Toponomastica popolare slovena di Cividale

I nomi sloveni di edifici, vie e piazze
In questo breve sag­gio ci occuperemo della toponomastica popolare slovena di Cividale, cioè dei nomi di luogo che gli slove­ni delle Valli dél Nati­sone hanno dato ad alcuni edifici, vie e piazze cittadiene che essi frequentavano abitualmente.
Questi nomi sloveni erano molto noti ed usati nel passato ma il loro ricordo si è conservato fino ad oggi ed è anco­ra vivo soprattutto tra le persone anziane.

Quando i nostri antenati arrivarono per la prima volta nelle valli del Natisone, si scontrarono con i Lon­gobardi, come riferisce Paolo Diacono nella sua Historia Làngo­bardorum, ma poi si accordarono con loro e arrivarono ben presto, verso la meta dell’VIll secolo, ad una convivenza pacifica(1).

Cividale, chiamata allora Forum Julij, apparve ai loro occhi come una città molto antica e la chiamarono semplicemente Staro mésto, nel significato di “città vecchia” (2).
Questa denominazione originale slovena dI CividalE si è conserva­ta praticamente fino alla fine del secolo scorso (3) ‘e conviveva con la fOrma toponimi­ca Čedàd che è più recente ed è sorta, per aplosi, dalla forma friulana Cividat deri­vata a sua volta, dal toponimo latino Civi­tas Austriae (4).

Gli sloveni che si recavano verso a Cividale erano impres­sionati da due costru­zioni caratteristiche della città e precisa­mente dal Duomo e dal Ponte del diavolo.
Il duomo lo hanno chiamato semplicemente Velika cierku (= la grande chiesa) per distinguerlo dalle altre numerose ma meno importanti chiese della città e questa denomi­nazione è tuttora viva tra la nostra gente.
Il cosiddetto Ponte del diavolo è stato invece chiamato Velik muost (= Il grande ponte) perché era il più gran­de ponte sul Natisone conosciuto dagli sloveni delle valli del Nati­sone.
Da notare che Hudičev mostev non è altro che la traduzione dotta e recente della denominazione italiana Ponte del diavolo ed è del tutto estranea alla nostra tradizione.

NOTE

(1) Cfr. Bogo Giafe­nauer, Problemi di sto­ria della colonizzazio­ne della Slavia veneta durante il medioevo con particolare riguar­do alla colonizzazione slovena - Sta in «La storia del1a Slavia ita­liana», San’ Pietro al Nàtisone - Trieste 1978, pagg.7-23.

2) «I friulani, di origine romano - longo­barda, hanno sempre chiamato e chiamano tuttora il Santuarjo «Madonna del Monte», senza dare al monte alcun nome pro­prio. Gli Slavi, invece, lo chiamano con la denominazione «Stara gora» che significa letteralmente «monte antico».
Occorre nota­re che gli Slavi appar­vero per la prima volta nella zona nel secolo VII, e vi si stabilirono definitivamente nel secolo VIII o IX.
Essi chiamarono inoltre Cividale col nome di «Staro mesto», cioè «Città antica».

Questi nomi stanno a dimostrare che sia Cividale come Castelmonte, per gli Slavi che vennero ad abitare sino intorno alle rocce del Santua­rio, erano già nel seco­lo VIII «luoghi abitati da antico tempo» (Gìu­glielmo Biasutti, Castelmone guida storica del Santuario, Udine 1987, pagg. 141-142). -

(3) «Per i nostri Slavi, Cividale è Stari Čedad (vecchio Civi­dale), la Mecca, il loro mercato, onde tutti i sabati sembra quasi una città slava»
(Carlo Podrecca, Slavia italia­na. Cividale 1884, pag. 21).

(4) Forogiulio o Forum Jùlij, ( Questa denominazione (Città posta a oriente) com­pare già in un docu­mento del 931 e, ovviamente, non ha nulla da spartire con la nazione chiamata Austria.
Cfr. Guida delle Prealpi Giulie di Olinto Marinelli, Udine 1912, pag. 594.






