosto ripido a Biacis (Biàtsa).
Questo è un villaggio situato in una piccola ma fertile conca presso al Natisone, sulla strada altrove ricordata., che da Tarcetta, per Spagnùt (m. 175) va ad Ocuhis e Vernasso.
Ha un’antica chiesetta e due osterie (Strnchil e Gubana).
Si vede un rimasuglio del castello di Ahrenberg, detto anche castello d’ Antro, il quale, secondo alcuni, sarebbe di origine longobardica.
Vi risiedevano i signori d’Antro, ministeriales ecclesiae aquilejensis, come li chiama un documento del 1282.
Nel 1306 esso fu assediato dal conte di Gorizia e nel 1364 fu demolito per ordine del patriarca, affinchè non diventasse un covo di rapinatori, come tanti altri castelli del tempo.
I signori d’Antro possedevano a Biacis, oltre il castello, parecchie case, distrutte dal conte di Gorizia durante l’assedio predetto.

A Biacis si vede ancora la lastra di pietra intorno alla quale si adunava la Banca d’Antro prima che trasportasse la sede a Tarcetta.

Biacis è collegata a Tarcetta da una buona strada carrozzabile, sulla quale, uscendo dal paese, s’incontra subito un gruppo di case col nome di Cras ove c’è un fabbro meccanico (Succaglia Giov.).
Poco più oltre è il già nominato tronco di strada trasversale col relativo ponte, che mette alla nazionale sulla riva sinistra del Natisone.

Da Tarcetta al Mladessiena ed a Pegliano.

Da Tarcetta (m. 221) in meno di due ore si può salire, per S. Silvestro (m. 824) a Spignon (Varh, in. 608) e passando presso la vecchia chiesetta di S. Spirito (m. 668) alla cima del Mladessiena (m. 727) donde si gode una bella vista sulle Prealpi e verso la pianura.
Dalla cima si può scendere a Torreano ovvero a Vernasso , o a S. Guarzo, secondo l’itinerario altrove indicato.
E' interessante però seguitare lungo il crinale erboso, e pei sentieri che corrono poco al di sotto di questo, verso Pegliano (fr. Peàn, in sl. Ofìàn) interessante aggruppamento di piccole borgate con due chiesette, una vecchia diroccata, l’altra più recente.
Le borgate sono in bella situazione in una larga ed aperta insenatura del Craguenza. La più alta è a 600 metri sul livello del mare.
Hanno buona campagna e buoni prati.
V’è in proporzioni modeste l’industria delle “tzàine”, specie di ceste, o corbe intrecciate con fibre di avellana.
Pegliano si ricorda nel 1275 come feudo di Enrico detto Birbiz di Cividale.
Da Pegliano per due diverse strade si discende in circa mezz’ora a Tarcetta ed a Lasiz.

Da Tarcetta a Montefosca. Juanes e Lubja.

Una escursione assai interessante è quella da Tarcetta alla frazione più lontana del comune, quella di Montefosca.
Da Tarcetta su per la valle, la prima borgata che s’incontra dopo pochi minuti e LLasiz (Làze), in bellissima e ricca posizione sullo stesso terrazzo.
Qui ha termine la strada a fondo artificiale che viene dal capoluogo.
Il paese ha chiesa e cappellano; un’ altra chiesetta antica, dedicata a S. Donato (m. 424), ora pressoché abbandonata, si trova più alta sopra la borgata.
Proseguendo oltre sempre in piano lungo il Natisone s’incontrano a brevi distanze Cicigolis (Stcigla), Podvàrcis (Podvarstce) e Specogna (½ ora da Tarcetta), collegati fra loro da un breve tronco di strada carreggiabile, che un ponte congiunge al Pulfero.
Da Podvarcis salgono i sentieri che conducono a Montefosca; è consigliabile, per l’interesse dei luoghi che si toccano, prendere la erta mulattiera che passando per Erbezzo conduce alla chiesa di S. Andrea (ore ¼ da Podvarcis).

Erbezzo (Arbètsc)

è il nome collettivo di più villaggetti sparsi su un terreno ineguale ed accidentato.
La chiesa, dedicata a S. Andrea, sta solitaria nel punto più elevato (798 m.) che è un colle, dalla cima spianata, e domina dall’ alto gran parte della sottostante valle del Natisone. il punto di vista e oltremodo interessante.
Dietro S. Andrea, si entra in una larga sinuosità alpestre piuttosto aspra, si passa il pittoresco torrente Bodrin, che nel percorso mette in movimento tre rozzi molini, e dopo un’ora di cammino si giunge a Montefosca (Černi varh), borgata a 725 metri sul m., situata in un piccolo altipiano, fra il Juanes ed il Lubja.
Conta 585 abitanti, gente alta, robusta, rotta a tutte le intemperie e a tutte le fatiche, tipo il più caratteristico della Slavia, e perciò degno di osservazione.
Sono intelligenti, tenaci, modesti nelle loro esigenze, semplici e rozzi per essere sempre in lotta con l’ asprezza del paese.
La loro occupazione è la pastorizia.

Montefosca

A Montefosca risiede un corpo di guardie di finanza, si trova una assai modesta osteria con due letti.
Da poco v’è an che una chiesetta con cimitero.
Il villaggio è anche esso abbastanza tipico, per l’irregolare aggruppamento delle case e il loro aspetto, ma sono ormai spariti i tetti di paglia che un tempo le coprivano. Richiamano l’attenzione le molte cisterne, ben costruite, ma troppo vicine ai letamai che sono nelle vie del paese.

Montefosca, già ricordata nel 1872, si trovò spesso, nel passato, in acuto conflitto colla poco lontana borgata austriaca Robedischis (Robediscis, Arbidistce), che le contendeva il possesso di alcuni pascoli.

