Le chiese

Chiese - Campanile - campane - Preti - Coro - Le croci - Le Cappelle

La prima chiesa

Nel 1700, i Montefoscani erano costretti ad andare fino ad Antro che era la fara del paese. In inverno, quando erano isolati per via della neve, dovevano conservare il morto nel solaio della casa, qualche volta fino a venti giorni. Negli ultimi del 1800, i paesi più vicini come Montefosca, Erbezzo, Goregnavas, Calla, Zapatocco si sono associati per costruire la chiesa con il campanile dedicato a Sant’ Andrea. A Montefosca, la prima chiesetta fu costruita in pietra e argilla a Cras sul cuzzolo vicino a Dolina dove sarebbe oggi il centro di Montefosca. Lasciati troppo a lungo senza tetto, i muri cominciarono a spaccarsi per il freddo ed il gelo. La famiglia Specogna Mekina abitava nella vecchia casa a Brieka e, nel 1912, Luigi fu testimone del crollo della chiesetta. Sentì un grande rumore seguito da una nuvola di polvere e vide una persona straniera ridere di questo danno. Contemporaneamente alla costruzione di questa prima chiesa fu fatto anche un cimitero ( britf) che fu, più tardi, spostato e ingrandito, dando così più spazio fra la chiesa ed il cimitero.

La seconda chiesa

Dopo, questo posto fu abbandonato per un altro più basso verso Paceida. Questo terreno apparteneva alle famiglie Marniac, Šiornu, Čiak, Ziukiz e Gorac . Il lavoro si svolse nell’arco di cinque anni (tra il 1928 ed il 1933). All’inizio, la chiesa era quadrata con un piccolo altare attaccato al suo fianco. Inaugurata il giorno della Madonna di Grazie, ne prese il nome. Il pulpito e le scale erano di legno. La Messa si celebrava ogni giorno soltanto in presenza di Pre Beppo. L’altare fatto di marmo bianco era grande. Dopo quattro o cinque anni, Pre Beppo fece di tutto per spingere la gente a cambiarlo. Conservò soltanto i candelabri. La chiesa fu ingrandita nella parte lunga di una navata e, nello stesso tempo, anche la sagrestia. Attualmente, l’altare è fatto di marmo di colore verdolino e, nel coro, si vedono ai fianchi della Madonna di Grazie, San Rocco e San Valentino.

Il campanile

Il primo campanile era di legno ed alto circa dodici metri. Scoppiata la prima guerra mondiale, lo stato austriaco ebbe bisogno di bronzo e le tre campane furono spezzate e portate giù a Pulfero per essere trasformate in armi da guerra. Certe persone avvisate ebbero la bell’ idea di nascondere qualche pezzo. Nello stesso tempo fu anche distrutto il campanile. Nel 1923 fu costruito il nuovo campanile. Per l’occasione, fecero venire da Torreano un tagliapietra che fu aiutato da Zantovino Antonio. Tranne lui, la manodopera era montefoscana. Dobbiamo ricordare che, dopo l’edificazione di questo campanile, accadde un dramma nel 1929 : Cencig Angelo Tojac cadde giù. Morì cinque giorni dopo in seguito alle sue terribili ferite. Tre campane furono fuse nel 1925 dall’Antica Premiata Fonderia Vescovile Luigi Cavadini e Figlio a Verona. Negli anni 1950, la piccola campana fu smontata e così, a Udine, Lucio Broili fuse una grossa campana per un costo ridotto grazie ai pezzi nascosti durante la prima guerra. La gente aspettò fino al 1952 per ottenere una terza grossa campana. Fu caricata a Udine e portata su un camion fino a Zapatocco dove tutti i Montefoscani aspettavano con impazienza questa bellissima campana di colore argento. Si precipitarono con forza per metterla su un grande slittone fatto apposta da Uolac . La legarono solidamente con corde perché essa non scivolasse a causa delle forti pendenze e così poterono affrontare la grandissima difficoltà del percorso attraverso boschi e prati. Quando arrivarono a Brieka , fecero una bella pausa e tutti bevvero un bicchierino di grappa prima di lanciarsi verso Budrin . Nonostante questo sforzo spossante, la portarono davanti alla chiesa in mezza giornata. Per finire, gli uomini tirarono su la campana con Cencig Giuseppe Špelat seduto sopra. Dopo, ci fu una grandissima festa nel paese. Ogni campana aveva la sua corda che arrivava fino a terra ed era azionata a mano. A volte si mettevano in tre per farle suonare ma di solito, era il sagrestano ad azionarle tutte e tre. Erano sempre azionate nello stesso ordine (la grossa, la media e la piccola). Secondo il modo di suonare, la gente sapeva che cosa era accaduto. Le campane erano l’anima del paese. Oggi, tutto è automatico ed i tecnici elettronici fanno il lavoro di regolazione. Si sentono le ore, la chiamata per la Messa e l’annunzio del lutto. Per cambiare l’ora, ci sono bottoni da spostare e da tirare fuori. Ogni bottone ha la sua funzione ; sopra è scritto : - due campane, una campana, piccola campana, grande campana. I tecnici hanno programmato tutto con l’aiuto di Laurencig Giuseppe Balan e Cencig Ettore Leban e vengono regolarmente a mantenere il meccanismo.

