ESCURSIONE SUL MONTE MIJA - m. 1237

E' un'escursione davvero interessante sia dal punto di vista naturalistico sia biologico ambientale.

Pegliano sulle pendici della Kraguenca. Vogu, Mija, Matajur. Catena dello Stol. Catena del Kanin e Rombon
Pegliano sulle pendici della Kraguenca. Vogu, Mija, Matajur. Catena dello Stol. Catena del Kanin e Rombon

Cosa potremo osservare

Cosa si ha l'occasione di osservare nel percorso del monte Mija?
Il Mija dal Natisone
Il Mija dal Natisone
In qualsiasi posto ci rechiamo, e a maggior ragione se tale posto è un luogo suggestivo come la zona del monte Mija, ci imbatteremo:

* nella presenza di realtà fisiche interessanti, belle, a volte misteriose (rocce, paesaggi incantevoli, sassi dalle forme strane, fossili, cristalli, strapiombi, cascate, forre, caverne naturali, ecc. ecc.),

* nella presenza di forme di vita vegetale e animale forse mai ancora osservate,

* e anche nella presenza delle tracce dell'uomo non solo nei fondovalle, ma anche in luoghi lontani e disagiati e addirittura in luoghi quasi inaccessibili. Le nostre Alpi Carniche e Giulie, ad esempio, sono piene di trincee, caverne, resti di guerra fin sulle cime più alte.

Il rapporto uomo-ambiente

Il fatto più interessante e avvincente che il percorso del monte Mija ci offre è proprio quello di tentare di capire il rapporto uomo-ambiente.

La zona del monte Mija assieme alla Valle del Pradolino e del Bodrino si presta assai bene per una analisi del processo di adattamento dell'uomo all'ambiente nel tempo passato e del grande, improvviso cambiamento avvenuto nei tempi recenti.

In questa zona è possibile individuare quelle tecniche materiali e quelle conoscenze che la comunità ha dovuto sviluppare per organizzare l'ambiente e utilizzarne le risorse attraverso una cultura capace di risolvere tutte le sue esigenze materiali e spirituali.

Risulta anche facile notare contemporaneamente l'improvviso degrado di quell'ambiente che aveva raggiunto un equilibrio perfetto tra tutte le sue componenti naturali ed umane.

E questo ci aiuterà a comprendere meglio:

* la stretta relazione che intercorre tra gli eventi storici, geografici, culturali, sociali e quelli naturali;

* la loro interdipendenza;

* la loro evoluzione.

Dobbiamo convincerci che l'ambiente non è un contenitore fisico di oggetti, piante ed animali, ma un ecosistema dinamico in continua evoluzione, caratterizzato da un fitto e complesso reticolo di relazioni, scambi, interdipendenze tra tutte le sue componenti naturali ed umane.

Osservazione della natura: le piante.

Così, assieme all'osservazione e alla lettura della natura (la vita selvatica degli animali, dei fiori, delle piante; le caratteristiche fisiche del territorio) potremo osservare e interpretare gli insediamenti umani del passato come il villaggio di Predrobac, del Pradolino, della malga del monte Mija. Per quanto riguarda la natura in particolare, potremo osservare che ogni pianta si è specializzata a vivere in un preciso ambiente (microclima), lasciando così ampi spazi liberi per altre piante che a loro volta si sono specializzate a vivere in altri microambienti.

Ad esempio, la linea di demarcazione tra piante termofile (quelle che amano il caldo e perciò si situano a metà monte sulle rocce che d'estate si scaldano velocemente e in maniera molto forte) come il carpino nero (Ostrya carpinifolia) e piante mesofile (che amano la parte più mediana del bosco, perché d'estate rimane abbastanza fresca) come l'acero montano (Acer pseudoplatanus) è nettissima. Altre piante, come il frassino grande (Fraxinus excelsior), amano il fondovalle ricco di umidità, mentre la piccola sassifraga delle rocce (Saxifraga cotyledon e aizoon) si abbarbica ai sassi, alle rocce e invade i luoghi più aridi.