Esattamente cento anni fa Simon Rutar, citando Ivan Trinko, scriveva che la Porta Brossana era da sem­pre la tradizionale «porta slovena» attra­verso la quale entrava­no in Cividale gli slo­veni provenienti dalle Valli del Natisone (1).

Questo ruolo è stato assunto in seguito, in epoca napoleonica, dalla Porta Nuova che immette nella Piazza San Giovanni che ha preso il nome dalla chiesa di San Giovanni in Xenodochio (2).

Gli sloveni erano legati a questa chiesa che probabilmente visitavano spesso, dato che la piazza antistan­te, da,loro chiamata Svet Jvàn (Ta par Své­tin Ivane) e le osterie adiacenti (Ta par Jane­ze, Ta par Puhe, Ta par Dréje) erano da sem­pre il loro naturale luogo di ritrovo.

In un quaderno, redatto in friulano pro­babilmente da un cameraro e contenente annotazioni di fitti della chiesa di San Giovanni, pagati in vino tra il 1422 e il 1424, compaiono infat­ti diversi sloveni, alcu­ni originari delle Valli del Natisone e altri dal Collio sloveno (3).

La Piazza San Gio­vanni / Svet Ivan si trova a pochi passi dalla Piazza Paolo Dia­cono dove ab immemo­rabili si svolgeva il mercato della frutta e della verdura o «delle erbe», una attività riservata di solito alle donne.
Per questo motivo sia gli sloveni che gli italiani la chiamano «Piazza delle donne» (Babji plàc).

Al mercato conflui­vano dalle Valli del Natisone, durante la stagione autunnale, ingenti quantitativi di castagne e di frutta (in prevalenza mele e pere) trasportate con carri attraverso la Piaz­za San Giovanni.
La «Piazza delle donne» si raggiunge solitamen­te a piedi da Piazza Garibaldi attraverso un sottopassaggio a volta chiamato dagli sloveni Uèlb (Pod uélban), un nome di origine tede­sca penetrato pratica­mente in tutti i dialetti sloveni (4).

NOTE

(1) «Skozi “Sloven­ska vrata” (Porta Broxana), čez suhi, z robičjem posajeni mestni jarek se pride po lepi široki cesti v zadnjo furlansko vas Sinčur (Sentjur, furl. San Guarzo)». Beneška Slovenija, Ljubljana 1899, pag. 25.

(2) Xenodochio veniva chiamato un tempo il ricovero per gli infermi, una istitu­zione cristiana che pre­cede la nascita degli ospedali veri e propri.
Nei pressi della chiesa dedicata a San Giovan­ni il duca Rodoaldo fece edificare alla fine del VII secolo uno Xenodochio, cioè una casa di ospitalità cari­tativa per viandanti e pellegrini.
Da qui il nome dato alla chiesa (San Giovanni in Xenodochio).

(3) Il quaderno ès tato pubblicato ad Udine nel 1975 da Pie­tro Londero col titolo «San Giovanni di Senodochio».
Nei Qua­derni cividalesi / 10 (1982) Pavle Merkù analizza la onomastica slovena contenuta in quel quaderno del 1400 alle pagg. 21-25.

(4) Cfr. la voce tedesca «Gewòlbe» (= volta, in particolare di una chiesa, di un ponte, di una cantina, di un sottopasso, ecc.).






Cividale era per gli sloveni soprattutto un grande centro commer­ciale e mercantile dove, su diverse piazze cittadine, si svolgeva un importante mercato che attirava dalle Valli del Natisone ma anche dai paesi sloveni, situati sul territorio degli attuali comuni di Torreano, Faedis e Attimis folle di vendi­tori e compratori.
Que­sto avveniva ogni sabato, nel giorno del mercato, quando Civi­dale sembrava «una città slava» (avv. Carlo Podrecca) e di questa opinione era anche mons. Ivan Trinko. Egli scriveva sulla rivista slovena «Dom in svet» nel 1898 che Cividale si trasformava ogni sabato in una città slovena dove conflui­vano tutti i prodotti più interessanti della Slavia e in quella occasio­ne la lingua predomi­nante era lo sloveno (1).

