Serve un vero trapianto per sopravvivere

La cultura contadina.
Caratteristiche.
Ciò che è andato perduto.
Ciò che resta.
Ciò che bisogna trapiantare!
La storia ci giudicherà!

Caratteristiche della cultura contadina

Parlare di cose morte pare inopportuno, non foss'altro per il rimpianto che provoca il loro ricordo.

Tuttavia anche ciò che è morto a volte lascia tracce profonde, indelebili, conseguenze con le quali bisogna per forza fare i conti, considerando l'opportunità che la morte offre per operare eventuali, possibili, doverosi trapianti.

La cultura contadina è una di queste realtà.

Della cultura contadina bisogna mettere subito in evidenza le sue caratteristiche peculiari.

Prima fra tutte l'essenzialità.

La cultura contadina è una cultura priva di fronzoli, tutta ridotta all'osso come si suol dire, neppure una "et" in più di ciò che è essenziale e dovuto, il tutto sintetizzato nella maniera più pratica ed efficace.

La bellezza artistica

La seconda caratteristica sembrerebbe inconciliabile con la prima, eppure è anch'essa connaturale alla cultura contadina, sempre presente in ogni situazione e in ogni momento: la bellezza artistica.

Bassa considerazione

Infine, una terza caratteristica anche questa sempre presente ad ogni latitudine e in ogni tempo: la bassa considerazione in cui è sempre stata tenuta dalla cultura dotta (con le eccezioni dovute). D'altra parte la cultura contadina ha sempre manifestato una grande indifferenza nei confronti di questa situazione o perlomeno una scontata, impotente, succube sudditanza.

Storicamente, invece, sappiamo che la cultura contadina è sempre stata saccheggiata a piene mani da quella dotta, in ogni campo, in ogni settore, dalla letteratura alla filosofia, dall'arte figurativa a quella musicale e via dicendo. Anche se il termine "saccheggiata" non sempre è attinente. Perchè, a partire dal romanticismo e specie col '900, la cultura dotta o, meglio, le persone più illuminate di essa, si è apertamente e dichiaratamente ispirata alla cultura contadina. E questo la dice lunga in merito alla sua originalità e alla sua grande validità artistica.

La cultura contadina comunque, come già detto, non ha mai sofferto di vittimismo o di complessi di inferiorità. Ha proseguito imperturbabile per la sua strada, indifferente di ogni valutazione, con l'unica preoccupazione di servire l'uomo nella sua interezza, nella sua umanità, nel suo spirito ed è perfino morta in punta di piedi al momento opportuno.

Noi, a cavallo fra le due culture, quella contadina e quella industriale, abbiamo una responsabilità enorme.

Saremmo degli incoscienti se non approfittassimo, per così dire, degli organi vitali che la cultura contadina mette a nostra disposizione al momento della sua morte, per trapiantarli in questa nostra cultura nuova di zecca, ma così povera di valori.

Consideriamo brevemente le tre caratteristiche principali.

L'essenzialità della cultura contadina

Cercare e soprattutto trovare nella cultura contadina qualcosa che non sia strettamente attinente alla sua realtà, alla sua vita intesa come quotidianità, è impresa impossibile.
In termini spiccioli, in ogni aspetto della realtà contadina le cose nascono perchè se ne ha bisogno, perchè c'è la necessità di usarle per affrontare un lavoro. Così come scompaiono e muoiono al momento che non si usano più.

Gli strumenti nella cultura contadina

Consideriamo, ad esempio, lo strumento nella cultura contadina.
Se serve per un dato lavoro, lo si rifà quando è logoro, lo si perfeziona, se necessario se ne inventa uno più efficace. Ma il giorno che per quel lavoro non serve più, viene dimenticato, abbandonato, perso.
Così migliaia di strumenti, uno più bello dell'altro, uno più ingegnoso dell'altro, si sono dispersi nel nulla per sempre, nonostante i bei propositi (museo!)

Prima o poi qualcuno ci accuserà di incuria, negligenza, disinteresse, insensibilità, ignoranza!

L'abitazione nella cultura contadina

Consideriamo le case.
La cultura contadina costruiva ciò che serviva, anzi, tutto ciò che serviva ma nulla più; si costruiva così come se ne avvertiva il bisogno, secondo la necessaria grandezza, secondo le esigenze familiari, non di più.

