Il partigiano Ganc




Il maestro Crucil Antonio fu fondatore a Loch di Pulfero della Nadiška četa
Nei miei ricordi di gioventù, il nome Gànc indi­cava un personaggio del quale era meglio non parla­re, trattandosi di uno di quelli passati «di là», vale a dire di uno che per scelta o perché costrettovi, èandato a vivere in Jugoslavia.

L’ho incontrato circa un anno fa e rivisto da appe­na qualche giorno questo nostro paesano, il maestro Antonio Crucil di Loch presso Pulfero, che fu il fon­datore nel settembre 1943 della Nadiška četa, con sede a Loch, appunto.

Lo trovo intento a giocare a carte presso il circolo dei pensionati a Tolmino, ove risiede in una bella casa alla periferia della cittadina.
Gli acciacchi dell’età, 82 suonati, ed i postumi di un incidente motociclistico avvenuto nel 1943 nei pressi di Clo­dig, dove stava portando il comandante partigiano Volodja, non gli impediscono di avere un portamen­to eretto e fiero, accentuato da una bella statura, al quale si unisce una disponibilità senza preconcetti e riserve sul suo passato, tale da rendere gradevole la conversazione.

Lo sguardo intelligente, le risposte pronte e non prive di autoironia mi convincono della sua capacità a destreggiarsi indenne fra le mille peripezie di cui mi parla.
Mi spiega innanzi tutto che la madre, di origine tedesca, lo chiamava Hans (= Giovanni) anziché Anton, come erroneamente è stato registrato all’anagrafe.
Nel nostro dialetto, Hans divenne Gànc, con la g aspirata, e con tale appellativo viene ancora menzionato dalla nostra gente.

Hans nacque il 18 settembre 1912 a Oelsnitz in Sassonia, ove il padre Antonio era emigrato e dove si era sposato con Anna Ktittner del luogo.
Da Oelst­nitz la famigliola si trasferì alla fine della grande guerra a Loch e precisamente nel gruppo di case chiamato Bòrkula.

Da giovane egli fu apprendista falegname dedicandosi nel tempo libero allo studio.

Favorito da alcune direttive governative, tendenti a coprire il fabbisogno di insegnanti di lingua italiana, che conoscessero lo sloveno, da inviare nelle zone della Slovenia appartenenti al Regno d’Italia, conse­guì la maturità presso l’istituto magistrale C. Percoto di Udine il 10 ottobre 1940.

Riporto ora la parte più interessante del dialogo con Ganc, imperniato sulla sua vicenda politica ed umana.

«Al conseguimento della matura fui assegnato al comune di Malborghetto in Valcanale affinché pren­dessi dimestichezza con le norme della pubblica amministrazione; lì rimasi fino alla occupazione del­la provincia di Lubiana da parte dell’esercito italia­no.

Assieme ad altri insegnanti delle valli, cito Mario Manzini di Pulfero, Agostino Manzini di Tarcetta, Natale Crucil e Pasquale Domenis di Loch, Venturi­ni di Azzida, fui inviato a Lubiana con mansioni di Capo centro assistenza popolare, una specie di inter­mediario fra le truppe di occupazione e la popolazio­ne.
Anche alcuni degli insegnanti testé citati furono impiegati in funzioni analoghe, che essi svolsero fra mille difficoltà e rischi provenienti da entrambe le parti in causa.
Essi si prodigarono in modo encomia­bile per lenire le sofferenze della popolazione ed io stesso posso affermare di avere salvato Logatec / Longatico dalla distruzione, facendomi per­sonalmente garante sulla innocenza della popolazio­ne in una azione di sabotaggio condotta dai partigia­ni sloveni.

Ebbi contatti segreti con capi partigiani e con persone di cultura dai quali recepii sia idee politicheche coscienza nazionale. Alla cadu­ta del fascismo (25.7.1943), rientrai a casa a Loch ove presi i primi con­tatti con persone delle valli sensibi­li alla problematica ideologica e nazionale e dopo l’8 settembre costituimmo la Nadiška četa (bri­gata del Natìsone) con Agostino Cedarmaz, Eugenio Crucil, Mario Manzìni ed altri che però si dile­guarono per motivi diversi, forse perché la nostra četa dipendeva politicamente da un commissario sloveno ed altrettanto per la parte operativa.

Per tutto il mese di set­tembre e ottobre 1943 la valle del Natisone fu sotto il nostro controllo.

I1 13 ottobre i tedeschi bombardarono Loch ed il giorno stesso, l’anziano K. di Podvarschis minacciò di impiccanni ad un gelso perché, secondo lui, ero io la causa del bombardamento.
Gli risposi che i responsabili andasse a cercarli fra gli spioni di Pulfe­ro.

Naturalmente avevo anche compiti di intendenza ed a tale fine mi ero fatto consegnare somme consi­derevoli da alcuni benestanti del capoluogo.
Se ne risentì in modo particolare l’autotrasportatore G. che in seguito cercò di vendicarsi fornendo l’arma ed i soldi ad un ubriacone locale che avrebbe dovuto liquidarmi. Per mia fortuna fui informato da suo fra­tello del pericolo che correvo e questa fu una delle cause che mi spinsero a sistemarmi qui definitiva­mente.

Il 9 di novembre, sempre nel 43, i tedeschi ave­vano occupato la valle.
In quella circostanza subii l’incidente di Clodig e per un certo periodo rimasi in convalescenza uccel di bosco.

Un giorno, tramite il prof. A.S. di Specognis, ricevetti uno strano invito da parte delle autorità tedesche di recarmi a Udine, all’albergo Milano, sede dei loro servizi informativi.
Presi preventivamente contatto con il capo dei servi­zi informativi partigiani Antivini (?) il quale mi autorizzò a svolgere un eventuale doppio gioco.

Di questo, infatti, si trattò nella proposta che rice­vetti all’hotel Milano di Udine, dove mi recai con la consapevolezza del rischio che correvo a causa del mio recente passato di partigiano.

Mi presentai con il migliore vestito, e l’interlocu­tore mi accolse con queste parole:
“Noi conosciamo tutto di te, sappiamo che sei di madre tedesca, nelle tue vene scorre il nostro stesso sangue germanico, continua pure a fare il partigiano, purché ci tieni informati su quanto si svolge nella valle del Natiso­ne fino a Caporetto, che per noi è strategicamente molto importante”.

Quando mi rilasciarono dietro alcune mie vaghe promesse, pensai bene di non far­mi più vedere trattandosi di un gioco troppo perico­loso.
Rimasi pertanto fedele al mio ideale e conti­nuai nella lotta clandestina fino alla liberazione.

Quando vidi transitare i carri armati alleati oltre Pul­fero, verso Caporetto, compresi che i fini per i quali avevamo combattuto non si sarebbero mai avverati.

Nell’immediato dopoguerra in paese ebbi vita molto difficile; l’episodio culminante e decisivo fu il mancato attentato nei miei confronti.
Poco dopo mi trasferii in Slovenia, feci per alcuni anni l’insegnante poi per 15 anni ebbi l’importante incarico di diretto­re del collegio Peter Skalar di Tolmino».

«Hai mai pensato di scrivere le tue memorie?», gli chiedo. «Nima časa / non ha tempo ― interloquisce uno scacchista del tavolo accanto ― è già molto impegna­to nella compilazione delle parole crociate che for­mula per incarico di un giornale».

Questo è un altro degli aspetti del poliedrico ingegno del nostro compaesano.
Luciano Chiabudini – da DOM 1994
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