Zantovino Antonio, dopo aver finito il suo lavoro come tagliapietra sul campanile, ha anche scolpito questa fonte battesimale che si pùo vedere, oggi, nella chiesa di Montefosca.

Iscrizione sulle campane


Ecco quello che si pùo leggere sulle tre campane : - Campana piccola: Opera di soccorso per le chiese rovinate dalla guerra – Venezia – Resurgent – Risuscitata, Montefosco 1925 Luigi Cavadini e figlio in Verona ;

- Campana media - Antica Premiata Fonderia Vescovile Luigi Cavadini e figlio in Verona 1925. Me fregit furor revixi italiam clara voce deumque canens Montefosco (La follia mi ha distrutta, ho ricominciato a vivere, cantando con voce chiara per l’Italia e Dio a Montefosca).

- Campana grande: Vicaria di Montefosca, fuse Lucio Broili, Udine 1952 A fulgure tempestate et ab hostibus libera nos domine (Dal fulmine, dalla tempesta, dai nemici, liberaci Signore !) Ai suoni di quelle campane mancava solo la parola : adesso l’abbiamo!

Le campane e le loro funzioni

In tutto il mondo, le campane ebbero sempre un posto predominante, una relazione quasi affettiva con la gente. Queste tradizioni furono tramandate da secoli e anche se oggi certe funzioni sono dimenticate, rimangono le più importanti. Le campane battezzate dalla Santa Chiesa sono diventate sacre e, per questo motivo, rispettate. Nei piccoli paesi specialmente quelli di montagna, le campane ebbero sempre un ruolo informativo par annunciare sia gli eventi felici che tristi. La maggior parte del tempo, la gente era nei campi, nel bosco, nei prati, cioè fuori dal paese ed era avvertita dalle campane per qualsiasi novità. Questo era il compito del sagrestano che, per riuscire a far suonare le tre campane, faceva un nodo con la corda della grande campana al suo piede destro e, con le due mani, azionava la corda a nodi della media e della piccola. Molti dodicenni erano già capaci di fare questo lavoro. A certi giovani piaceva scherzare con le campane pur sapendo che era vietato e rischiavano di farsi punire.