Da Montefosca si può raggiungere direttamente il fondo della valle del Natisone presso Stupizza (1 ora, per arrivare a Stupizza conviene però passare il fiume a guado), per uno stretto sentiero che, alto e talora incavato nella parete rocciosa, costeggia la gola del rio Zabodrinam e girato lo spigolo Tòpiza, scende per una ripida valletta (Scaluščiak) ai casoni Predrobath, che sono presso l' imbocco della chiusa di Pradolino.
Per risparmiare la grave fatica dei trasporti fra l’ orlo dell’altipiano di Montefosca (750 m.) e la strada nazionale presso Stupizza (m. 200) è stato posto di recente un teleforo lungo circa 2 km.
Il teleforo di Montefosca
Il teleforo di Montefosca
Da Montefosca si possono fare alcune belle passeggiate ed escursioni.
La passeggiata più interessante è quella a Platischis (Ore 4), la quale si compie per vie già descritte, salvo il primo tratto (ore 1) fino a raggiungere il sentiero che unisce Canebola a Prossenicco.
A questo pervengono due mulattiere, una che percorre le falde settentrionali del Juanes, l’altra che gira alla base del Lubja, passando presso Robedischis.
Dalla prima si può deviare (1 ora) per raggiungere, attraverso erti pendii erbosi e boscosi, la cima del Juanes;
dalla seconda si può raggiungere (1 ora) la cima del Lubja (m. 1124), qualora non si preferisca salirvi direttamente da Montefosca.

Il Lubja, o Lupia

come è chiamato generalmente nelle carte, dagli abitanti del suo versante meridionale viene conosciuto col nome di Uogu.
La cima più elevata poco spicca rispetto all’insieme del monte, foggiato ad altipiano, e ricco di fenomeni carsici, ma, non più, come un tempo, tutto ricoperto di bosco di faggi.
Uno dei casoni Uvedeja
Uno dei casoni Uvedeja
Il monte richiamò di recente l’attenzione per una questione di confini; il territorio contestato è uno piccolo spazio ove sono i Casoni Uvedèja (m. 1050).
Il territorio dei casoni Uvedeja contestati fra Austria e Italia
Il territorio dei casoni Uvedeja contestati fra Austria e Italia
La regione di Montefosca è interessante specialmente per lo studio della questione del limite fra eocene e creta.
A cominciare dalla valle del Natisone, fino verso il M. Tomba si può seguire una zona di marna rossa acagliosa, la quale passa a sud di Montefosca ed è degna di attenzione per il suo vario sviluppo e per l’intercalazione, almeno locale, di un calcare brecciato, che in certi punti sostituisce completamente lo strato scaglioso. il quale del resto si attenua e scompare verso occidento, appunto presso il M. Tomba, ove sono calcari che è difficile giudicare se spettino all’ eocene ovvero alla creta. Di questa ultima età è certamente l’altipiano del Lubja, interessante per il grande sviluppo di fenomeni carsici (specialmente doline), i quali sono numerosi e notevoli anche ad ovest di Montefosca e specialmente nel sopra ricordato Monte Tomba ove sono poi particolarmente degni di osservazione i solchi carsici.
Altri di questi si osservano anche a SE di Montefosca e sul pendio del Lubja.
Vedi in proposito De Gasperi, Una gita al Juanes, loc. cit. e Nelle Prealpi ecc,

Da S. Pietro al confine

Perovizza

Riprendendo ora la via del Pulfero, al Tiglio, dove fu lasciata per visitare il comune di Tarcetta, incontriamo anzitutto la segheria di Perovizza del Sig. A. Bearzi, l’unica della valle, e dopo pochi minuti siamo a Brischis (Bristsa, , m. 183).

Brischis

E' questo un bel paesello con qualche casa dall’ aspetto civile.
E' sede di guardie di finanza; ha chiesa e cappellano. La chiesa è relativamente recente, ma un ‘iscrizione gotica, analoga a quella di S. Giovanni d’ Antro, murata sulla facciata, fa fede che prima preesistesse ivi una più antica chiesa. L’iscrizione è del seguente tenore:

Maist(r) andr
e von lach Mai tarbrs
1477.

Alcuni vogliono che Brischis sia l’antica Broxa di Paolo Diacono (Vedi Hist. Longob l. V, c. 23), dove nel 670 sarebbe avvenuto lo scontro fra il duca Vettari e gli Slavi, nel mentre da altri si crede che il ponte presso il quale ebbe luogo il combattimento fosse quello di S. Quirino.

Pulfero capoluogo

Pulfero
Pulfero
Proseguendo oltre da Brischis, dopo 1 km. si arriva al Pulfero, sede municipale del comune di Rodda, il quale si estende per quasi 18 km. specialmente sul pendio sud-occidentale del Matajur.
Ha una popolazione di 1532 ab. di cui 761 nella frazione di Rodda, 660 in quella di Mersino e 111 in quella di Brischis, delle quali le prime comprendono un considerevole numero di borgatelle sparse nel fondo della valle e, più numerose, sui ridossi ed i declivi meglio soleggiati delle propaggini del Matajur, fertili di frutta, onde Rodda è rinomata in tutto il Friuli.
Sono notevoli anche la produzione del vino e quella delle castagne e l’allevamento del bestiame.
Ci sono tre latterie, due a Mersino ed una a Rodda.
Mersino possiede bei boschi, che danno molta legna da fuoco.
Il baco da seta si alleva solo nelle frazioni del piano.
L’ industria è rappresentata dalla segheria del Bearzi già ricordata.
Scarsa è l’emigrazione.

Pulfero (Pùltar, in sl. Podbuniesaz, m. 184)

è una borgata assai piccola, che però si presenta bene, con case pulite, aggruppate intorno alla strada nazionale e strette fra il monte ed il Natisone.
Vi sono tre alberghi: All’ Angelo . (Pussini Gius.); dalla Frasca (Birtig Val.) ed al Leon d’oro (Pausa Luigia ved. Manzini), e due modesti negozi di Birtig Val. e di Giov. Qualizza.
Presso quest’ultimo c’è modo di poter riparare biciclette, motocicli ecc.
La sede municipale con unitevi scuole è di recente costruzione e serve di abbellimento al paese.