Osservazione della natura: gli animali.

Nella valle del Pradolino è presente il picchio nero. Non è facile individuarlo, perché rifugge la presenza dell'uomo, ma ne vedremo sicuramente le tracce. Ci imbatteremo infatti in tronchi d'albero secchi tutti scorticati, opera appunto del potente becco del picchio nero (Drycopus martius) (tutto nero ma con il capo superiormente rosso), che vi ricerca le larve degli insetti.

Nella valle del Pradolino si può osservare facilmente la donnola, che, pur avendo abitudini notturne si muove anche di giorno. Ancora più facilmente ci si può imbattere in qualche scoiattolo specie nel fondo Valle o all'imboccatura della Valle, o sentire l'abbaiare del capriolo. Sicuramente si possono osservare diversi tipi di cince (cinciallegre, cinciarelle, cince more e cincie bigie) in quanto non temono per nulla la presenza dell'uomo e sentire il loro canto. Notevole è la presenza di farfalle.

E' opportuno far attenzione alla vipera dal corno (Vipera amodytes). Nelle giornate di sole è quasi sempre visibile o nel ghiaione sotto il sentiero nella valle del Pradolino o proprio in vetta al monte Mija, mentre sta tranquillamente prendendo sole sotto la pietra sommitale.

Con un po' di attenzione potremo scoprire la delimitazione del territorio da parte di uccelli e mammiferi, individuare e riconoscere le loro tracce, orme, escrementi, resti di pasto, borre, piume, nidi.

Il villaggio di Predrobac

Più vistosa sicuramente la presenza dell'uomo, che nel villaggio di Predrobac e in quello del Pradolino è come fossilizzata, ma proprio per questo assai interessante, in quanto ci permette confronti tra passato e presente e ci offre l'occasione per comprendere il rapporto di interazione vitale tra l'uomo e l'ambiente.
Predrobac
Predrobac
Predrobac
Predrobac
Predrobac è un paesetto ormai da anni disabitato, che si trova all'altezza di Stupizza sulla riva destra del Natisone. Le casette molto caratteristiche (stanno purtroppo sempre più crollando) sono di proprietà delle famiglie di Specognis e di Podvarschis.

Ogni famiglia oltre alla casetta aveva nel villaggio anche una stalla. Dalla primavera fino all'autunno inoltrato, infatti, le famiglie si trasferivano a Predrobac assieme agli armenti. In comune le famiglie possedevano un edificio con funzione di latteria, dove producevano formaggio, burro, ricotta e batuda. Questi prodotti, assieme al latte appena munto, venivano conservati in una costruzione piccola e bassa poco distante dal villaggio.

Questa casetta era costruita sopra un crepaccio dal quale usciva, specie durante l'estate, aria molto fredda. Il crepaccio era stato sapientemente allargato e l'aria incanalata in modo da inondare tutta la casetta con la sua aria fresca e conservare come in un frigorifero moderno le sostanze sopraddette così facilmente deteriorabili col caldo. (La casetta è individuabile con abbastanza facilità al di là del ghiaione.)

Il villaggio era circondato da terrazzamenti (ancor oggi visibili), costruiti su muri a secco per ricavarne campicelli che venivano coltivati a patate e fagioli, usufruendo dell'abbondante letame.

Allora non esisteva il ponte di Loch; perciò per recarsi a Predrobac e per non bagnarsi nelle acque fredde ed abbondanti (allora) del Natisone, gli abitanti percorrevano un sentiero che si inerpicava tra le rocce della riva destra del fiume.

L'assenza del ponte tra la riva destra e sinistra del Natisone spiega il fatto che il villaggio apparteneva agli abitanti di Loch e non a quelli di Stupizza, nonostante questa disti meno di 1 Km in linea d'aria da Predrobac.