Vediamo adesso le funzioni in dettaglio : A Montefosca, ogni giorno per tre volte, si sentiva e si sente ancora oggi suonare la grande campana : - alle sei del mattino, per annunciare il risveglio (in dialetto locale, si chiama Jutrinca ) ; - a mezzogiorno, ricordiamo che, nel passato, gli uomini si scoprivano la testa con riverenza ; - la sera, alle diciannove (d’inverno), alle venti (d’estate), è chiamata localmente Vičerjnca , diventata Ave Maria con l’arrivo di Don Rojatti. Accadeva, a volte, che il battente andasse al contrario del movimento della campana. Allora, il sagrestano era obbligato a riprendere quest’ anomalia ritenendo energicamente la campana con la corda. Questo sbaglio, in dialetto locale, viene chiamato “Sej premoknilo” . Di domenica, un’ora prima della messa per annunciarla, si suonava due a tre minuti con la piccola campana, chiamata localmente “Ta prvo”. Mezz’ora dopo, si suonava per lo stesso tempo con la campana media. Mezz’ora dopo, si suonavano le tre campane poco prima dell’inizio della Messa, in dialetto “Se zuanilo notr”. Emettevano un suono gioioso Din, Dan, Dom che voleva dire “Puij ta dou, puij ta dou”. Quando, per esempio, una persona era gravemente ammalata e non poteva più uscire dal suo letto, con un campanello ed una lanterna a petrolio, il prete si spostava seguito da una piccola processione. Mentre la gente rimaneva fuori, il prete faceva due segni di croce, uno sulla fronte, l’altro sul torace con l’olio santo per dare l’estrema unzione e la communione dopo la confessione. In questo caso, si suonava la grande campana soltanto da una parte con ritegno e solennità : “Dom, dom”. Quando si sentivano suonare le tre campane in un modo diverso da quello della chiamata per a messa (Dom, Dan Din), annunciava il decesso di un compaesano o di uno che era emigrato all’estero. In quei tempi, morivano tanti bambini e per loro, si suonava la piccola campana nello stesso modo anche quando erano sepolti ( Od zuanit ). Per gli adulti, si usava la media ( Ta Sriednja ) ; per i sacerdoti, come quando sono morti i fratelli Štief e Premario, si usava la grande. In generale, si accompagnavano i defunti al cimitero con il suono triste delle campane sino all’ultimo addio ( Sej Od Zuanilo ). Si suonava anche soltanto da una parte della grande campana per dare l’allarme come, per esempio, quando la casa della famiglia Čep a Paceida prese fuoco (ricordiamo che all’epoca il sagrestano ( Meznar ) era Cencig Giovanni Matjulu ) o quando Cencig Guerrino Mon si nascose in una meda a Brieka o quando si perse Battistig Renzo. Per scongiurare il brutto tempo, soprattutto la grandine, si sentivano a lungo le tre campane a contro suono e mescolate apposta. Per fortuna, ogni sabato, le campane suonavano anche allegramente per annunciare la Messa della domenica o in settimana. Quando capitava la sagra, suonavano un giorno prima Din Dan Dom. Durante le processioni ( Precesia ) del Corpus Domini, si scampanava circa per tre quarti d’ora. Si suonava anche quando si portava fuori dalla chiesa il sacro cuore di Gesù. Quando non c’erano gli scampanatori, si usavano le tre campane allegramente Din Dan Dom. La gente è sempre vissuta al ritmo delle campane e questo vale ancora oggi. Ora è il meccanismo elettrico e automatico che fa suonare le campane. La mano dell’uomo serve soltanto ad azionare i pulsanti e non si può più scampanare : questo è il dramma della modernità...

I preti di Montefosca

Nel 1935, Montefosca contava 554 anime ; ciò giustificò la venuta di un prete. Il primo fu Don Giuseppe Rojatti, nato nel 1910 a Faedis. Rimase fino al 1944. Nello stesso tempo, per un periodo di due mesi, venne il missionario Don Vittorio Canciani. Il secondo sacerdote fu Don Eliseo Artico che arrivò nel 1946 da Buia con sua madre.Ebbe l’idea di far costruire la cappella per la Santa Madonna di Lourdes in un posticinoche si chiama Ognjišče . Al giorno d’oggi, ci si dice Messa ogni 11 febbraio. Il terzo prete fu Don Eugenio Osgnach. Venuto da Osgnetto (San Leonardo) rimase cinque anni e fece anche il maestro nella canonica dove i bambini erano tutti insieme nella nuova scuola. L’ultimo fu Don Elio Ordiner venuto dalla Carnia. Abitava a Gorenjavas e veniva ogni domenica a dire Messa. Se Montefosca ebbe la sua parrocchia, fu merito di Don Rojatti che, nello stesso tempo, sviluppò anche il paese. La parrocchia fu soppressa dopo Don Eliseo ed i vecchi registri di matrimonio e battesimo furono trascritti a Goregnavas ed, oggi, sono a San Pietro.

