Monsignor Ivan Trinko 1863 - 1954


Commemorazione tenuta in S. Pietro al Natisone il 26 giugno 1974 nel ventesimo della morte.
Romano Specogna - Alfeo Mizzau - Antonio Di Rito


Mons. Alfredo Battisti: Ricordiamo mons. Trinko

Attorno all’altare dove Cristo Risorto rinnova il mistero della sua Pasqua, si raccoglie tutta la Chiesa:
la Chiesa che cammina pellegrina sulla terra e la Chiesa già entrata nella Patria.

Siamo convinti perciò che in questa Messa avviene un incontro spirituale tra noi e l’anima di Mons. Trinko.

Amò la sua Chiesa

Lo ricordiamo per doverosa riconoscenza: sacerdote di grande fede, di rettitudine morale, di vasta cultura, nel Seminario di Udine profuse i tesori della sua mente e del suo cuore nell’insegnamento della filosofia.
I sacerdoti ex-alunni lo ricordano con ammirazione, stima ed affetto.

Amò la sua terra

Nato nelle Valli del Natisone, si impegnò coraggiosamente sul piano sociale, assumendo anche pubblicamente responsabilità, per valorizzare e difendere il patrimonio storico e culturale della sua gente e sollevarne le misere condizioni economiche.

Mentre esprimiamo il più vivo compiacimento per la Comunità delle Valli che ha voluto onorare la memoria di Mons. Trinko e metterne in luce la grande personalità, che onora il Clero Diocesano, eleviamo al Signore la nostra preghiera perchè lo ricompensi di quanto ha fatto, amato, sofferto per amore della sua Terra e della sua Chiesa.

ALFREDO, Arcivescovo



Prefazione

E’ stato detto da più parti che il miglior modo di onorare uno scrittore dopo la sua morte è quello di divulgarne l’opera riproponendola all’attenzione di quanti lo conobbero e soprattutto all’interesse di coloro ai quali il suo lavoro fu poco noto o sconosciuto.
E tuttavia è da ritenere che ci sia un modo non meno nobile e alto di onorare un uomo che, lasciando il nostro mondo, ha anche lasciato un segno non perituro della propria parabola terrena: ed è quello di rendergli giustizia.
Tale atto, in ogni caso, va oltre la pietà che l’asso pirsi o lo spegnersi delle umane passioni reclama; ma nel caso di monsignor Ivan Trinko assume la configurazione e la dimensione del dovere.
E’ inevitabile che a una personalità cui è stato dato dalla sorte — e, più ancora, dall’applicazione ininterrotta (interrotta soltanto dalla morte) delle doti e disposizioni naturali — si guardi da angolazioni diverse e persino opposte: anche l’eccezionalità ha il suo prezzo.
Ma monsignor Ivan Trinko, negli ultimi anni della sua vita e nei vent’anni trascorsi dalla sua morte, ha pagato un prezzo, a nostro avviso, troppo alto.

Riteniamo perciò che la presente pubblicazione, assolvendo il compito di rendere giustizia all’uomo e allo studioso, presenti monsignor Trinko nella dimensione più propria.
Lo fa attraverso le parole del presidente della Comunità delle Valli del Natisone, Romano Specogna, e quelle dell’assessore regionale dott. Aljeo Mizzau e del prof. Antonio Di Rito, dell’università di Trieste; lo fa, vale a dire, attraverso le testimonianze d’un conterraneo, d’un uomo politico, d’uno studioso.

Si tratta dei discorsi pronunciati a San Pietro al Natisone il 26 giugno 1974, durante la cerimonia commemorativa di monsignor Trinko nel ventennale della morte.

Era giusto che quei discorsi non andassero dispersi, fossero raccolti in volume, poichè — per quanto pronta ed esercitata possa essere la memoria — è destino che delle parole udite si coni ondano i nessi e si smarriscano alcuni particolari; e perchè è bene che quelle parole siano ripro poste alla meditazione di quanti le ascoltarono e proposte al giudizio di quanti fors’anche per motivi polemici sulla cui inconsistenza non è, almeno qui, il caso di soflermarsi a quella cerimonia furono assenti.