Interessante anche l’osservazione del prof. Attilio Tagliaferri sulla presenza degli sloveni al mercato di Cividale:
«Proseguen­do lungo via Patriar­cato e oltrepassando un arco ribassato si giunge nella piazza Paolo Diacono, un tempo centro commer­ciale della Città.
Sotto il dominio veneto, la fontana era ricoperta e provvista di una cap­pelletta per la celebra­zione della messa nei giorni di mercato, quando la piazza si affollava di gente pro­veniente dalle vicine Valli del Natisone» (2).

Gli sloveni giunge­vano al mercato di Cividale anche dalle zone di Subid, Canebola e soprattutto da Masarolis. Essi entra­vano in città attraverso Rubignacco e i loro punti di ritrovo erano situati attorno al Borgo San Domenico che è stato ben presto ribat­tezzato «Mažerski bòrg», cioè il «borgo degli sloveni di Masa­rolis» che si riunivano soprattutto in due ambienti della zona: il bar Bellina che ha poi lasciato il posto alla filiale della «Nova tržaška kreditna banka» e l’osteria che in seguito si è trasfor­mata nel «Ristorante al Fortino».

Legato agli sloveni di Masarolis è anche Piazza San Francesco situata nel cuore della città dove un tempo si svolgeva un importante mercato della legna da ardere proveniente dalle Valli del Natiso­ne.

Questa piazza è stata ribattezzata dagli slo­veni «Plac od darvi» (Piazza della legna) ma qualcuno la chiamava anche «Mažerski plàc» poiché qui si vendeva anche il carbone vege­tale che veniva prodotto dai Kuotarji (carbo­nari) di Masarolis i quali si dedicavano a questa attività non solo sul loro territorio ma anche in altre zone montane delle Valli del Natisone.

La produzione del carbone vegetale e la sua vendita al mercato di Cividale cessarono praticamente alla

NOTE

(1) «Posebno ob sobotah bi rekel, da je v Čedadu vse sloven­sko. Vse kar hribi rodijo za prodaj, vse pride na čedajski trg. Ob takih dneh prevla­duje slovenščina in še precej glasno, po sta­rih ozkih àčedajskih uli­cah; istotako po pro­dalalnicah in gostilnicah, česar še omenjati ni treba». Prim. Simon Rutar, Beneška Slove­nija, Ljubljana 1899, pagg. 24 - 25.

(2) Amelio Taglia­ferri, «CIVIDALE DEL FRIULI - Introduzione e guida all’ arte e ai monumenti della città ducale», Bologna 1983, pag. 65.






Tra i numerosi «pri­vilegi» o agevolazioni che gli sloveni delle «Contrade di Antro e di Merso» godevano sotto la Repubblica di Venezia, dobbiamo annoverare anche il diritto di esercitare il commercio dei loro prodotti al mercato di Cividale.
Ciò risulta da una «ducale» di Sil­vestro Valerio del 5 febbraio 1698 che confermava, probabil­mente, dei diritti già acquisiti e goduti da tempo.
Tra l’altro, il documento precisa quanto segue:

«Dichiara finalmente et stabilisce et alli Popoli fideliss.mi delle Contrade d’Antro et Merso, et sono Villagi trentasei, et in numero d’Anime seimilacinquecentododici in circa, non possa in alcun alcun tempo nè per qualsivoglia emergen­te negarsi di potersi provvedere per quei Mercati di Cividale e Territorio di biade d’ogni qualità pel loro necessario alimento con le sempre pratica­te formalità adherenti a loro privilegi, men­tre somministran anch ‘essi le loro pove­re sostanze in Cividale med.mo e Giurisd.ne de Laticinij d’ogni sorta, Animali Bovini e Minuti, fieno, legne da fuoco, legne da lavoro et altro» (1).

Da questo decreto della Serenissima risulta che gli sloveni delle Valli del Natisone comperavano al mercato di Cividale soprattutto biade, cioè cereali di ogni qualità, in particolare grano­turco, che in montagna non riuscivano a pro­durre (2) mentre offri­vano ai compratori animali bovini (muc­che, giovenche, vitelli, torelli), animali minuti (pecore, capretti, pol­lame), latticini (burro, formaggio e ricotta), fieno, legname da lavoro e da ardere e altro (castagne, frutta, uova e prodotti di arti­gianato locale).