Da sinistra : CERNET Fabio Rožu, CENCIG Aldo Bazinkn, CENCIG Pio Šiornu ZANTOVINO Luigi Peroškn, Don Eugenio Osgnack, Mario di Belluno, SPECOGNA Fabio Čipčiu, SPECOGNA Berto Čipčiu, BUNIN Pio Kračiu, Italo di Belluno

Il coro - Cantoria

Nel 1935, il prete Don Rojatti da Faedis arrivò a Montefosca. Creò un coro perché vide subito che la gente aveva una certa predisposizione per il canto. Restava soltanto da insegnare loro il modo giusto di cantare ; ebbe una grande pazienza, soprattutto con i giovani. Per portare avanti questo coro, occorreva uno strumento. Lui conosceva la musica ed era capace di suonare l’armonium. Propose agli abitanti del paese di mettersi insieme per comprarne uno. Ogni domenica, una ventina di giovani dell’azione cattolica (tra i quali erano quelli del coro) andavano a raccogliere fondi dalle famiglie. Quando la gente non poteva dare soldi, dava prodotti che erano venduti (uova). La ricerca del finanziamento durò circa due anni e un armonium, finalmente, fu comprato da Camillo Montico, Pianoforti, musiche, strumenti, radio, Via Vittorio Veneto, Udine. Fece una selezione fra la gente per avere le voci migliori nel coro. Erano : I BASSI: Zantovino Luigi, Cencig Narcisio (fratello di Ettore), Cencig Antonio ( Šiornu ) (zio di Pio), Specogna Antonio Danielu , Cencig Giuseppe ( Te Gorenj ), Specogna Alessandro ( Štief ). I SECONDI: Cencig Giobatta ( Lebanu) , Laurencig Angelo e Pio ( Balanu ) (fratelli di Berto), Cencig Luigi ( Uancu ) e altri ma meno importanti. VOCI BIANCHE: Laurencig Giuseppe ( Balanu ), Cencig Mario ( Matoga ), Cencig Geremia (fratello di Celio), Cencig Iusto ( Uancu ), Cencig Luigi ( Tojacu) . Più tardi, sono arrivati Cencig Pio ( Šiornu ), Cencig Elio ( Tojacu ). In un anno, hanno messo a punto la Messa di Tomadini, compositore di musiche Sacre. Tutta la Messa era cantata in latino e i paesi più vicini venivano ad ascoltarla. Grazie all’insegnamento di Pre Beppo, impararono ad essere intonati. Conoscevano anche i canti degli alpini, specialmente Stelutis Alpinis, cantato anche in chiesa. Quando faceva troppo freddo nella canonica, le prove si facevano da Pietro Leban . Andavano a cantare a Lasiz per San Antonio. Laurencig Giuseppe e Cencig Attilio erano, all’epoca, sagrestani. Con l’aiuto del missionario Don Vittorio Canciani, Giuseppe, che aveva 12 anni, andava in chiesa ogni giorno per imparare l’Ave Maria di Schubert. Poco tempo dopo, si esibì come solista, accompagnato da Don Vittorio, nella chiesa di San Pietro. Don Vittorio si è subito accorto delle capacità del ragazzo. È andato spesso a trovare il padre per convincerlo a mandare suo figlio in una scuola di canto. Anche se rifiutò di farlo per mancanza di soldi, avrebbe dovuto lasciargli fare il seminarista a Torino dove l’insegnamento era gratis. Forse Giuseppe avrebbe fatto carriera nel canto. Cencig Pio Šiornu iniziò il canto con Cencig Pio Matjulu e Cernet Beppo ; cantavano sempre insieme. Il coro di chiesa era il più capace per cantare a quattro voci tutti i canti sacri. Pio ci racconta : “ Più tardi, raggiungemmo anche noi questo coro. Dopo la messa, fuori chiesa, si intonava spesso Stelutis Alpinis. Venivano ad ascoltarci da Calla, Maserolis, Goregnavas. Era tutto merito del nostro sacerdote Don Rojatti (Pre Beppo) che ci insegnava la musica. Laurencig Giuseppe e Angelo (Balanu), Zantovino Giovanni, Cencig Iusto Uancu e Cencig Bruno Rošlnu erano i migliori del coro. Cantavamo la messa dietro l’altare con Pre Beppo all’armonium. Questo sacerdote riposa a Faedis e, poco tempo fa, andai a raccogliermi sulla sua tomba. Dopo avere imparato a cantare con il sacerdote Pre Beppo, la gente ci spinse ad incontrare un professore di canto e così, andai con Cencig Pio Matjulu a Udine in via Cavour. Facemmo una prova di tre canti e questo professore disse subito che avevamo le doti per cantare ma ci occorrevano due milioni di lire dell’epoca. Eravamo convinti delle nostre capacità ; dovevamo soltanto arrenderci all’evidenza che, senza soldi, non si poteva fare niente. Ogni volta che ho l’occasione di ripassare davanti alla casa di via Cavour, mi ricordo sempre con nostalgia di aver sognato un certo tempo di diventare cantante anch’io ”. Registrazione da Radio Ljubjana in casa di Pio La fama di Pio ha superato il confine e, poco tempo fa, è venuta la Radio di Ljubjana a casa sua per registrare una quindicina di canti con sua moglie Pia. Dopo aver cantato per tre ore circa, hanno anche spiegato come si viveva una volta a Montefosca. Sono stati invitati a Ljubjana ma non sono voluti andarci per diversi motivi.