Anche nel campo architettonico quanti ballatoi, balconi, pianerottoli, poggioli, colonne di pietra, muri a secco, e mille altri elementi distrutti e perduti per sempre, per la mancanza di norme comunali, per miopia di chi aveva autorità per intervenire o avrebbe dovuto aver competenza nell'individuare lo stile architettonico delle Valli e imporlo nelle nuove costruzioni o perlomeno mantenerlo nelle ristrutturazioni. Invece, proprio le case ristrutturate dopo il terremoto, perfino quelle con l'intervento delle "Belle Arti" (ci sono denunce precise di privati cittadini), molto spesso non solo non hanno conservato il vecchio stile ma hanno perso per sempre anche gli elementi più caratteristici.

La lingua della cultura contadina

Consideriamo la lingua.
Il principio non cambia: anche per quanto riguarda la lingua nessuna ridondanza nella lingua contadina!
Delle lingue dotte la gente comune utilizza poco più del 10% dei vocaboli. L'altro 90% non viene mai usato e spesso risulta addirittura oscuro o incomprensibile.
Nella cultura contadina tutti i termini vengono usati, perchè quelli non usati spariscono. Ne risulta un numero limitato di termini, ma tutti importanti perchè tutti usati, termini espressivi, vivi, vigorosi, significativi, comprensibilissimi, intuitivi.
E si potrebbe continuare.

E quello che potrebbe essere considerato il punto più debole della cultura contadina, ossia una tradizione assolutamente solo orale, diventa, invece, un indubbio pregio. La trasmissione orale, infatti, proprio perchè non codifica il sapere, permette una continua evoluzione, una creatività vitale, un adattamento a situazioni le più disparate con una conseguente estrema efficacia a favore solo dell'uomo. Conoscenze e sapere sono a completa disposizione di ogni singolo uomo senza eccezione! Oggi, invece, si inventa, si lavora, si produce con le macchine e per le macchine.

Qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che la cultura contadina è stata costretta a rinunciare alla tradizione scritta per l'incapacità di comunicare per iscritto. E' davvero da sciocchi pensare che una cultura che ha prodotto tanto non sia stata capace di inventare o apprendere una comunicazione scritta. Semplicemente non ne avvertiva il bisogno.
Entra sempre in gioco l'essenzialità come un principio validissimo in quanto assai funzionale, si potrebbe dire terribilmente razionale.

Il grande valore artistico della cultura contadina

In quale altra cultura in uno strumento di lavoro si ricerca anche la bellezza artistica?
Quanti strumenti di lavoro sono considerati oggi oggetti d'arte, tanto che, chi li possiede, li conserva e magari li espone nella propria casa.
Chi non è affascinato da certi vecchie abitazioni, quando sono state ricostruite fedelmente?

Non c'è sentimento che non si possa esprimere con forte intensità anche da un vocabolario così essenziale come quello della nostra lingua, anche se in maniera semplice ed elementare. Basti pensare alle parole dei nostri canti popolari. Canti limati per secoli da generazioni intere, abbelliti nella forma, nel testo, nella melodia. Nella cultura contadina solo l'ottimo sopravvive, è tramandato, perdura nel tempo.

Cultura contadina
Cultura contadina
E poi non è vera arte saper coltivare l'ambiente per ricavarne le risorse necessarie e nello stesso tempo lasciarlo integro, puro, vivo?
La nostra cultura contadina ci ha lasciato un ambiente da paradiso, dopo averci lavorato e vissuto sopra per oltre un millennio.
Noi in cinquant'anni l'abbiamo ridotto a una mezza fogna.

Bozo Zuanella e il Natisone
Bozo Zuanella e il Natisone
L'immagine è degli anni cinquanta o poco dopo. Il ragazzo più grande è don Božo Zuanella (l'altro è Bruno Frusciante), il fiume è il Natisone.

Penso non ci sia bisogno di commenti!

Il poco conto in cui è tenuta la cultura contadina

E' questo un dato di fatto, anzi il dato di fatto più preoccupante, perchè questa situazione perdura. Perciò vorrei analizzarla più dettagliatamente.
Per iniziare, potrebbe essere interessante una mia esperienza personale.