Il mercato delle «biade» si svolgeva a fianco del Duomo sulla attuale Piazza del Duomo chiamata dagli sloveni «Plàc od sierka» (= piazza del granoturco).
Qui i ven­ditori friulani portavano i loro sacchi di cereali e li mettevano in bella mostra collo­candoli in fila uno accanto all’altro.
Ovviamente il prodot­to più commercializza­to era il granoturco (in sloveno dialettale sie­rak) e quindi il nome popolare sloveno dato dalla nostra gente alla piazza è del tutto appropriato.

Il mercato degli ani­mali (bovini, ovini, caprini e suini) si svol­geva, per motivi com­prensibili, alla perife­ria della città e preci­samente al di là del Ponte del Diavolo, sull’ area dell’attuale Piazza della Resisten­za. Gli sloveni chiamano ancora oggi quella piazza «Praséčji plàc» (la piazza dei maiali).
Qui infatti comperavano, tra l’altro, anche i maialini piccoli che portavano a casa per ingrassarli e macellarli.

Da notare che pres­so l’osteria Giaiotti (oggi Ristorante al Fortino), abituale ritrovo degli sloveni provenienti dai territo­ri di Torreano, Faedis e Attimis, c’erano dei recinti o porcilaie dove i maialini appena comperati venivano «parcheggiati» in atte­sa di intraprendere con i nuovi padroni il viag­gio verso le loro nuove destinazioni.

NOTE

(1) Carlo Podrecca, Slavia italiana, Cividale 1884, pagg. 121-122.

(2) Gli sloveni del Natisone si procurava­no questo importante prodotto per la loro alimentazione anche mediante il baratto.
Essi portavano per i paesi del Friuli, ricchi di «blave», soprattutto le castagne e le mele e le scambiavano o barat­tavano col granoturco.






Sull’ area dell’attuale Piazza Diaz, chiamata dagli sloveni «Kakošji plàc» (= la piazza delle galline), si svol­geva ogni sabato il mercato non solo delle galline, che rappresen­tavano la parte più consistente della merce, ma anche dei polli, dei conigli, dei colombi, delle uova, del burro, che gli slo­veni portavano al mer­cato per ricavare qual­che soldo.

Al di là del Ponte del diavolo, proprio all’inizio del Borgo di Ponte, c’era un angolo che qualcuno chiama­va «Tàrg od grabij» (= il mercato dei rastrelli) dove venivano posti in vendita i rastrelli di ogni tipo confezionati dagli artigiani di Terci­monte in comune di Savogna.
Questa atti­vità ha consentito a diverse famiglie di sbarcare il lunario ed ha permesso di conte­nere e limitare a Terci­monte quella massiccia emigrazione che ha spopolato, nell’ imme­diato dopoguerra, diversi paesi delle valli del Natisone.

Come abbiamo nota­to, ogni sabato la città di Cividale si trasfor­mava in un grande centro commerciale sulle cui piazze si svol­gevano diversi mercati «specializzati».
Nel pomeriggio del sabato c’era la smobilitazione dei mercati e dei marcatini e Cividale riprendeva la sua vita tranquilla e riacquistava il suo aspetto tradi­zionale.

In città funzionava­no, ovviamente, ed erano aperti tutta la settimana (eccetto la domenica) i tradiziona­li negozi e negozietti che offrivano prodotti alimentari, coloniali, ferramenta ed altre merci di uso quotidia­no.(2) Gli sloveni del Natisone si procurava­no questo importante prodotto per la loro alimentazione anche mediante il baratto.
Essi portavano per i paesi del Friuli, ricchi di «blave», soprattutto le castagne e le mele e le scambiavano o barat­tavano col granoturco. La maggior parte di questi negozi era concentrata nella cen­trale e principale, via cittadina che è l’attuale Corso Mazzini. (2) cianti (1). Bràngarca era un vocabolo di uso comune tra gli sloveni del Natisone ma poi, col tempo, è stato completamente dimen­ticato ed è rimasto «fossilizzato» nel microtoponimo Bràn­garce di Cividale.