La croce Gor na urh

Oggi, se si vede questa croce in questo posto è in seguito ad un fatto particolare che nessuno può negare. Dopo un’ apparizione della Madonna di Monte Lussari, Cencig Ustin Goriš fece fare una croce di legno da Cernet Antonio e Battistig Gino di Paceida. Andando a pregare a Monte Lussari, ne riportò una Madonnina messa sulla croce in un quadro di cemento protetta da una rete di ferro. Tutto questo è successo negli anni 1930. Quindici anni fa, fu restaurata da Specogna Giuseppe Baziaku. Dopo, siccome la Madonnina si ruppe, Trigona Alma Vcencua ne comprò un’altra a Monte Lussari. Ė l’unica croce che si vede fuori dal paese. Nessuno, passando vicino, dimentica di fare il segno della croce e di mettere qualche fiore. Questo calvario fa parte oramai della storia locale. Ancora oggi, alcuni anzani si ricordano di aver sentito dire a proposito di questo posto che, nel passato, erano seguite della loro ombra e spariva arrivando vicino a questa croce. In quei tempi, gli Škrat erano presenti nei pensieri della gente ogni giorno.

La croce da Pičin


Cencig Pietro, chiamato anche Cristan e Pičin, nato nel 1900, aveva un’ osteria a Liesa. Era cattolico e molto praticante ; si inginocchiava davanti a tutti i santi ed a tutte le croci che incontrava per strada. Guarito dopo una lunga malattia in seguito ad un forte esaurimento decise, nel 1935, di ringraziare il Signore facendogli una bella croce di legno che si pùo vedere, ancora oggi, fissata sul muro esterno della sua casa. Questa croce dalle belle sculture fu realizzata da Laurencig Mario Balanu, un bravissimo falegname bene attrezzato.Poco tempo fa, Cencig Dante (nipote di Pietro) la restaurò e la coprì di una lamiera per proteggerla dalla pioggia.