Pulfero ha una certa importanza per la sua felice ubicazione; ha dato il nome alla strada nazionale che si chiama appunto la strada del Pulfero.
Sotto la repubblica veneta c’era la dogana.
E' un punto di grande passaggio dall’Italia in Austria e viceversa ed è la prima tappa per gli Austriaci che scendono da Caporetto e dintorni.
Specialmente grande è il numero di carri stracarichi di ottime legna da fuoco, che vengono d’oltre il confine ed amano fermarsi a Pulfero per riposare.
C’ è lo scambio della posta internazionale con le diligenze postali Pulfero-S. Pietro-Cividale da una parte, Pulfero-Ròbic-Caporetto dall’altra.
Inoltre grazie al ponte in legno sul Natisone fanno ivi capo la strada carreggiahile Specogna-Cicigolis ed i sentieri dei vari paesi del comune di Tarcetta.

In quanto al paesaggio, la valle diventa piu stretta ed aspra; non si vedono più i ridenti dossi ed i ripiani coltivati con amore e profitto, ma greppi boscosi, dirupi e torrenti e questo carattere silvestre del paesaggio si accentua sempre più progredendo verso il confine politico.

Linder, Loch, Stupizza

La Valle del Natisone verso la gola di Stupizza
La Valle del Natisone verso la gola di Stupizza
Proseguendo lungo la strada quasi perduti nella solitudine s’ incontrano prima i piccoli gruppi di case Linder, Loch, poi Stupizza.
Quest’ ultimo è l’ abitato più avanzato verso il confine, a chilom. 8,5 da Pulfero.
V’ è una dogana di seconda classe.

La valle continua stretta e selvaggia, affondata tra i fianchi aspri e ripidissimi del Matajur e del Mia.

A tre chilometri circa da Stupiza il confine politico discende dal Mia, taglia la strada e sale alla vetta del Matajur.
Sulla strada c’è il posto di guardia della nostra finanza.
Il passaggio con rotabili da uno stato all’altro è impedito di notte con una enorme catena, che si tende attraverso la strada.
Questa, sempre stretta fra monte ed acqua, continua a mantenersi in buone condizioni, non essendo molestata nè dal Natisone, che scorre a un livello più basso, nè dalle frane, impedite dai rivestimenti boscosi.

Il percorso della valle del Natisone a monte di S. Pietro presenta un certo interesse per il geologo il quale voglia formarsi una idea prima della serie eocenica, poi di quella secondaria dell’ elissoide Matajur-Mia il quale è appunto troncato dalla valle.
Mentre a Loch si è ancora nell’ eocene, a 750 m. da questo osserviamo già lungo la strada i calcari selciferi ritenuti giuresi, qui poco potenti, ai quali succede ben presto un calcare dolomitico che si segue fino al confine ed è ritenuto spettante al Trias superiore.
Questi calcari danno luogo ad una abbastanza notevole circolazione interna delle acque, onde le abbondanti sorgenti che sgorgano al livello del Natisone.
Circa 800 m. a monte di Stùpizza è la sorgente Naklànz (Na klanz, m 204 temp. estiva circa 9°,5) attualmente utilizzata per l’acquedotto di S. Pietro al Natisone; oltre 600 m. più a monte è l’Arbjt (Arpit, m. 219, temp. estiva 9°, più innanzi, presso il confine però sulla destra del Natisone — esce la più grossa di queste sorgenti, la Poiana (m. 220, temp. estiva 12°) che servirà per l’acquedotto di Cividale.
Su queste sorgenti cfr. Musoni, Le sorgenti della valle media ecc, ed altri scritti del TELLINI ecc, citati nella nota stessa. La visita della media valle del Natisone può interessare anche al botanico [Cfr. Minio (M.), Erborazionì nel Bacino medio del Natisone. Nuovo Giornale Bot. Ital. 1905 n. 1) poichè vi raccolgono parecchio specie interessanti. Così la Saxsifraga tenella trovata presso Stupizza e sui monti Mia o Matajur; Homogine silvestris trovata pure a Stupizza; il Leontodon Brumati delle rupi del Natieone presso S. Pietro; l’Hacquetia Epipactis, che raccogliesi anche nelle colline del Collio o di Buttrio e segna qui il limite ovest della piccola zona che occupa in Italia, ecc.

Salita al Matajur

Prima di proseguire oltre nella valle del Natisone dobbiamo considerare la salita al Matajur per la quale Brischis, il Pulfero e Loch sono luoghi di partenza altrettanto opportuni quanto Savogna, nella valle dell’ Aborna (vedi nei paragrafi seguenti).
Il Matajur è certamente il monte più notevole della regione considerata in questo capitolo e ad onta della sua non grande elevazione (m. 1648) uno fra i più in vista e fra i più noti dell’intera nostra provincia.
E’ fra le cime che meglio a ragione possono contendersi l’ onore di essere state salite dal re Alboino quando, come racconta Paolo Diacono, volle contemplare di là l’Italia, meta delle sue imprese.
Però mentre la cima stessa è conosciuta, localmente col nonie di Baba, il nome Mataj ur non compare che assai tardi (sec. XVIII) in documenti ed in carte geografiche, ciò che desta rnaraviglia quando si consideri che proprio per la cima passa da secoli il confine politico, prima della repubblica veneta, ora del regno d’ Italia.
Invece il monte è fra quelli che da maggior tempo richiamarono l’ attenzione degli studiosi - fra i primi del naturalista Hacquet - presso i quali ebbe ed ha una vera rinomanza specialmente per la interessante sua flora.
Alpinisticamente il monte, facilmente accessibile da ogni lato, per la scarsa pendenza dei fianchi rivestiti fino alla vetta da prati, gode meritata fama per la splendida vista che vi si gode e perchè si prestapure a salite invernali.
La sua vetta eminente ed isolata, come quella del Quarnàn, posto all’altro estremo delle nostre Prealpi, fin al principio del secolo scelta dai credenti per erigervi un obelisco - cui fu poi addossata una cappella - che dalla pianura spicca sul monte, così ben riconoscibile del resto anche semplicemente per la sua forma a larga piramide.