Questo è stato, pur­troppo, il destino di decine e decine di vocaboli sloveni che sono spariti dal nostro dialetto perché veniva­no usati raramente e sono stati poi sostituiti da analoghi vocaboli friulani o italiani.
Ovviamente, se nelle nostre valli ci fosse stata qualche forma di istruzione slovena, Gli sloveni del Natisone si procurava­no questo importante prodotto per la loro alimentazione anche mediante il baratto.
Essi portavano per i paesi del Friuli, ricchi di «blave», soprattutto le castagne e le mele e le scambiavano o barat­tavano col granoturco. A que­sta via gli sloveni delle valli del Natisone hanno dato molto tempo fa il nome signi­ficativo di Bràngarce (V bràngarcah) perché qui erano appunto con­centrati i vari bottegai, rivenditori e commercianti (1).

Bràngarca era un vocabolo di uso comune tra gli sloveni del Natisone ma poi, col tempo, è stato completamente dimen­ticato ed è rimasto «fossilizzato» nel microtoponimo Bràn­garce di Cividale.

Questo è stato, pur­troppo, il destino di decine e decine di vocaboli sloveni che sono spariti dal nostro dialetto perché veniva­no usati raramente e sono stati poi sostituiti da analoghi vocaboli friulani o italiani.
Ovviamente, se nelle nostre valli ci fosse stata qualche forma di istruzione slovena, tante parole, oggi estinte, si sarebbero conservate e il nostro dialetto non avrebbe subito, nel corso degli ultimi 100 anni, quel depauperamento lessi­cale che tutti conoscia­mo. Sarebbe interes­sante condurre uno studio in proposito e, sulla base dei testi dia­lettali del secolo scor­so e della microtopo­nomastica, verificare le dimensioni di questo fenomeno. (2) Gli sloveni del Natisone si procurava­no questo importante prodotto per la loro alimentazione anche mediante il baratto.
Essi portavano per i paesi del Friuli, ricchi di «blave», soprattutto le castagne e le mele e le scambiavano o barat­tavano col granoturco. L’ argomen­to potrebbe essere oggetto di una interes­sante e medita tesi di laurea.

Nota

(1) Cfr. ESSJ, I, alla voce brànjevec (m.): «kramar, majhen trgo­vec», tudi bràngar; k temu bràngarica. Izposojeno iz stare nemščine k phragener «Marktmeister» k phragen «stojnica, lopa, trgovina» (pag. 38).
Cfr. anche Jože Stabej, Slovensko -latinski slovar po: Matija Kastelec - Gregor Vorenc, Dictiona­rium latino - carnioli­cum (1680 - 1710), pag. 30, alla voce branjarica (“cinterpolatrix, brangariza, katera stare Rizhy po mésti predaja”).

Bràngar(i)ca signi­fica «bottegaia, mer­ciaia, fruttivendola» ma da noi ha probabil­mente acquisito anche il significato di «botte­ga, negozio, rivendi­ta».
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Ivan Tomažič è, con Jško ŠavIi e Matej Bor (quest’ultimo è morto da alcuni anni), uno dei sostenitori e propagatori della cosiddetta «teoria venetica» riguardante l’etnogenesisi o l'origine degli Sloveni.
Secondo questa teoria gli Slove­ni non sarebbero giunti ­nelle Alpi orientaIi nel 6° e 7° secolo (questa è praticamente l’opinio­ne di tutti gli storici) ma sarebbero riconducibili alle popolazioni venetiche che nel 1200 a.Ch. sono migrate dal centro Europa verso il sud e si sono stanziate anche sul territorio dell’attuale Veneto, del Friuli e della Slovenia.
Gli Sloveni sarebbero, dunque, un popolo autoctono discendente dai Veneti che, secon­do i succitati autori, devono essere considerati Protoslavi. A suo tempo il Dom ha ospitato numerosi arti­coli di Ivan Tomažič su questa controversa teoria (2) che ha suscitato in Slovenia pole­miche di stampa a non finire ma che è stata contestata e respinta con argomenti scienti­fici da tutto il mondo accademico sloveno (storici, linguisti, etno­loghi) (3).
Gli articoli apparsi sul Dom ave­vano soltanto lo scopo di informare i lettori, e non di avallare una singolare e stravagante teoria che da noi era già stata contestata (4).

