Estemporanee e piuttosto incoscienti (del senno di poi) escursioni in grotta

Grotta da Biacis
Grotta da Biacis
Curiosità fanciullesca, avventatezza giovanile caratterizzavano un tempo gli scolari delle Scuole Elementari, tanto numerosi da costituirsi in "bande" capaci di tutto dalle "guerre a sassate" tra paesi alle avventure più spericolate.

L'avventura era il nostro DNA

Riandando a ritroso i ricordi della grotta d'Antro, i più lontani, i più enigmatici, i più affascinanti sono quelli del nonno.

Il nonno stava seduto al suo posto preferito presso il fornello e, in autunno, arrostiva le castagne.
Io mi sedevo accanto in attesa.
Intanto lui, mescolando sulla lastra rovente, raccontava.

Non so perché il discorso era caduto sulla grotta.
"An krat j blua garduo, se muoru pliast... -
Un tempo era brutto salire in grotta; dovevi arrampicarti, perché non c'erano le scale.
C'era però un sentiero segreto, su in alto all'altezza della grotta."
Forse l'inizio del vecchio sentiero sulle rocce
Forse l'inizio del vecchio sentiero sulle rocce
La notizia del nonno scatenò in me un interesse morboso per quel luogo. Ne ero affascinato e con la mia fantasia di fanciullo da quel giorno spessissimo mi arrampicavo per quel sentiero impervio, che il nonno mi aveva svelato e che io solo conoscevo.
Il nonno parlava anche di una grande stanza, la stanza della regina. Questa notizia mi lasciava indifferente, come del resto la leggenda della regina che ordinò di lanciare giù per le rocce l'ultimo sacco di frumento:
"Contate i granelli..., quanti ne conterete altrettanti sacchi giacciono nel nostro granaio"
E Attila se ne andò.
Mi lasciava indifferente. Non significava nulla!
Il sentiero sulle rocce... quello sì!

A sei anni iniziai a frequentare la dottrina cristiana tutti i pomeriggi, compresi i sabati (la confessione) e le domeniche (il catechismo prima del Vespero).
Quanti bambini! Un'enormità!

Partivamo da Tarcetta come un'orda almeno un'ora prima del catechismo. Per giocare naturalmente, sia per strada sia ad Antro.
Neppure il freddo più acuto ci fermava. Il nonno mi riempiva le tasche di bollenti castagne arrostite:
"Loš roke tu gajufo; se zagreješ - metti le mani in tasca, ti scalderai". Perché faceva freddo.
Avevamo i pantaloni corti. Solo alla prima comunione si usavano per la prima volta quelli lunghi. C'erano i lunghi calzetti di lana grezza filati dalla zia col kalourat, ma la coscia rimaneva scoperta. Avevamo la mantellina per coprire le spalle; era molto corta, tanto che a malapena riusciva a coprire quel pezzo di coscia sempre con la pelle d'oca.
Un giorno particolarmente freddo me la misi in testa avvolgendola e continuai a camminare prendendo prima la mira della curva della strada.
Finii sotto il ponte.
Il vecchio Manzin, che andava in cava a Kolješa, mi raccolse e mi portò a casa. Il giorno dopo ero di nuovo a scuola.

Ad Antro, man mano che crescevo, si allargava il mio raggio d'azione anche sotto lo stimolo dei più grandi.
La prima grande conquista d'obbligo era il pilone della teleferica che portava marna da Kolieša alla grande tramoggia di Biacis.
"Gremo igrat gon na kalono (fra noi bambini parlavamo sempre solo sloveno) - Andiamo a giocare sulla colonna".
Lo dicevano con un orgoglio che ti obbligava ad imitarli, se volevi dimostrare a te stesso di valere qualcosa.
il grande pilone della teleferica di Kolieša
il grande pilone della teleferica di Kolieša
Il pilone, sul di dietro, aveva pioli di ferro che portavano fino in cima, dove terminava con una spiazzo di 1,5 X 2.00 m circa.
Qui si sistemavano i quattro giocatori di briscola, aiutati nell'equilibrio dalle grosse corde d'acciaio della teleferica.
E giocavano ad un'altezza di circa 30 m.