La via più frequentemente scelta per salire il Matajur direttamente dalla valle del Natisone è quella per Mersino.
Da Loch (m. 189) un ripido sentiero sale su per la costa del monte rivestito da castagni conducendo in poco più di un’ora a Mersino di sotto (chiesa m. 592) e in quasi 2 a Mersino di sopra (chiesa m. 765), nella borgata Zorza, ove è la chiesa (osteria).

Mersino (Marsin),

frazione, come si è visto, del comune di Rodda, è formato da molte borgatelle sparse sulle falde del monte, distribuite in due gruppi, che si distinguono appunto coi nomi di sopra e di sotto.
Mentre attorno a questo ultimo alligna ancora la vite ed è notevole la coltivazione degli alberi da frutta e del castagno, nella prima borgata è specialmente sviluppato l’allevamento del bestiame favorito dai buoni prati e pascoli che salgono fino sulla vetta del Matajur.
L’ antica chiesa di S. Lorenzo (mezz’ ora tanto da Mersino di sopra quanto da Mersino di sotto), annerita dal tempo sta solitaria e quasi abbandonata lungi dall’ abitato sull’alto della costa a 859 metri.
Mentre la china, che da essa discende verso i paesi, è soleggiata e messa a prati, con macchie e alberi di varia specie, la opposta a ovest e nord-ovest precipita immediatamente dietro la chiesa in dirupi boscosi sulla strada verso Stupizza.
Dalla chiesa si gode una bella vista sulla valle del Natisotie.

Mersino del resto non presenta nulla di notevole, i tetti di paglia di un tempo sono quasi tutti spariti.
Le ultime case si trovano oltre agli 800 m. sul mare (borgo Jerèb), e da esse con un paio d’ore di salita si giunge alla cima del Matajur (m. 1648), seguendo la via, piuttosto aspra e ripida, ma senza difficoltà alcuna, che tengono i Mersinesi per andare ai loro pascoli di lassù.

La passeggiata da Mersino alla cima del Matajur è per varie ragioni interessante.
Le ultime borgate di Mersino sono ancona sull’ eocene, ma bentosto si incontra la solita marna scaghiosa rossa che è incerto se spetti ancora all’ eocene ovvero alla creta, e poi quest’ ultimi terreni e calcarei selciferi giurusi; verso la sommità si è di nuovo su terreni ritenuti eocenici.
Però non lungi dalla cima il Kossmat rinvenne fra le brecciole calcaree ed arenacee banchi di orbitoidi di tipo cretaceo.
Resta quindi incerta l’ età di quei terreni.
Oltre agli scritti del Kossmat e del Marinelli citati nella nota i a pag. 11 cfr. DAINELLI, Introduzione allo studio del cretaceo friulano, Estr. « Mem. Soc Tosc. Se. Nat. «, vol. XXVI-XXVII, Pisa, 1911, pag. 68.

La zona fra i 1000 e i 1200 è di tipo decisamente carsico.
In questa regione ed anche più su fin verso i 1450 metri sono interessanti da osservarsi e danno un aspetto caratteristico al paesaggio le così dette “planine”, o gruppi di capanne pastorizie (casere), dove si raduna di notte il bestiame pascolante nella buona stagione; si trovano nei luoghi meglio riparati, preferibilmonte nelle grandi doline.
Un casone della planina Tazatlako
Un casone della planina Tazatlako
Sono di costruzione sernplicissima o rozza con tetto di paglia.
Il piano terreno serve per le bestie, il secondo pel fieno, nel quale dormono i pastori o gli sfalciatori ed, occorrendo, anche i turisti che volessero pernottare sul monte.
Le due planine principali dei Mersinesi sono denominate rispettivamente Ta zu tlako (dietro il terreno battuto) e Ta za čel (dietro le rupi). Constano di parecchie capanne dette « casoni », una per padrone, con una speciale a due ambienti, uno per la lavorazione del latte, che si fa in comune per tutti, l’altro per il deposito dei prodotti caseari.

La flora del Matajur

La regione superiore del Matajur, tanto dal versante qui considerato quanto dagli altri è poi interessante per la sua flora.
Fra le specie più notevoli ricorderemo Agropyrum biflorum, Saxìfraga tenella, Saxsifraga crustata, Orchis qlobosa, Nigritella angustifolia, Arnica montana, .Rhododendron hirsutum, Bellidiastrum Michelii, Silene quadrifida, Scorzonera purpurea, Achillea Clavenae, Astrantia minor, Pedicutaris tuberosa, Lilium Martagon, Anemone narcissiflora, Erigeron alpinus ecc.
Cfr. BRIGNOLI, Ueber einege seltene Pflanzen aus dem Friaul, « Flora «, XXIII, 1, 1840, pag. 105;
T0MMASINI, Bericht Uber Besteigung der Koiniza, Sbevniza, Matajur, Baba, Canin in und Prestreleneck, Flora »XXII, 2, 1840, pag. 638; — Ausftug auf den Berg Matajur in Friaul zur Auffindung des Triticum biflorum Brignoli, « Flora «, 1842, XXV, 2, pag. 609-621, 625-635;
KRASAN (F.), Eine .Exkursion in die Gebirge von Tolmein und Karfreit, « Oesterr. Bot. Zeitschr. , XVII, 1867, pag. 853 e seg.;
KRASAN, Die Vegetationverhaltnisse der Grafschaft Gorz und Gradisca, ivi, 1890, pag. 819-820;
CARUEL (T.), Note di una corsa botanica nei Friuli, “ Nuovo Giorn. Bot. Ital.”, 1886, n. 1;
MINI0 (M.), .Erbor. nel Bac. medio dei Natisoue, ivi, 1905, n. 1.