Gli abitanti di Loch approfittavano della loro presenza a Predrobac per procurarsi la legna per l'inverno e in particolare utilizzavano un plas, cioè un ghiaione ripido, che giungeva proprio a fianco del villaggio e saliva fin quasi in cima al monte Vogu. La legna, tagliata in piccoli tronchi, veniva fatta precipitare lungo il ghiaione e d'inverno, quando c'era la neve, veniva trasportata a casa sulle slitte.

Ancor oggi si può notare quanto gli abitanti di Predrobac abbiano lavorato per bonificare questo loro piccolo angolo di Paradiso. In particolare essi pulivano i prati, liberandoli da tutti i sassi, che venivano trasportati e ammucchiati nel bosco, per lasciare crescere l'erba sul prato e incanalavano sapientemente l'abbondante acqua che sgorgava in ogni angolo dalle falde del Mija.

Sulla sinistra del paese c'è un torrente e proprio là dove inizia il torrente, nasceva una sorgente dalla quale veniva prelevata l'acqua per ogni bisogno. Circa 600 m. sopra il villaggio, dove si arriva con una certa fatica data la forte pendenza, si trovano due grotte: una di queste veniva utilizzata per ripararsi in caso di intemperie, nell'altra si trovano due buche con acqua limpida e freschissima che serviva agli abitanti e anche per abbeverare le mucche al pascolo sopra il villaggio.

Predrobac si è spopolato dopo la 2° guerra mondiale, quando i giovani iniziarono ad emigrare all'estero. Non essendo più utilizzato da allora, è ridotto a un cumulo di rovine sulle quali cresce l'edera, il muschio, i rovi. Che peccato! Non era proprio possibile salvare un luogo così suggestivo e così pieno della nostra storia?!

La valle del Pradolino

La Valle del Pradolino è parte integrante dell'Ambito di Tutela B. 15, denominato ZONA TRA M. MIJA ED ERBEZZO. Erbezzo è il torrente che sfocia nel Natisone a Podvarschis. Di questo ambito di tutela fa parte quindi anche il monte Mija, parte del M. Vogu e la vicina valle del Bodrino, anch'essa assai interessante.
Mija da S. Lorenzo. A destra la grande parete, regno dell'aquila
Mija da S. Lorenzo. A destra la grande parete, regno dell'aquila
Mija da S. Lorenzo. Dietro la catena dello Stolo e, in bianco, quella del Canin
Mija da S. Lorenzo. Dietro la catena dello Stolo e, in bianco, quella del Canin
Mija da S. Lorenzo
Mija da S. Lorenzo
Nella valle del Pradolino dal punto di vista geologico si possono osservare:

* alcuni fenomeni carsici come la formazione diffusa di doline, che avviene in rocce sedimentarie calcaree finemente fessurate;

* la presenza di sorgenti ai piedi della Valle;

* la grande forra nell'alta parte della Valle;

* alcune grotte e ghiaioni particolari in quanto fatti stranamente non di ghiaia ma di sassi molto grossi e a volte smisuratamente enormi.

* Molto interessante è una faglia a giorno, che manifesta la possibile attività sismica (terremoti) del nostro territorio.

Per quanto riguarda le piante è possibile riconoscerle leggendo i cartelli didascalici situati sul sentiero.

Sarà facile notare il frassino grande (Fraxinus excelsior) nel fondo valle, l'acero (Acer pseudoplatanus) nella prima salita, il carpino (Ostrya carpinifolia) quando si lascia la valle del Pradolino per iniziare la salita del monte Mija. Altre piante interessanti: il ciliegio selvatico (Cerasus avium) con esemplari eccezionali, il tiglio (Tilia cordata) e, caratteristico, il maggiociondolo (Laburnum anagyroides) in fiore verso la fine di maggio.