Tanti anni fa, nello scritto degli esami di abilitazione all'insegnamento, parlando del canto popolare, avevo asserito che neppure Bach avrebbe saputo esprimere in un modo più perfetto e in una forma più sintetica delle idee musicali. All'esame orale il presidente, alla presenza di due insegnanti musicisti, mi contestò la frase. Io spiegai dettagliatamente il suo significato, senza peraltro riuscire a convincerlo. Per anni mi sono tormentato per non avergli detto che non ero nè il primo nè il solo a pensare così, anzi ero in ottima compagnia, perchè quella stessa convinzione era stata espressa prima di me dal grande Bela Bartok, uno dei più grandi se non il più grande musicista del '900. Non osai spifferarglielo in faccia, perchè mi sembrava di mancare di rispetto nei confronti dei due insegnanti musicisti, che, a mio parere, non potevano non aver letto il libro di Bela Bartok sulla cultura contadina e che, non aprendo bocca, dimostravano la loro ignoranza.
Per quel presidente, plurilaureato, dirigente scolastico regionale, era inaudito semplicemente supporre che una povera cultura contadina fosse capace di produrre forme perfette o melodie dalla più alta perfezione artistica.

L'atteggiamento attuale

A quanti potrebbe essere rivolto ancora lo stesso appunto, lo stesso rimprovero!
Perchè oggi il fatto più negativo è proprio la continuazione di quell'atteggiamento nei confronti della cultura contadina.
Qualsiasi campo del passato e del presente andassimo ad analizzare, ci imbatteremmo nella stessa situazione anche volgendo l'attenzione al nostro ambito, alle nostre Valli.

L'atteggiamento attuale circa l'espressione verbale

Proviamo, infatti, a considerare uno degli aspetti più significativi di ogni cultura: l'espressione verbale.
Consideriamolo anche perchè è l'unico elemento della cultura contadina rimasto ancora intatto!

Anche l'espressione verbale, come già detto, realizza in sè le caratteristiche principali della cultura contadina: l'essenzialità, la grande espressività e, purtroppo, l'oblio, l'abbandono se non una davvero scarsa considerazione da parte della cultura dotta.

Non dovremmo faticare a convincerci che anche l'espressione verbale della nostra cultura contadina non è stata presa minimamente in considerazione a nessun livello.

Il natisoniano e i nostri uomini di cultura

Senza voler addossare nessunissima colpa a nessuno, tenendo conto che ciascuno è liberissimo di esprimersi come crede, non si può non notare come i nostri uomini di cultura non hanno avuto nessuna fiducia nella nostra parlata, se è vero che, ad esempio, Zdravko di tante poesie non ne ha scritta neppure una in "dialetto" e il Trinco (che io sappia) solamente una, fra l'altro così viva, bella, simpatica.
E se prendiamo in mano il suo "Naše molitve - molitvenik za beneške slovence" del 1951, non potremo sicuramente asserire che il testo "je po beneško", pur essendo dichiaratamente scritto "za beneške slovence".

La mia non è una critica, è semplicemente una constatazione, perchè ognuno è libero di fare ciò che vuole. Fra l'altro il testo devozionale di mons. Trinco è stato largamente adoperato dalla nostra gente, assieme ad altri due libretti di devozione in sloveno: "Venčno življenje" 1912 e "Nebeški ključ" 1913, tutti e due di Gregorij Pečjak.
Evidentemente, io penso, perchè non c'era altro a disposizione!
Ciò che mi lascia perplesso è il fatto che mons. Trinco non ha neppure pensato (prova ne è il fatto che ha apportato modifiche "letterarie" anche alle preghiere tipicamente natisoniane) che avrebbe potuto scrivere il testo in schietto natisoniano, dato che lui conosceva benissimo lo sloveno, ma conosceva benissimo anche il natisoniano (basta leggere le sue poche prediche in natisoniano). Io al suo posto non avrei avuto dubbi!

E attualmente?

Anche nel presente come nel passato, quando un uomo di cultura deve scrivere, pensa di dover scrivere necessariamente in sloveno, probabilmente (è una mia supposizione) per un problema di prestigio: la lingua letteraria dà autorevolezza al suo scrivere, il natisoniano (la lingua della gente "incolta") depaupererebbe il suo dire.

E' da sempre (e ancor più attualmente) mentalità corrente considerare la nostra una lingua secondaria, quasi inutile, da usare al massimo fra le pareti domestiche, per cose di nessun conto, o all'osteria...

Emblematico l'annuncio recente delle tre serate "Naš jezik: od piesmi do gledališča", redatto il lingua slovena!

E tutti quelli che giustamente reclamano la "messa in sloveno", suppongono che il termine "sloveno" potrebbe significare "natisoniano"?