La cima del Matajur

offre uno spendido panorama tanto verso le Alpi, quanto sulla pianura.
Questa ultima si vede fino alle lagune e al mare, limitata ad occidente dall’ ultimo tratto del corso del Piave e dal gruppo del Cavallo e solcata dall’ Isonzo, dal Tagliamento, dalla Meduna e dalla Cellina.
Oltre a parecchie cime delle vicine catene prealpine (Quarnan, Ciampòn, Musi, Montemaggiore ecc.) si scorgono i gruppi del Canin e Prestrelenik (col foro), del Mangart, del Tricorno, del Jalouz, del Krn e, verso oriente, l’ altipiano di Ternova e più lontano il carso di Trieste e dell’ Istria.
Ad occidente al di là delle Prealpi Carnicbe, spuntano alcune delle Dolomiti (Pelrno, Antelao, Cristallo).

Discesa dal Matajur

Dalla cima del Matajur è preferibile discendere per via diversa da quella della salita.
Qui descriviamo quella per Rodda, riservandoci di trattare in seguito delle altre.

S. Odorico - Svet Uorh

Il sentiero scende per prati fino al passo di Clevizza (1074), indi attraversa una ondulata regione, detta Bucuie, perché un tempo evidentemente rivestita di faggi, e porta a S. Odorico (m. 882, dalla cima ore 1½).
E’ una delle tante chiesetta, del secolo XIV e XV, semplici e disadorne, che si trovano in tutta la regione Slava nei luoghi più elevati.
Ad essa fanno riscontro lungo la medesima catena quella di S. Giorgio (m. 865), ora distrutta, e qulella di S. Canziano, di cui diremo a suo tempo.
In meno di mezz’ ora di ripida discesa si è a Rodda (Ruede, in sl. Ruonaz), costituito, come s’è detto, da numerose borgatelle disperse sul pendio del Monte.

Ossiach (m. 561)

Ad Ossiach (m. 561) è la chiesa principale, innanzi alla canonica è un bel piazzale ornato da piante fruttifère, che ci ricordano il compianto cappellano Pietro Podrecca (morto nel 1889) benemerito della frutticultura onde è ricca Rodda.
Si producono specialmente mele, pere e pesche.
Rodda è ricordata già in un documento del 1275, come feudo di Tomaso di Cuccagna.
La vecchia chiesa, quella di S. Leonardo m. (535), sorge lontana dal paese (10 minuti) su uno sprone isolato in vista di Mersino.
Da Rodda in meno di un’ ora si discende a Brischis, per un sentiero, che ben presto si trasforma in una strada semicarrettabile.

Dal confine a Caporetto

Riprendendo ora la via nazionale, che abbiamo lasciato al confine, dopo circa quattro Km. di percorso siamo a Robic (Ròbič, m. 245), primo villaggio austriaco, di 99 abitanti, con posta, dogana e alcune buone osterie.

Robic

Robic si trova fra l’ erta pendice del Matajur e il M. Der (m. 292).
Quest’ ultimo è un rilievo roccioso che sbarra quasi la valle, trovando oltre il Natisone la sua continuazione nello sprone sul quale sorge la antica chiesetta di S. Ilario (m. 817).
Trattasi di una soglia di diffluenza, corrispondente ad una diramazione del ghiacciaio quaternario dell’Isonzo: il M. Der mostra evidenti tracce dell’ azione glaciale nello sua forma e in depositi morenici che sono alle sue falde (Robic).
Sulla sommità del Der il Marchesetti trovò resti di un castelliere; nel mezzo di un altro, di maggiori dimensioni, è fabbricata la chiesetta di S. Ilario.
Vi si rinvennero cocci grossolani, resti di animali e qualche oggettino in bronzo.
Sotto S. Ilario poco sopra il livello del Natisone, a 254 m. sul mare, apresi una grotta notevole per la sua ampiezza a per abbondanza di resti di lavoro umano.
Grotta di Robic
Grotta di Robic
Si trovano specialmente frammenti di terraglia, i quali per la tecnica della lavorazione ed il tipo di ornamentazione sono giudicati dell’epoca neolitica.
Vedi: MARCHESETTI (C.) Sull’antico corso del fiume Isonzo, ~”Atti del Mus. Civ. di St. Nat. di Trieste”, Trieste l8~ì0, pag. 25-82;
TELLINI, Peregrinazioni, ecc., “ In Alto”, 1899, pag. 36-89.

Da Robic la strada quasi pianeggiante prosegue per Starasella (m. 254, 1 Km. da Robic) borgatella di 289 abitanti, che come indica il nome (Stare selo vecchio paese) è di origine abbastanza antica.

Certo nelle vicinanze furono trovati resti romani (tracce di un pavimento e una strada a Robic e altrove monete) e per la sua bassa soglia passava una via fin dalla più remota antichità.
Da Starasella a Caporetto (circa 4 km.) la strada prosegue in dolce discesa tenendosi un po’ elevata sulla pianura acquitrinosa solcata dall’Idersca, torrentello dal corso lento e tortuoso.
Dalla via si osserva il caratteristico profilo del Krn nel quale si può vedere effigiata la testa di Napoleone.