Sarà pure facile osservare come la fioritura delle piantine da fiore è in ritardo rispetto alla pianura nel fondo valle; in anticipo a metà monte nelle zone sotto le rocce esposte a sud. Alcune piante: il bucaneve primaverile (Leucojum vernum), la Fumaria officinalis, la pervinca (Vinca minor), l'iberis sempervirens, l' arabis alpina,il ranunculus montanus, la scilla bifolia, le silvie (anemone nemorosa) di colore bianco e l'anemone hepatica di colore celeste, l'Hedera helix (ce n'è una enorme proprio sul sentiero in quanto cresciuta in condizioni ambientali ideali), la Dafne mezereum dai bellissimi fiori rosei e odorosissimi (velenosa) assieme alla Dafne laureola (rara altrove, qui facilmente notabile) dai fiori verdi, il corniolo, ecc.

Sarebbe interessante riuscire ad immaginare l'ambiente così com'era quando la presenza dell'uomo era attiva sul territorio. Qualcosa possono aiutare i resti dei manufatti.

Una riflessione non dovrebbe sfuggire: l'uomo aveva saputo sfruttare nel migliore dei modi tutte le risorse ambientali, utilizzando perfino le cavità naturali come celle frigorifero, riuscendo a trarre da un ambiente fatto prevalentemente di sassi tutto il necessario per vivere.

Il Mija

Il nome Mija deriva da meja, che significa confine. Il territorio è demanio pubblico (proprietà del Comune di Pulfero).

Infatti, verso la fine dell'ottocento, quando si trattava di mettere a catasto gli appezzamenti utilizzati dai singoli privati, sorsero contestazioni tra le famiglie che fino allora avevano utilizzato i terreni e non si riuscì ad andare d'accordo. Il Comune di Tarcetta decise di appropriarsene e quando i comuni di Tarcetta e Rodda vennero unificati, il tutto passò al comune di Pulfero.

Le singole famiglie continuarono più o meno apertamente a sfruttarne le risorse. Oggi è il paradiso dei cacciatori ma, per fortuna, anche degli escursionisti, che, specie nel periodo primaverile e autunnale, lo frequentano assai volentieri.

A est, verso la Valle, il monte è assai dirupato e presenta strapiombi e orridi; a nord e a ovest la pendenza è assai minore, mentre a sud, quella che normalmente si percorre, è abbastanza ripida almeno nella prima parte.
Mija tra Vogu e Matajur da Spignon
Mija tra Vogu e Matajur da Spignon
Mija da Spignon
Mija da Spignon
Il monte è tutto ricoperto di vegetazione. Predominano il carpino nero e l'acero montano a sud e a est, il faggio (fagus silvatica) a nord e a ovest.

All'altezza delle malghe, subito dopo la seconda guerra, sono stati fatti degli impianti di conifere (prevalentemente abete rosso, Picea excelsa) con risultati piuttosto scarsi (molti esemplari seccati o rimasti di dimensioni assai ridotte dopo tanti anni), comunque migliori di quelli ottenuti nell'altro versante della Valle (zona di Mersino), dove i risultati sono stati catastrofici.

Il rimboschimento veniva effettuato attraverso cantieri di lavoro, organizzati e sovvenzionati dalla Comunità montana di allora (provinciale). Evidentemente, visti i risultati, non sono state prese in considerazione le caratteristiche del territorio. Sicuramente i risultati sarebbero stati migliori se si fossero utilizzate essenze più adatte alle caratteristiche del luogo.

Questi cantieri hanno avuto però il merito di aver dato un po' di ossigeno all'economia locale in un momento assai difficile come quello subito dopo la fine della seconda guerra, in quanto la Comunità Montana di allora non solo concedeva le piantine gratuitamente ma offriva una certa quota per ogni piantina messa a dimora.