Ivan Tomažič, leg­gendo la prima puntata di questo breve saggio sulla toponomastica popolare slovena di Cividale, si è accorto che io non condivide­vo la sua teoria e mi ha tirato le orecchie richiamandomi all’ordine con una let­tera nella quale scrive tra l’altro; «Nell’articolo “Toponomastica popolare slovena di Cividale” (Dom, I-1999) ho letto. “Quan­do i nostri antenati arrivarono per la prima volta nelle valli del Natisone, si scan­trarono con i Longo­bardi, come riferisce Paolo Diacono nella sua Hìstoria, Longobardorum».
In questa frase abbiamo due grandi errori, che continuano a ingannare la gente sulle vere origini degli sloveni.

Il primo errore è la contina ripetizione dell'assurda teoria sulla venuta degli Slo­veni, che è una vera bugia storica.
Chi è capace di darmi una sala prova di tale venuta?
Paolo Diacono che dovrebbe saperlo come nessun altro, non ne fa mai una menzione, perché conosceva gli Sloveni come popolo autocto­no.
Il secondo errore è la citazione come storico di alcune descrizioni allegoriche di Paolo Diacono su scontri con gli sloveni. Fa meraviglia che lo stesso storico sloveno Rogo Grafenauer con­sidera queste favole come fatti storici».

A questo punto il Tomažič riporta e spiega a modo suo due epi­sodi riguardanti altret­tanti scontri tra Slavi e Longobardi che Paolo Diacono registra nella sua Historia Langobar­dorum (HLVI/ 24; VI/45) e alla fine affer­ma che quei racconti non hanno alcun riferi­mento storico ma sarebbero soltanto favole, parabole, alle­gorie, esempi eroici ed edificanti.

E poi con­clude:
«Raccomando assai agli storici di leggere Paolo Diacono con gli occhi aperti e finirla una volta per sempre con la ridicola teoria della venuta degli Sloveni».

Non ho alcuna intenzione di riaprire sul Dom un dibattito sulla origine venetica degli sloveni. Mi limito soltanto a fare una semplice con­siderazione sull’ argo­mento, prendendo lo spunto dal toponimo Staro mesto col quale gli Sloveni hanno chiamato fino alla fine del secolo scorso la città di Cividale.

Se - come il Tomažič afferma con tanta convinzione gli Sloveni erano stanziati in Friuli molti secoli prima dell’arrivo dei Romani, come mai città di Forum Julij (Cividale), che sarebbe stata costruita ex novo sotto i loro occhi, il nome di Staro mesto (= città antica)? Non l’avrebbero invece chiamata - se diamo credito alla teoria sostenuta da I.Tomažič - Novo mesto = città nuova)?
Se esiste una logica e se noi accettiamo la «ridicola teoria della venuta degli Sloveni», come viene chiamata daI Tomaži#, tutto appare chiaro, direi lapalissiano e gli sloveni veneti» ritornano nel mondo della fantasia e della immaginazione al quale appartengono.

NOTE­

(1) Joško Šavli; Matej Bor, Ivan Tomaàžič, i Veneti progenitori dell’uomo europeo (Wien, 1991). Titolo ori­ginale del'opera: Veneti - naši davni predniki (Wien, 1985).

(2) Ivan Tomaàžič, Sulle tracce dei paleove­neti (Dom 1994, n. l 15).

(3) Cfr. il n. 10 della rivista slovena di archeologia “Archeo” (1990) in cui sono contestate le tesi di Šavli,. Bor e Tomažič. Gli aspetti della questione vengono analizzati sotto l’aspetto storico, archeologico, filologico e linguistico.

(4) Cfr. BZ, Gli inse­diamenti sloveni in Friuli e il “limes” longobardo. Dom 1990, n. 10, p. 3.
Božo Zuanella
DOM 1999
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