Starasella (Staroselo)

La soglia di Starasella corrisponde ad una valle sovraffondata da un ramo del ghiacciaio dell’ Isonzo e colmata di alluvioni.
Oltre alle alluvioni v’ è un cumolo di grossi massi dovuto ad una frana caduta dal ripido pendio (dolomia principole) del Matajur.
La linea di spartiacque è assai poco decisa, passa fra Robic e Starasella, molto vicino a questa ultima località.
I l corso dell’ Idersca (o Idria) che nasce presso Starasella fu in parte rettificate e ridotto a canale per impedire l’impaludamento delle acqua.
Si discusse a lungo fra gli studiosi se la soglia di StaraselLa indicasse un antico corso dell’ Isonzo affluente del Natisone o viceversa.
Questa ultima opinione è giustamente sostenuta dagli autori più recenti, in base fra altro alle rispettive condizioni altimetriche dei due fiumi.
Vedi in proposito specialmente:
CZORNIG (O.), I mutamenti del sistema fluviale avvenuti nella contea di Gorizia dal tempo dei Romani in poi. L’ Isonzo il fiume più recente d’Europa, « Atti III Congr. geogr. Jnt. , Il, 1~4, pag. 807 e seg,;
GUMPRECHT (O.), Der mittlere Isonzo und sem Verhaltnis zum Natisone, Leipzig l886;
MARCHESETTI, Sull’ antico corso ecc.;
TELLINI, Sui mutamenti avvenuti nei corso dei fiumi Isonzo e Natusone ecc. Riv. Gcogr. It., 1898, pag. 198-200; — Intorno alle tracce, cit. alla nota i a pag. 11;
PENCK E BRUCKNER , Die Alpen ecc. citato, ivi. pag 1088-1089.

Caporetto (Kobarid)

A Caporetto sono da osservarsi specialmente i terrazzi, che a sud del paese scendono in più serie all’Isonzo; su due di questi dal Marchesetti fu scoperta nel 1887 una necropoli preistorica (età del bronzo) che diede materiali archeologici numerosi (urne cinerarie di argilla e bronzo, pentole d’argilla di varie forge, fibule, spilloni, collane, anelli, orecchini, armille metalliche) ed assai simili a quelli di S. Lucia, onde è ritenuta della stessa età (1.° millennio av. Cristo).
Vedi in proposito, oltre a quanto è detto a pag. 150-152 di questa guida (e relativa bibliogr.) le Relazioni sugli scavi preistorici ecc. p ubblicate dal MARCHESETTI, in « Boll. Soc. Adr. », 1887, pag. Vr, 1889, pag. XXXIII e LI e 1890, pag. XIII. Il materiale raccolto dal Marchesetti si conserva nel Museo Civico di storia naturale di Trieste.

Di Caporetto furono già date indicazioni, così della via che, rimontando la valle dell’ Isonzo, conduce a Saga.

Da Robic a Bergogna.

Caporetto, Starasella e Robic, ma specialmente questa ultima località, sono punti opportuni per visitare l’alta valle del Natisone e per comnpier le salite del M. Mia e dello Stol.
Da Rohic parte una strada carrozzabile che conduce a Creda e quindi alle varie borgate dell’alta valle del Natisone.

Creda (Kred, m. 259),

è un piccolo villaggio (m. 881), capoluogo di un comune abbastanza esteso (Kmq. 29,7) il cui territorio è però in gran parte a bosco e pascolo.
Subito oltre Creda si incontra la borgatella di Patocco (Potoki) e quindi, dopo 2 km. circa,

Boreana (Borjana, m. 472, ah. 582)

dove è ufficio postale; il paese, che fa parte ancora del comune di Creda, è diviso in due gruppi di case, con la chiesa e la scuola in mezzo.
Vi risiede un vicario.
Oltre alla chiesa mentovata, di costruzione relativamente recente, havvene un’altra antica sopra una rupe, poco lungi dalla nuova.
Ci sono quattro osterie; quella denominata Hrast con alloggio.

Da Boreana in poi la strada corre pianeggiante per un lungo tratto ad un’ altezza intorno ai 475 m., rallegrata da un largo e magnifico panorama.
Verso est si apre splendida la valle dell’ Isonzo da Caporetto a Tolmino, con una ridda di paeselli disseminati sul piano e sui pittoreschi dossi del Krn, che signoreggia dall’ alto.
A nord si ha lo Stol; a mezzodì il Mia che da questo lato è tutto magnificamente rivestito di vegetazione e meno erto.
Un po’ più ad oriente sta il Matajur, che spicca isolato sul cielo.
La valle stessa poi che si percorre è quanto mai variata, amena e pittoresca, col Natisone piccolo e tortuoso tra la candida ghiaia sul fondo, colla graziosa borgata Podbela (m. 244) e colla sua antica chiesetta di S. Elena.
Nei tempi andati, si teneva in questo paese un notevole mercato, a cui accorrevano molti anche dal basso Friuli.

Percorsi due chilometri, si raggiunge Stanovische (Stanovisča pronun. Stanovìstsa, com. di Sedula, ab. 187), paese che stava una volta sulla strada, ma che dopo la rettifica della medesima, si trova un po’ più alto.
Altri due chilometri più oltre s’incontra la borgatella Hòmez (Homec pron. Hòmez, m. 508, ah. 57) in amenissima posizione, e dopo un altro breve tratto (1 km.) sta

Sedula (Sedlo m. 487, ah. 828)

altro villaggio in ottima posizione, capoluogo di comune (esteso 12,1 km.) con bella scuola ed una chiesa di recente costruzione, officiata da un vicario curato.
Ci sono due decenti osterie (Lazar e Modrijanči# con alloggio.

Da Sedula a Bergogna rimangono due ultimi chilometri.
La strada torna un po’ ad ascendere fino alla campagna di quest’ ultimo paese.
Il percorso è quanto mai divertente per la bellezza del paesaggio.
Ormai da lungi si vede biancheggiare da un poggio sopra il villaggio la chiesetta della Madonna della Neve, quasi piccolo castello posto a difesa del medesimo.

Bergogna (Breginj, ab. 679)

è l’abitato più grosso di tutta la plaga, denominata « Kobariski Kot » (angolo, cantone, recesso di Caporetto).
Conta 181 case, irregolarmente disposte in una specie di conca fra le pendici del Musič (m. 1611) e dello Stol a 557 m. di altezza.
E’ sede di gendarmeria e di guardie di finanza, ha ufficio doganale, posta con diligenza, che fa servizio una volta al giorno fra Caporetto ed il paese.
E' sede di parrocchia e possiede una bella chiesa recente in pietra riquadrata con un bell’ altare maggiore, con stuccature e decorazioni degne di attenzione e con un campanile ad imitazione di quello di S. Marco a Venezia.
Il lavoro è alla maniera italiana, come generalmente tutte le costruzioni della plaga da Caporetto in qua.
Il paese è anche provvisto di quattro osterie; la migliore è quella di Lazar, con annesso alloggio e con servizio inappuntabile.