Io (sono ormai da tempo fuori dal giro) non so neppure se sia possibile "liturgicamente" avere l'approvazione (il cosiddetto "imprimatur") per un testo di messa in natisoniano. Anche la chiesa ha (o aveva) il suo prestigio da preservare. So però che il caro don Pasquale, pur leggendo su testi sloveni, verteva sedutastante quanto gli era possibile in natisoniano. E la stessa cosa fa spesso don Božo.

Per quanto mi riguarda personalmente, già prima degli anni settanta nelle riunioni dei sacerdoti chiedevo la traduzione dei testi liturgici in natisoniano. Da poco le lingue volgari erano entrate nella liturgia (prima le preghiere liturgiche erano in latino, la lingua del prestigio). Ricordo che don Emilio Cencig (e forse lo ricorda anche lui) mi disse ironicamente: - Traduci tu "po našin" -
Fosse oggi lo farei certamente e ben volentieri!

Gli scritti in natisoniano

Comunque, perfino la stragrande maggioranza di coloro che vorrebbero esprimersi nella nostra parlata, quando scrivono, non si sa per quale motivo, si sentono obbligati ad apportare al natisoniano continue modifiche di carattere sloveno-letterario o (è ancora una mia supposizione) per mettere in evidenza la loro infarinata cultura o perchè il "dialetto" ormai non lo conoscono più!
Ho letto davvero poche volte testi in genuino natisoniano ed estremamente pochi quelli che hanno saputo cogliere l'anima della nostra lingua.
Troppo spesso anche la nostra lingua contadina è usata (come si faceva un tempo col friulano; ma il friulano quanta strada ha fatto... !!!) semplicemente per far ridere, sfruttando il suo aspetto coloristico.

Non posso non ricordare le poesie "Kapja Sonca" di Giorgio Qualizza.
Un esempio fulgido!
Penso che tutti dovremmo imparare da lui il rispetto, l'amore, la devozione verso quella che lui chiama la "sua" lingua!

La situazione a livello politico

La situazione non cambia a livello politico: salvaguardare il natisoniano, per ben che vada, può diventare oggetto di hobby.
Da salvaguardare o, più correttamente, da propagandare è lo sloveno.
A livello politico anzi è lo sloveno che deve prendere piede nelle Valli per chi sa quali supposti vantaggi, anche a costo di soppiantare il natisoniano.
Anzi ben venga finalmente questo evento!
Questa, per quanto mi consta, è la mentalità diffusa in tanti, troppi, ambienti.

Vorrei prima di continuare sgomberare il campo da ogni equivoco.
Nè io, nè nessun abitante delle Valli che pratica il natisoniano e che non è prevenuto, abbiamo qualcosa contro lo sloveno. Lo sloveno è una lingua come tutte le altre, come il friulano, come l'italiano, come l'inglese. Anzi per noi è una lingua sorella; un motivo di più quindi per essere amata.
Qualcuno potrebbe trovare nel suo apprendimento anche motivi di convenienza, data la vicinanza con la Slovenia.
Anche se, per la verità, con l'italiano o con lo sloveno o con altre lingue al di fuori dell'inglese non si va lontano, come si suol dire.
Purtroppo i nostri figli saranno sempre più costretti ad imparare la brutta (esteticamente e foneticamente brutta a mio giudizio naturalmente) lingua inglese.

Volevo solo dire che non sto parlando dell'apprendimento di una lingua nuova, apprendimento sempre opportuno o comunque di libera scelta personale.
Parlo, invece, della nostra cultura contadina, della sua relativa espressione verbale, dell'opportunità di tenere nel dovuto conto una ricchezza unica,
INSOSTITUIBILE,
una delle poche cose ancora rimaste della nostra cultura,
una vera ricchezza dalle capacità inesauribili,
una ricchezza che oggi più che mai corre il rischio dell'estinzione.

Perchè, a mio parere, ci siamo messi sulla strada della sua distruzione.
Continuiamo a vivere nell'equivoco.
Continuiamo a ignorare ciò che la stragrande maggioranza della gente delle Valli vuole o chiaramente non vuole.
Continuiamo a infischiarci del fatto che la gente, il popolo, se ne frega, in questa situazione, delle nostre iniziative siano esse per lo sloveno o per il natisoniano.
Pretendiamo una identità fasulla per la nostra gente e non ci accorgiamo che la nostra gente l'identità la possiede da sempre.
E la sua identità è il natisoniano e la sua storia, non foss'altro per il fatto stesso che nonostante tutto esso è ancora vivo e vegeto.

E io voglio sperare che nonostante tutto continui a vivere per sempre nel cuore e sulla bocca della nostra gente!
Nino Specogna

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