Quanti angeli hanno vegliato su di noi?
Perché non successe mai nulla a nessuno!
La prima volta salii fino a metà. Non soffrivo di vertigini, perché tutti i giorni mi arrampicavo sui noci attorno a casa. Ma i noci avevano i rami; lì c'era il vuoto!
La seconda volta arrivai in cima.
Come facevano a giocare in quattro? Era così piccolo.

Quando mi accettarono la prima volta, salii veloce come uno scoiattolo e mi sistemai comodo sopra la colonna.
Quando giunsero anche gli altri tre, il mio spazio vitale si era ridotto ai limiti estremi.
Non vedevo l'ora che la partita finisse, perché il culetto, che sedeva sulle corde, si era intorpidito in maniera preoccupante.
Decisi che non era divertente e non tornai lassù se non da solo, per provare l'emozione di quella vista meravigliosa sulla Valle.
Almeno avevo imparato ad evitare il guardiano e anche ad intuire quando la teleferica probabilmente si sarebbe messa in funzione.

Il pilone era a metà strada fra Antro e la grotta, il vero mio interesse per quei luoghi.
Ma c'era un'altra tappa prima di arrivarci:
il ponticello sopra il piccolo ruscello che precipita da Kolieša.
I parapetti erano di ferro. Le due aste del parapetto verso la Valle erano storte probabilmente per la caduta di massi dalle rocce. Girandole, facevano un fracasso indiavolato, uno stridio che si sentiva a chilometri.
Era il nostro divertimento!
pietra con buco per sostegno probabilmente alla vite nei pressi del ponticello
pietra con buco per sostegno probabilmente alla vite nei pressi del ponticello
Il balzo dal ponticello alla grotta avvenne naturalmente.
Dopo dottrina decidemmo di andare a fare fracasso sul ponticello.
Dopo un po' io dissi:
"Pujmo gledat groto - Andiamo a vedere la grotta".
Qualcuno mi seguì.
Salimmo le scale fino in cima. Afferrammo la maniglia della porta di ferro. Tirammo... La porta si aprì!
Che bello!
Entrammo e di corsa percorremmo il corridoio sotto la chiesa, attraversammo il ponticello, ma ben presto iniziammo ad incespicare per il buio.
Tastoni arrivammo fino al foro scavato nella roccia, il supposto frantoio.
Ora ci si arriva comodamente, ma allora, subito dopo il ponticello, si scendeva parecchio per risalire subito ripidamente su un terreno molto scivoloso.
Capimmo che c'era bisogno di una candela. Non conoscevamo le pile e le lampade a carburo o a petrolio erano intoccabili. "Fregare" un pezzetto di candela era rischioso ma ragionevolmente fattibile.
Decidemmo di tornare.

Procurammo una candela e qualche fiammifero e, sempre dopo il catechismo, tornammo alla grotta.
Afferrammo la maniglia della porta; tirammo; la porta non si aprì!
Grande delusione!
Ci sedemmo, abbacchiati, sull'ultimo gradino.
Che disdetta!
Cominciai a pensare. Il nonno mi raccontava che a volte dalla grotta usciva un torrente impetuoso, creando una cascata che, se andavi troppo vicino, "te j' ohlenila! - ti toglieva il respiro".
Se c'era la cascata, doveva esserci un buco.
Guardai oltre il parapetto di ferro (non c'era il muretto attuale, ma un parapetto il ferro) e vidi il grande arco di pietra sopra la cascata del torrente.
uscita delle acque
uscita delle acque
Senza esitazione scesi dal parapetto arrampicandomi giù per le rocce. Seconda delusione! Il buco era sbarrato da una grande inferriata.
l'inferiata vista dal di dentro
l'inferiata vista dal di dentro
Afferrai con rabbia le sbarre e le calciai.
Verso la metà una sbarra era leggermente piegata. Infilai un braccio, la spalla, la testa... ero di là!
Urlai di gioia.
Uscii e gridai agli altri che si chiedevano dov'ero finito:
"Pujta, se more iti not - venite, si può entrare".