Interessante anche ricordare la produzione di carbone durante e negli anni immediatamente successivi alla guerra. Naturalmente, come si può ben capire dato il lungo percorso, convertire la legna in carbone aveva il grande vantaggio di rendere meno costoso e faticoso il trasporto del materiale fino alla strada di Stupizza.

Il percorso

Arrivati a Stupizza e appena attraversato il ponte pedonale sul Natisone, si costeggia la riva destra del fiume verso nord e ci si avvia verso la valle del Pradolino.
Imboccatura del Pradol
Imboccatura del Pradol
Lasciato sulla sinistra il villaggio di Predrobac, si affronta una prima salita abbastanza faticosa, per giungere proprio all'imboccatura della valle del Pradolino.

Ci si inoltra in essa fino all'antico villaggio del Pradolino, che merita di essere osservato. I resti del villaggio consistono in bassi muri perimetrali. I tetti erano in paglia, di essi pertanto non resta traccia. Interessante un'abitazione ricavata da sotto un enorme masso precipitato dal versante nord del monte Vogu.

Proprio all'altezza del villaggio del Pradolino si lascia la valle per iniziare la salita vera e propria del monte Mija.
Inizio della salita dalla valle del Pradolino
Inizio della salita dalla valle del Pradolino
Il sentiero è a tratti molto ripido; d'altra parte le occasioni per una fermatina per rifocillarsi brevemente non mancano.

Via, via il sentiero si fa meno ripido per diventare piacevolmente pianeggiante fino alle malghe. I vecchi kazoni sono completamente scomparsi essendo fatti di legno con tetto di paglia.

Una prima meta è raggiunta e si potrebbe anche pensare a ridiscendere. Merita continuare attraverso il bellissimo bosco di faggi (fagus sylvatica) secolari. Si può osservare un cippo del confine austriaco datato 1841.

Nelle vecchie pozze d'acqua, create per abbeverare le mandrie al pascolo è facile osservare esemplari di protei.

Poco prima della cima merita operare una piccolissima deviazione per sporgersi e gettare lo sguardo su un bellissimo orrido con vista sulla statale che porta a Robic. Con una certa fortuna (com'è successo allo scrivente) si potrebbe intravedere l'aquila che vola rasente alle rocce. Essa nidifica proprio in questo luogo.
Regno delle aquile
Regno delle aquile
Parete col nido di aquila
Parete col nido di aquila
Nido d'aquila. S'intravvede la testa dell'aquilotto
Nido d'aquila. S'intravvede la testa dell'aquilotto
Aquilotto nel suo nido
Aquilotto nel suo nido
Subito dopo la cima.
La cima è il regno della vipera del corno.
Vipera dal corno
Vipera dal corno
Anche il panorama è interessante: sulla Valle, sul Matajaur, sullo Stol.
Vista sullo Stol
Vista sullo Stol
Tornati alle malghe per la stessa via (o senza sentiero attraverso il bosco di faggi), merita scendere per altra strada, quella che porta alla parte alta della Valle del Pradolino attraverso un altro bellissimo bosco di faggi secolari. Sotto questi faggi è il regno del Leucojum vernum (bucaneve primaverile). Lo spettacolo merita di per sè una visita verso i primi di aprile.

Nella zona ci sono diverse grotte, un tempo usate come riparo.

Nella parte terminale della discesa, attraverso un sentiero ripido e scivoloso (se bagnato) si giunge nella forra del Pradolino, vecchio letto del Natisone. Un cartello indica il punto della faglia.

Il cerchio del percorso si chiude ritornando al villaggio del Pradolino.

Un utile consiglio:

* nello zaino, anche in caso di bel tempo, un leggero K-Way e un maglione di lana o di felpa pesante (incomincia a piovere sempre sul monte Mija); * almeno un litro e mezzo di acqua a persona (lungo il percorso non c'è la possibilità di recuperare una sola goccia d'acqua potabile; c'è una fonte difficile da individuare e, comunque, fuori dal percorso descritto).

Nino Specogna

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