E’ superfluo che si parli, in queste poche righe di presentazione, della figura di monsignor Trinko e dell’opera sua: l’una e l’altra sono racchiuse compiutamente, e senza concessioni alle dilatazioni della retorica, nelle pagine che seguono.
Sia peraltro consentito a un valligiano del Natisone, che presume di avere operato in qualche modo e in qualche misura a favore della sua terra e della sua gente, di plaudire all’iniziativa dell’onoranza d’un uomo che, come monsignor Ivan Trinko, la propria terra e la propria gente pose in cima a tutti i pensieri, ebbe sempre sulla punta del generoso e nobile cuore.

Dino Menichini



TRINKO, UOMO DELLE VALLI

di Romano Specogna


A vent’anni dalla morte, la popolazione delle Valli del Natisone rende omaggio a monsignor Ivan Trinko e all’opera sua.
E’ un omaggio doveroso, soprattutto oggi che sembra essere giunto finalmente il tempo di sgomberare il terreno da tutte le remore e da tutti gli equivoci che hanno relegato sinora la figura e l’attività del sacerdote e del letterato di Tercimonte in un area di mortificante disconoscimento e di dannoso sospetto.

Non sta a me, qui, illustrare la statura morale di monsignor Ivan Trinko nè, tanto meno, esprimere un giudizio di valore intorno ai suoi libri: io non sono un biografo nè un critico letterario.
Altri, comunque, parlerà di lui, tracciandone un profilo storico-politico che ponga in rilievo i tratti più salienti della sua forte personalità; e altri, ritornato con pazienza di meditazione e con acutezza di indagine sulle sue pagine, ne sottolineerà l’impegno culturale, situando le opere letterarie di monsignor Trinko nel quadro della vita friulana dell’ultimo scorcio dell’Ottocento e della prima metà del secolo nostro.

A me, come Presidente della Comunità delle Valli del Natisone, che l’iniziativa dell’odierna celebrazione ha promosso, a me incombe il dovere di rilevare che a mons. Trinko vanno tutta la considerazione, tutto il rispetto e tutta la riconoscenza della popolazione della nostra zona, poichè egli fu il primo a farsi interprete dell’anima della sua gente, della nostra gente, traendo sempre ispirazione, per le sue opere, dal paesaggio geografico e umano delle nostre montagne così come fu il primo a sostenere la necessità che le Valli del Natisone uscissero dal loro secolare isolamento sociale e culturale (riflesso e conseguenza della povertà economica) e si inserissero, con la loro peculiare fisionomia, nel più ampio contesto della vita friulana e di quella nazionale.

Mi si potrebbe obiettare che altri, giunti dopo di lui, hanno lavorato — e con risultati forse maggiori — nella stessa direzione.
A tali eventuali obiettori va ricordato che ciò, non soltanto non sminuisce l’importanza dell’opera di mons. Trinko, ma anzi la sottolinea.
Egli infatti si trovò ad operare in una epoca in cui la dittatura non consentiva nè libertà d’espressione nè autonomia di intrapresa; si trovò a lottare contro l’impreparazione e l’incomprensione della sua stessa gente: impreparazione e incomprensione aggravate da un pregiudizio nel quale noi tutti — dopo vent’anni trascorsi non inutilmente per la democrazia e la cultura friulane — dobbiamo onestamente riconoscere d’avere avuto una parte di colpa.

Possiamo — questo sì — invocare l’attenuante di timori per il nostro destino di gente italiana nel clima rovente dell’ultima guerra e nel clima di incertezze e inquietudini dell’immediato dopoguerra; ma tutti, allora, resi miopi dalle nostre pur legittime passioni, dimenticammo che mons. Trinko, scrivendo nel dialetto slavo delle nostre vallate, non commetteva nessun delitto di lesa patria: al contrario, esaltava una componente della civiltà italiana, la quale civiltà è il risultato degli apporti di culture diverse.
E ogni diversità è un arricchimento.