Così trovammo la strada per entrare e uscire dalla grotta a nostro piacimento.
Imparammo anche che non occorreva salire tutte le scale per ridiscendere nel letto del torrente, bastava risalire direttamente la cascata (che incoscienti!).
cascata da risalire per raggiungere l'inferiata
cascata da risalire per raggiungere l'inferiata
Da allora la grotta diventò la nostra grotta.
inizio del sentiero, un tempo completamente diverso
inizio del sentiero, un tempo completamente diverso
la prima grande stalattite
la prima grande stalattite
Ci affascinava l'ignoto!
Cos'era più avanti?
Arrivavamo a un punto che ci sembrava insormontabile soprattutto a causa dell'acqua, ma la volta dopo lo superavamo.
Quasi sempre cadevamo in acqua o comunque ci bagnavamo fino alla cintola, perché dovevamo attraversare i "berini - le pozze d'acqua".
All'uscita, dietro la cappella, facevamo il fuoco e ci asciugavamo. Ancora oggi quello rocce sono annerite e, se scavate un po' ai loro piedi, troverete del carbone.
Rubammo tante candele e tanti fiammiferi; addirittura ne comprammo in negozio non so con quali soldi.
Quante volte il vento, che soffiava forte nei punti stretti, ce le spegneva.
Non avevamo paura. Era la nostra casa.

Un giorno giungemmo in fondo alla grotta!
"Ki guarjo de j' takuo duga?! - cosa dicono che è tanto lunga!"
E' già finita!
Delusi tornammo indietro.
Pochi passi e io, chinandomi, vidi un vuoto sotto le rocce.
"Tle gre naprej... - qua continua!"
sentiero secondario
sentiero secondario
Piegandoci sotto le rocce, salimmo per un po', per poi ridiscendere.
In fondo alla discesa ancora acqua!
Non era alta, ma arrivava quasi al soffitto! Cioè, se si voleva continuare, bisognava immergersi.
Tornammo indietro.

Dopo qualche settimana, arrivati a quel punto, notammo che l'acqua era scesa e fra essa e il soffitto ci passava comodamente la testa.
Decidemmo di passare di là anche se l'operazione ci costò mille acrobazie per non prendere colpi in testa e per mantenere accesa la candela.
Naturalmente eravamo tutti inzuppati.
Al di là, la grotta si restringeva sempre più.
C'era molta acqua, era scivoloso, non era bello!
Tornammo indietro.
Risalimmo il ramo principale, quello che si interrompeva bruscamente.
Proprio lì dove finiva c'era della sabbia, perché l'acqua si era prosciugata.
Nella sabbia sotto le rocce intravidi qualcosa di bianco. Raccolsi. Era un grosso dente.
Iniziammo a scavare nella parete fatta di detriti calcificati. C'erano tante ossa. Decisi di prendere le più grosse, metterle in tasca e tenerle come ricordo.
anche nelle piccole pozze si trovavano spesso piccole ossa
anche nelle piccole pozze si trovavano spesso piccole ossa
Quella sabbia mi turbava. Da dove era venuta? Inoltre il pavimento della grotta in quel punto era scavato per un buon metro e mezzo. Perché? Istintivamente guardai in alto.

Meraviglia delle meraviglie!
In alto, all'altezza del soffitto, c'era un buco perfettamente tondo dal diametro di circa mezzo metro o poco più.
foro sotto il soffitto
foro sotto il soffitto
Da lì era uscita l'acqua che aveva scavato il pavimento.
Non esitai un attimo. Iniziai a scalare la parete per arrivare al pertugio. Lo raggiunsi. C'era un vento fortissimo. Tentai di riaccendere la candela più volte. Non c'era verso di farla ardere.
"Daržajta vesoko kandele, de bon videu - tenete alte le candele, perché veda".
Carponi iniziai a percorrere il tunnel. Non finiva più. Continuai a strisciare per una decina di metri. Non vedevo nulla, ma non mollavo. Finalmente la testa non sbatteva più.