La cappella a Ognjišče

Questa cappella si trova sul sentiero fra Montefosca e Stupizza dove c’é un posticino chiamato Ognjišče. L’origine di questo nome si spiega forse dal fatto che, una volta, il fuoco si faceva in mezzo alla casa e quindi c’era un mucchio di brace che si chiamava “ognjišče” (focolare). Quella zona ripida era il solo posto dove i boscaioli potevano fare del fuoco, sia per riscaldarsi sia per far da mangiare. Da questo fuoco ripetuto in diverse occasioni si formò un mucchio di brace chiamato Ognjišče. Il terreno e il filo a sbalzo appartenevano alla famiglia Kruč. Molto tempo prima della costruzione della cappella, questo posto serviva a ricevere la legna del primo filo (da Robe a Ognjišče) e lì c’era uno sbalzo dove la legna si fermava. Poi c’era un secondo filo verso Bodrino. Da lì, i boscaioli lo portavano fino a Stupizza con la carriola o sulle spalle. Dobbiamo anche ricordare che, in un momento di sosta, un uomo stanco, affaticato dal peso, si addormentò e ruzzolò dietro un albero, uccidendosi. Si chiamava Tonca Kruč. Quando risalivano un po’ ubriachi da Stupizza, gruppi di uomini si fermavano spesso lì per chiacchierare ore e ore. Ciascuno raccontava la propria favola sperando che la sua fosse più straordinaria di quella del compagno. Spesso si finiva con le storie degli Škrat. Don Eliseo Artico voleva una cappella che fu costruita circa nel 1950 con il materiale rimasto dalla nuova scuola elementare. Fu dedicata alla Santa Madonna di Lourdes. Fu deciso che la Messa si sarebbe celebrata l’undici febbraio di ogni anno. Oggi, questa tradizione si perpetua ancora. La gente metteva un obolo per poter comprare fiori e candele ma, spesso, i ragazzini quando scendevano a scuola, rubavano una parte di questi soldi per comprare sigarette. Questa cappella servì anche da sosta per tutta quella gente che ritornava a casa carica come muli. Approfittava di quel momento per fare una preghiera o almeno il segno della croce. Tante volte ha anche fatto da rifugio per mettersi al riparo dalla pioggia. Ai giorni nostri, questo sentiero serve soltanto alla gente appassionnata di passeggiate ed alle associazioni che lo tengono pulito (cacciatori, CAI Valnatisone).

Cencig Angelo Kolariu, nato nel 1937, si sposò con Rosina, di origine calabrese. Dopo moltissimi anni di attesa, ebbero finalmente un figlio e, per ringraziare la Madonna di questo dono, eresse, negli anni 1960, sul suo terreno vicino alla strada, una cappelletta in cui mise una Madonna con vestiti neri portata dalla Calabria.

Preghiere, processioni, usanze

ROSARIO
Quasi in tutte le case del paese, ogni sera si sentiva recitare il rosario. Possiamo dire che era la preghiera più usata. La maggior parte della gente lo faceva di sera, seduta intorno alla tavola prima di mangiare o altri dopo cena. Quando tutto il paese era fermo e tranquillo, specialmente d’estate, saliva un mormorio fervente dalle porte aperte di tutte le case con una grande devozione ai santi. Certe famiglie sapevano anche cantarlo. Ci volevano tre quarti d’ora per recitarlo intero. Durante queste preghiere, tutte le vie erano vuote e il paese assomigliava ad una chiesa aperta. I bambini avevano molte difficoltà a rimanere tranquilli e silenziosi ma sapevano bene che non si scherzava a quel momento ; in ogni modo, il padre non li permetteva. Gaudioso, doloroso, glorioso sono i tre misteri del Rosario. Si inizia con il Padre Nostro, dieci Ave Maria, Gloria, Eterno Riposo e tutti i Santi. Si ricomincia da capo totalizzando cinquanta preghiere. Questa preghiera è fatta ogni volta che muore una persona nel paese e, spesso, è recitata accanto al defunto. È usata anche in maggio per la Madonna e in ottobre per tutti i morti.

L’EPIFANIA
Secondo la tradizione, ogni famiglia faceva una piccola “meda” con le canne di granturco raccolte “ Sieršče ”. Si bruciavano queste canne per l’Epifania implorando i Re Magi perché mandassero tanti messi per i campi. Pregando, in dialetto, si diceva : “ Gaspare, Melchiore, Baldassare, čja mur, čja suj, čja brigan, tlé suj ! ” ; questo veniva ripetuto davanti a tutti i campi.

ALTARI FUORI CHIESA
Per il Corpus Domini in giugno, c’era un’ altra usanza che consisteva nel fare altari nel paese : uno a Paceida a Klanac , gli altri a Montefosca ( Dolina, Liesa, Pod Lindo e Zantovino). Questi altari erano realizzati con lenzuola bianche poste vicino al sentiero, un piccolo tavolo, una sedia con un cuscino, un vaso di fiori e un quadro di Gesù. Davanti ad ogni altare, la gente si fermava e il sacerdote benediceva il luogo con l’ostensorio per ottenere la benedizione dal cielo. Durante questa processione, si scampanellava per rendere quei momenti più festosi ed allegri.