E’ difficile, oggi — ma è la saggezza del poi scorgere la ragione dell’ostracismo spirituale e morale al quale condannammo mons. Trinko, e che mortificò gli ultimi anni della sua vita, se pensiamo che nella storia della letteratura di ogni Paese hanno pieno diritto di cittadinanza tutti i dialetti.
Se Salvatore Di Giacomo potè esprimersi nel dialetto della sua Napoli e Carlo Porta in quello della sua Milano, se a Gioacchino Belli, a Cesare Pascarella e a Trilussa fu consentito cantare in dialetto romanesco, come in friulano fu possibile cantare a Pietro Zorutti e a Enrico Fruch, e se oggi (la notizia è abbastanza recente) si conferisce un Premio Viareggio a Biagio Marin per le sue poesie nella parlata di Grado, non si vede perchè Ivan Trinko non dovesse scrivere nel dialetto slavo delle Valli del Natisone.
Ma sul nostro dialetto slavo — direte voi — pesa l’ombra di una lingua straniera, incomprensibile alla maggior parte degli italiani.
Ebbene, io chiedo: quanti italiani capiscono il friulano che è lingua ladina? E quanti vorranno negare che la letteratura di lingua friulana è oggi uno dei fenomeni più rilevanti che si verificano nella cultura italiana?
E quanti italiani capiscono il dialetto croato d’una fascia del Molise, e l’albanese e il greco tuttora in uso in alcune aree dell’Italia meridionale? Ma tutti gli studiosi sono concordi nel sostenere che proprio in queste differenziazioni e caratterizzazioni idiomatiche sta la ricchezza della civiltà e della cultura d’Italia.

Si obietterà ancora: ma qui c’è una frontiera che altrove non esiste.
E io replico: il Friuli, cui le Valli del Natisone appartengono per ragioni storiche, geografiche e di sentimento, è una regione-ponte; e le nostre valli, oggi, hanno appunto la funzione di zona avanzata nel collegamento dell’Italia con i Paesi dell’Europa centro-orientale, fermo restando il principio che il sentimento italiano della nostra gente è fuori di ogni discussione e di qualsiasi dubbio. Mi è sembrato opportuno fare queste precisazioni, anche se per qualche minuto ho trascurato di parlare di mons. Trinko.
Ma l’azione culturale e sociale di questo valligiano del Natisone non sarebbe evidente se il terreno non fosse sgombro dalla sterpaglia delle diffidenze ingiustificate e delle insinuazioni fuori bersaglio.
La figura di mons. Trinko va guardata per quello che fu nella realtà di una lunga esistenza interamente spesa a beneficio della sua gente, e non va considerata per quella che — negli anni della violenza, della confusione e della paura — parti interessate, e operanti in opposte direzioni, vollero mostrare che fosse.
Prima o poi, la verità viene a galla; nessuno può illudersi di ingannare la storia; e oggi è giunta l’ora di affermare che la figura e l’opera di mons. Ivan Trinko rimangono consegnate alla storia delle Valli del Natisone.

Con questo spirito d’omaggio alla verità, noi intendiamo rendere omaggio alla memoria di mons. Trinko e, insieme, porgere il saluto e il ringraziamento alle autorità intervenute a questa cerimonia, a tutti i presenti a questa manifestazione di ricordanza, d’affetto e di gratitudine per un illustre figlio delle nostre carissime valli.