Diverse vie che da Bergogna conducono al di qua del confine politico.

Passeggiate

I dintorni di Bergogna offrono opportunità a belle passeggiate.
Si può con non molta strada oltrepassare il confine di stato e rientrare in Italia dirigendosi a Platischis (2 ore) ovvero a Montemaggiore (3½ ore) ovvero a Prossenicco (1½).
La via per la prima località ha principio nella parte alta del paese ed è per un certo tratto carrettabile e, dopo breve salita ed un non lungo percorso in piano, scende al Natisone, donde rimonta direttamente a Platischis, al quale si giunge superando la Scaletta già ricordata a pag. 505.
Il sentiero per Montemaggiore è più lungo e faticoso, perchè dopo superato il dosso che s’ inalza dietro a Bergogna, percorre, con frequenti salite e discese, l’irregolare falda della catena Montemaggiore-Stol, traversando i vari torrenti che danno origine al Natisone.
Su Montemaggiore cfr. a pag. 562.
Prossenicco si raggiunge seguendo la strada di Platischis fino al Natisone, percorrendo per breve tratto la riva sinistra di questo e, passatolo, salendo il dosso su cui è il cimitero di Prossenicco, poco oltre al quale è il paese.
Su Prossenicco vedi a pag. 564.
Altra via che da Bergogna conduce al di qua del confine è quella, in gran parte resa recentemente carrozzabile, per Lonch (Logje o Loghie, m. 518, ab. 894, posta, ¾ dfora da Bergogna), e Robedisce (Robidišče, Arbidistce, m. 670, ab. 140, l ora da Lonch), a Canebola e quindi Faedis (vedi a pag. 580 e 581).
Fino a Canebola sono circa 8 ore di strada, ed una da là a Faedis.
Più interessante delle traversate precedenti è quella del Pradolino (Predòl), per la quale dalla alta valle del Natisone si raggiunge la media presso Stupizza.
Si segue dapprima, fino a Lonch (m. 518) la via indicata nell’itinerario precedente, per discendere quindi con un ripido sentiero al Natisone, che si passa su un ponte a. 817 m. sul mare.
Si sale quindi ripidamunte verso la imboccatura settentrionale della stretta di Pradolino, consistente in una specie di stretta gola lunga circa 4 chilometri dalle pareti erte e dal fondo largo una ventina di metri ed irregolare per materiali caduti dai lati.
Il punto più alto non lungi dalla bocca settentrionale è a 496 m. sul mare; li presso è anche una fresca sorgente (temp. 9°,6 nel settembre) sgorgante dalla roccia.
Oltre la metà del percorso della stretta, ove il fondo un po' si allunga, sono i casoni Pradolino (m. 460) assai miseri e col tetto coperto di paglia.
Interessante è l’ improvviso apparire della Valle del Natisone, allorchè si giunge all’estremità meridionale della gola.
Nella discesa s’incontra a 274 m. sul mare una notevole sorgente (Zauodizza) e poco oltre si raggiunge il fondo della Valle del Natisone (m. 197) di fronte a Stupizza.
Per giungere a questo paese conviene passare il Natisone a guado.
V’è pure un sentiero che costeggia il fiume sulla destra e raggiunge 4 km. più a valle il ponte del Pulfero.
Da Bergogna a Stupizza per il Pradolino sono circa 8 ore e quasi 4 fino al Pulfero.

I dintorni di Bergogna sono interessanti sotto l’ aspetto geologico specialmente per terreni glaciali (argille e morene) deposti da un ramo del ghiacciaio quaternario dell’ Isonzo che occupava l’alta valle del Natisone.
Questi depositi sono profondamente erosi dai corsi d’acqua attuali, onde si possono esaminare con cura in più punti.
Cfr. in proposito Tellini, Intorno alle tracce abbandonate ecc. specialmente carta geol. al 25000 che accompagna la memoria) e
PENCK e BRUCKNER Die Alpen ecc., pag. 1032-1035.
Nella traversata verso Montemaggiore sono da osservarsi anche i crostoni detritici che rivestono i pendii meridionali della catena Montemaggiore - Stol ed inoltre le singolari condizioni di contatto dell’ eocene col Trias lungo la piega-faglia che segue la catena stessa.
Quelle si osservano meglio che altrove nella valletta del Rio Bianco.
Le passeggiate a Platischis e a Canebola sono interessanti per l’ osservazione dei terreni glaciali sopra indicati e poi di quelli eocenici.
Più notevole è l’ ultima delle escursioni precedentemente descritte.
La stretta di Pradolino può interessare lo studioso sia per la sua morfologia sia per le condizioni geologiche.
Appare come una valle abbandonata, e col fondo frammentato dai cumoli di materiale di falda e di frana che nessun corso d’acq naha allontanato ed allontana.
Si pensò che essa segnasse un antico corso del Natisone (cfr. Marinelli (O.), La chiusa di Pradolino, « In Alto », 1894, pagine 78-74), ma ciò che sembra ancora più probabile è che da essa passasse l’ emissario della fronte del grande ghiacciaio dell’Isonzo che occupava l’alto bacino del Natisone
(cfr. in proposito Penck e Bruckner, Die Alpen ecc., pag. 1033-1034).
La traversata della chiusa di Pradolino permette anche di vedere la regolare successione degli strati dall’eocene alla dolomia principale, nella gamba occidentale dell’ellissoide Matajur-Mia-Lubja.
Nella creta sono anche alcune piccole caverne;
Pianta della grotta di Tanadjamo
Pianta della grotta di Tanadjamo
furono descritte (TELLINI, Peregrinazioni, ecc., « In Alto »,‘ 1899, pag. 11-12) quella di Tanadjamo utilizzata dai pastori, lunga una sessantina di m., che si apre a 685 m. sul mare pochi passi ad est delle casere Tampariani, e quella di Podjama, circa 50 m. piu in basso della precedente, dalla quale esce un piccolo ruscello, che si può risalire per una ventina di metri.