Scesi quasi al buio totale una specie di scarpata. Il vento non soffiava più tanto forte. Accesi la candela.
La grotta continuava, bella, larga, spaziosa!
Quasi di corsa continuai ad inoltrarmi, perché non c'era acqua e non si scivolava. Poi improvvisamente si scendeva in una buca profonda, ma senz'acqua, che risaliva bruscamente. Continuai per circa cinque minuti. Non finiva più.
Decisi di tornare indietro e di tornare assieme agli altri un'altra volta. Ero tutto eccitato.
Ripercorsi il tunnel al buio.
Gli altri gridarono di gioia rivedendomi:
"Te nia blua ne u nebo ne u zebo - non c'eri né in cielo né in terra".
Raccontai loro che la grotta continuava per tanto e ancora di più.
Eravamo tutti eccitati, avevamo fatto una scoperta eccezionale!

Ritornammo.
Ciascuno aveva la sua candela ed i fiammiferi. Metà alla volta, per far almeno un po' di luce, percorremmo strisciando il tunnel. Poi continuammo assieme.
La grotta sembrava non finire mai.
Il percorso era agevole, non incontravamo ostacoli eccetto quella grande buca, difficile da risalire.
Poi la grotta iniziò a stringersi, fino a diventare una lunga lingua, che poteva anche andare bene se non fosse stato che ad un certo punto era piena d'acqua profondissima (nei pressi dell'attuale Madonnina).
Ci fermammo.
Una barca!
A tutti parve subito l'unica soluzione.
Una soluzione per noi impossibile!
Ero avvilito.
Non poteva finire così!
La grotta continuava e noi eravamo bloccati!
Con la rabbia della disperazione feci un ultimo tentativo.
Le pareti erano molto ravvicinate. Puntai i piedi contro una parete e la schiena contro l'altra e iniziai a spostarmi lentamente. Percorsi circa cinque metri sopra quell'acqua limpidissima e profondissima. Poi le pareti si allargavano lentamente e io a malapena riuscivo con la punta dei piedi a stare sospeso sopra l'acqua.
Tornai indietro.
Intuii che lì sarebbe finita la mia esplorazione della grotta.

Tornammo indietro esplorando tutte le pareti, tutti i pertugi, tutti i cunicoli nella speranza di scoprire il modo di proseguire. Imparammo a conoscere la grotta palmo a palmo.
Scoprimmo i suoi abitanti, soprattutto pipistrelli e qualche insetto acquatico, raccogliemmo denti ed ossa, imparando dove cercarli (quel posto sotto il tunnel e nelle piccole fosse dove la ghiaia ristagnava).
Da adulto consegnai tutto al parroco don Walter Zaban, che, disse, lo avrebbe consegnato al museo di Cividale.
Forse sarebbe stato opportuno fare una bacheca e tenere tutto lì nella grotta.

Ci divertivamo a veder volare i pipistrelli. Erano abbarbicati al soffitto dopo la prima curva della grotta, poco oltre il "buco-frantoio". Bastava lanciare un sasso verso il soffitto e loro prendevano il volo a centinaia.
Una volta non li trovammo. Il soffitto era vuoto.
Dove erano finiti?
Tornando indietro, entrammo in chiesa come il solito per asciugarci. Per caso vidi come una porticina su in altro sopra la cappella. Non so come intuii che i pipistrelli fossero finiti proprio lassù.
Lanciai un sasso.
Una nuvola di pipistrelli uscì stridendo e si diresse verso la grotta andando a piazzarsi proprio nel luogo che conoscevamo bene.
Che bello era sapere dove i pipistrelli si rifugiavano!

Nel luogo dove di solito li trovavamo, poco più su del frantoio, su un alto pianerottolo, al di sotto di dove si piazzavano, c'era uno strato di guano di circa venti centimetri.
Non so come, probabilmente dalla maestra delle elementari, avevo sentito che il guano era un ottimo concime.
Mi riempii le tasche e lo portai a mia zia, amante dei fiori, dicendo che l'avevo trovato in una piccola grotta vicino al Natisone.
La zia lo esaminò, lo palpò bene e poi...
"Biaš z no boršo an parnesime puno - vai con una borsa e portamela piena".
Le portai una borsa piena di guano, avvertendola che era concime.
Lei riempì i vasi, trapiantò le piantine e le innaffiò amorevolmente. Il giorno dopo le piantine giacevano mezzo rinsecchite.
Morirono tutte.
La zia, arrabbiata, gettò via il mio guano.
Io, in seguito, imparai che un solo cucchiaio di "quella roba" era più che sufficiente per un vaso intero.