VENERDI SANTO
Ogni anno, nel paese, si svolgeva la Via Crucis ( Krisana Pot ). Sul percorso della processione, si tendevano corde ricoperte di lenzuola bianche cucite al momento. Lungo il percorso interrotto ad ogni quadro illuminato dalle candele, la gente pregava di sera e di notte.

IL PERDONO ( Prdonance )
C’era un’ altra tradizione nel paese : una settimana prima della comunione solenne, i giovani dovevano passare in tutte le case senza nessun’ eccezione per chiedere perdono degli sbagli commessi durante l’anno. Il perdono era chiesto al capofamiglia, a sua moglie e ai nonni. Certi perdonavano subito ma altri obbligavano il giovane a tornare ogni giorno finché fosse perdonato. Era molto difficile ottenere questo perdono nelle case dove c’era veramente qualcosa da farsi perdonare. Il giovane aveva paura ed aspettava l’ultimo giorno, con molta angoscia perché era cosciente di farsi sgridare prima di essere perdonato. Questo sistema faceva parte della buon’ educazione che, purtroppo oggi, non esiste più.

PER I MORTI ( Za uaht an za dešice )
Nel paese per onorare e ricordare i defunti, ogni famiglia (che poteva) comprava cinquanta chili di pane portato da Loch, San Pietro o Cividale. Le famiglie Sierk, Te Gorenj e Kruč avevano il loro proprio forno e potevano fare il pane ( Hliebce ) per quell’ occasione. Quando mancava la farina di frumento, si aggiungeva quella di granturco. Per le famiglie del paese, il pane era scambiato fra loro secondo il numero di persone che le componeva. La raccolta del pane era fatta dai bambini. La gente dei paesi vicini riceveva uno o due pezzi di pane per famiglia. Nonostante la povertà, i paesani si sentivano obbligati a comprare, per quest’ usanza, pane che era un cibo raro. Si recitava il rosario con i tre misteri ripetuti cinque volte ; la preghiera faceva parte della vita quotidiana per questa gente abituata da sempre a pregare.

BENEDIZIONI E PROCESSIONI
Ogni anno, il 25 Aprile per la festa di San Marco, si ripeteva una tradizione : quella della benedizione dei campi. Tutte le famiglie realizzavano a mano un numero di croci in funzione dei campi che possedevano. Era previsto, nel centro della croce, un buchetto per ricevere un pezzo delle candele benedette chiamato in dialetto “ Vierh ”. Il sacerdote cominciava, in chiesa, a benedire tre volte tre candele messe in triangolo e appoggiate a un pezzo di tavola fissata su un palo. Concludeva con la benedizione delle croci. La processione durava tre giorni coinvolgendo Paceida e Montefosca da Hlebišče a Raunica . Il prete benediceva i campi man mano che si svolgeva la processione. La gente piantava le croci passando davanti alle loro coltivazioni e recitava le litanie dei Santi.






Il rosario dei defunti

Nel paese, quando muore qualcuno, il giorno prima del funerale, la gente si raccoglie in Chiesa per offrire l’ultima preghiera al defunto. Certe volte, pùo capitare (come è capitato a settembre del 2002 per Cencig Angelo Marniac ) che la famiglia chieda di pregare a casa. Siccome era in estate, le donne si misero in cerchio vicino alla finestra della stanza dove riposava Angelo. Fu la nipote Maria ad iniziare queste preghiere con il rosario nella mano sinistra e un libretto nella mano destra, cominciando con un segno della croce, poi implorando tutti i Santi perché accogliessero il defunto nel cielo. Maria recitava il rosario e le donne ripetevano le sue parole. Alla fine, intonarono un canto in dialetto. I familiari pregavano e piangevano in silenzio, ascoltando queste preghiere volte al defunto con gran fervore, raccoglimento e dignità. Il canto diventava commovente perché tutte queste donne pensando a Cencig Angelo avevano in memoria un uomo che scherzava e sorrideva sempre. Per loro, era l'ultimo saluto dedicato al loro compagno.

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