Salita allo Stol

Bergogna e Sedula sono i luoghi più opportuni per salire lo Stol, la cima più elevata (m. 1668) della lunga catena che si stende fra il Torre e l’ Isonzo, prendendo successivamente i nomi di Gran Monte, di Montemaggiore ecc.
La salita dello Stol, come quella delle altre cime delia catena, è facilissima potendosi fave da ogni lato; ma si presenta faticosa se si compie per gli erti prati del versante meridionale, mentre dall’opposto non presenta alcuna località che possa servire da comodo punto di partenza.
Quindi la cima non è salita di frequente.
Da Bergogna (m. 557) si prende il sentiero che prima raggiunge la isolata e bianca chiesetta di S. Margherita (m. 973) e quindi continua ripido fino alla cresta del monte che raggiunge un po’ ad occidente della cima.
A questa si sale facilmente lungo la cresta stessa (3 ore da Bergogna).
Assai bella è la vista che si gode dalla cima dello Stol; spiccano particolarmente i maggiori gruppi delle Giulio e più che tutto quello del Canin, che sorge vicinissimo e in tutta la sua imponenza.
Interessante è anche la vista sulla valle dell’ Isonzo e del Natisone.

Nella salita dello Stol lungo il versante meridionale del monte si osservano crostoni quaternari (falde detritiche cementate) che lo rivestono per vasti tratti confondendosi con i depositi morenici e mascherando in molti tratti il contatto fra eocene e trias, che qui avviene come nel resto della catena in modo anormale, a causa della piega-faglia altrove ricordata.
La cresta dello Stol è costituta dai calcari selciferi, che seguitano anche nel versante settentrionale, ove - in corrispondenza al decorso di un sinclinale che seguita oltre l’ Isonzo nella conca di Dresniza — compaiono marne scag.liose e rocce eoceniche.
Dal punto di vista morfologico è notevole l’esistenza di un piccolo circo dietro la cima dello Stol.
Per lo Stol è notevole anche il contrasto fra la flora dei due versanti, ciò che il Beck von Mannagetta (Die Verbreitunq der Mediterranen illyrischen, ecc ,.- Sitzungsber. d. Ak. d. Wiss in Wien. Math. Nat. Xl. », Bd. 116. 1907, pag. 57 attribuisce alla completa distruzione del bosco dal lato meridionale.

Salita al M. Mia

Fra i monti dell’ alto bacino del Natisone oltre al Matajur ed allo Stol merita di esser salito il Mia, col qual nome — significante confine — si indica la montagna, isolata dal corso del Natisone e dalla stretta del Pradolino.
La sommità - conosciuta più precisamente con nome di Jesen nei paesi dell’ alto Natisone e con quello di Scarbina dagli abitanti del medio - è assai irregolare per cavità carsiche e nel complesso foggiata ad altipiano.
Il punto più elevato - m. 1244 - non coincide nè con quello trigonometrico austriaco (m. 1189) nè con quello italiano (m. 1228), ma è intermedio fra i due.
La via più opportuna per la salita è quella del versante settentrionale che ha principio ad un mulino (m. 250 circa) sul Natisone di fronte a Creda, da dove si raggiunge in pochi minuti passando il fiume su di un ponticello pedonale (di Corito).
Il sentiero mantenendosi presso la costa del monte (Comàrio) in alcuni tratti boscosa, in altri nuda, sale verso la cima, senza però raggiungerla, perchè girando sotto questa e costeggiando quasi il confine politico, seguita verso i casoni Narazuore.
Dal sentiero però si sale senza alcuna difficoltà alla costa del monte e quindi alla cima. Per via si incontra un cippo di confine con la data 1841.
La salita richiede quasi 3 ore.
Dalla cima si gode discreta vista sui monti vicini; per guardare giù nelle valli, conviene però raggiungere l’antecima su cui è il segnale trigonometrico italiano (m. 1228).

Attraversando la regione di tipo carsico, tenendosi verso ponente, si discende facilmente (½ ora) ai sopra ricordati casoni Narazuore (m .1003), che sono assai miseri, costruiti con muri a secco e tetti di frasche o lastre, circondati da poveri campicelli ed abitati per pochi mesi. Un sentiero ripidissimo scende a zig zag verso il fondo della stretta di Pradolino, che si raggiunge a metà del suo percorso, in circa unf ora.
Di lì a Stupizza, per la via descritta a pag. 650 è un’ altra ora di cammino.

---+++Geologia del monte Mija La escursione al Monte Mia è geologicamente interessante non solo per l’ osservazione delle forme carsiche della sua cima e della stretta di Pradolino, ma per lo studio dello poco chiaro condizioni nelle quali avviene, verso nord, il contatto fra l’ eocene ed i terreni secondari ed inoltre per la serie di questi in tutta la parte superiore del monte.
Per via si incontrano calcari cretacei con sezioni di nerinee e di caprine, poi calcari selciferi, poi verso a sommità calcari con sezioni di piccoli gasteropodi, probabilmente nerinee.
Calcari selciferi sono ai casoni di Narazuore, ma inferiormente a questi, discendendo verso il Pradolino si trovano di nuovo calcari con forme simili a nerinee.
Alle falde del M. Mia, nelle zone ricoperte da grossi massi calcarei e rivestite di scarso bosco, lo zoologo può raccogliere la « Vipera del corno » (Vipera ammodytes), specie poco comune che, se si eccettua una isolata località del Trentino, tocca in Friuli il limite occidentale della sua area di diffusione.
Ivan Trinco
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