Ora il guano non c'è più e probabilmente è rimasto solo qualche pipistrello superstite.
Come cambiano i tempi...
Sembrerebbe sempre in peggio!

Non c'è nemmeno il famoso tunnel o, meglio, c'è anche se più corto, sempre su in alto, sotto il soffitto, ma nessuno lo nota, perché sotto di esso è stato scavato (penso, a meno che non sia stata l'acqua a farlo, ma dubito) per far proseguire il sentiero artificiale.
Non si poteva fermare il sentiero lì, sotto il tunnel?
La grotta ha perso una delle sue caratteristiche più belle!

Ogni volta che percorro quel sentiero artificiale (solo per accompagnare qualche conoscente che me lo chiede) penso ai mie compagni.
Son sicuro che tutti, anche quelli che non ci sono più, son d'accordo con me:
la grotta non è più la nostra grotta.
Quel sentiero l'ha resa irriconoscibile. Ce l'ha espropriata. Non ci orientiamo più, non la riconosciamo, non è la nostra grotta.

In seguito il nostro interesse si rivolse ai dintorni della grotta.
Prima di tutto al sentiero del nonno.
Mi sembrava logico partire da lì, dove il sentiero sarebbe dovuto arrivare: sul pianerottolo dietro la cappella, dove facevamo sempre fuoco per asciugarci.
Non era facile partire. Non c'era nulla che sembrava il resto di un sentiero, se non una piccola protuberanza iniziale. Aiutandoci con le piante iniziammo la traversata.
Era bellissimo!
Una stupenda arrampicata libera, ma del sentiero nessuna traccia!
Solo verso la fine c'era qualcosa che poteva assomigliare all'attacco di un sentiero sulle rocce.
Probabilmente il sentiero anticamente c'era; il nonno non poteva sbagliarsi; ma non ne restava traccia.
Noi però avevamo provato a noi stessi che la possibilità di raggiungere la grotta dall'alto c'era.
L'avevamo fatto noi stessi!

Un giorno piovve molto, davvero molto.
Dopo dottrina proposi di andare a vedere la cascata della grotta.
Grondava acqua da tutte le parti.
Era perfino terribile attraversare il ponticello dalle sbarre cigolanti, perché l'acqua lo oltrepassava.
La cascata era davvero impressionante.
Avevo paura di avvicinarmi "de me na ohlene - che non mi tolga il respiro".
Scoprimmo un'altra cascata impressionante:
sulla sinistra della cascata della grotta, un torrente impetuoso scendeva a precipizio da Spignon con un fracasso indescrivibile e poco sopra, sulla destra di questo torrente, dalla viva roccia schizzava un lungo gettito d'acqua come da un grosso tubo.
Che spettacolo!
"Pridemo kar na bo vič uade - verremo quando non ci sarà più acqua".

Difatti tornammo.
Arrivare al buco in mezzo alla roccia sembrava impossibile, perché la roccia era liscia.
Studiai la situazione.
Lì vicino cresceva un carpino. Mi arrampicai, salii su un ramo e mi lasciai calare sulla parete proprio nei pressi del foro. Questo aveva il diametro di circa un metro. Iniziai a strisciare. Accesi la candela. C'era vento, ma non fortissimo come nel tunnel della grotta. Continuai per una ventina di metri nella speranza che il foro si allargasse.
Speranze perdute!
Anzi a un certo punto dovetti smuovere un grosso sasso che ostruiva il passaggio.
Dopo un po' il cunicolo si restringeva ancora, pur continuando sempre orizzontalmente. Tornai indietro, naturalmente come un gambero, perché era impossibile girarsi.
Il cunicolo è impressionante: sembra scavato artificialmente nella roccia.
Quanti secoli l'acqua ha lavorato?
Mi piacerebbe verificare lo stato del cunicolo al momento attuale. Basterebbe venir presi dalla voglia di conoscere di allora!

Poi finirono le Elementari (1944).

Persi i contatti con i compagni.
La grotta cadde nel dimenticatoio!
Nino Specogna

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