Romano Specogna





Trinko, uomo politico

di Alfeo Mizzau

Il politico e lo storico che meditano e studiano l’opera di don Ivan Trinko scoprono una singolare personalità del mondo cattolico friulano, un missionario di amore e di solidarietà umana, un uomo che ha vissuto il dramma di un’epoca storica tormentatissima quale è stata quella che ha sperimentato il conflitto tra il cattolicesimo democratico e il laicismo liberal-massonico e socialista.
Per comprendere Trinko è necessario richiamare la gloria intramontabile di Leone XIII il quale, nel 1891, ha dettato quel capolavoro di filosofia sociale e politica che è l’enciclica « Rerum novarum ». Ivan Trinko aveva allora 28 anni.
Lo spirito innovatore dell’enciclica pontificia ha colpito la sua mente, ed egli, giovane sacerdote, ha raccolto l’invito del grande pontefice e si è consacrato alla grande missione, ossia alla difesa dei valori cristiani contro le sopraffazioni dello Stato borghese, materialista sul piano ideale e assolutista sui piano politico.
Questa enciclica riportava la Chiesa al centro della civiltà moderna, come ispiratrice di un « nuovo corso » storico-politico, che altre encicliche dello stesso pontefice avevano preparato, come quella « Immortale Dei », sulla organizzazione cristiana delle società, e l’altra, « Libertas », sul significato e valore della libertà umana.
Nella « Libertas », Leone XIII insegnava che i cattolici non dovevano tenere comportamento riprovevole, cercare di far prevalere una forma di reggimento libero; ed ancora che non doveva ritenersi vietato ai cattolici di appoggiare forme di governo democratiche, purchè rispettose dei valori spirituali e religiosi; che era doveroso, per i cattolici buoni ed onesti, cooperare al bene comune, e volere « l’indipendenza della propria nazione da ogni signoria straniera e dispotica ».
Soprattutto quest’ultima affermazione, contenuta nell’enciclica « Libertas », è importante per capire le idee animatrici di Ivan Trinko.
Sono idee che, diffuse nel 1885, il Trinko ha appreso in Seminario, nel momento più importante e decisivo per la sua formazione intellettuale.

Dobbiamo ricordare che proprio in quegli anni — dal 1885 al 1890 — il socialismo cominciava a far presa sui braccianti, e svolgeva opera intensa di propaganda per distoglierli dall’ossequio ai principi cristiani e volgerli verso le nuove dottrine materialistiche ed atee.
E’ su questo terreno che il Trinko si sente chiamato a svolgere la sua missione.
Il popolo della sua terra era contadino, aveva l’anima semplice, l’intelletto ingenuo.
Era necessaria, indispensabile un’opera attiva per illuminarlo, per renderlo cosciente della verità.

Quale fosse la verità, lo ha detto nel 1891 lo stesso Leone XIII nell’enciclica « Rerum novarum », una pagina coraggiosa, aperta ai problemi sociali dei quali offre la soluzione cristiana.
In questa enciclica il Papa diceva di vedere con piacere il formarsi ovunque di associazioni sia di soli operai sia miste di operai e padroni, e il proclamare il diritto degli operai e dei contadini di unirsi in società, un diritto naturale che lo Stato doveva tutelare e non distruggere.
Diceva ancora che lo Stato deve intervenire in aiuto dei deboli e dei poveri, e che, se non lo fa, manca a un suo preciso dovere morale prima che politico e sociale.

Dopo tali dichiarazioni da parte dell’ Autorità suprema della Chiesa, è nata quella corrente di cattolici che, pur ammettendo la gravità della questione romana su1 piano religioso e politico, ha dedicato interesse e attività alla questione sociale, incentrata nell’Opera dei Congressi.
Acuto interprete di questo movimento è stato don Luigi Sturzo, che dirigeva il giornale La Croce di Costantino dove, nei primi anni del secolo, sono comparsi gli scritti politici sull’azione cattolica e sulle autono mie locali, che dovevano essere di guida e di stimolo ai nuovi « missionari » della politica, tra i quali — nell’ambito friulano è in prima linea don Ivan Trinko.
Sturzo ha ripetutamente affermato la propria riconoscenza al Papa, il quale aveva consentito che i cattolici fossero operatori laboriosi nelle varie classi della società, ed ha stimolato gli amici a lavorare per democratizzare le associazioni cattoliche e dar loro un movimento più accentuatamente popolare.

Tra gli amici di Sturzo Ivan Trinko si è dedicato a questo lavoro, convinto che la soluzione dei problemi locali è il punto di partenza di ogni soluzione al problema globale nazionale.
In questo impegno al tema locale data la peculiarità politica di Ivan Trinko il quale, per capire la sua gente, studierà lingue e storia di tutte le comunità slave.

La politica è operante nelle singole zone, ove si manifestano i bisogni più urgenti alla vita delle piccole comunità, soprattutto quando si tratta di comunità rurali o contadine, come la gente del Natisone.
E’ qui che bisogna intervenire, con tempestività, per alleviare le sofferenze dei poveri e per sostenere i lavoratori e rendere meno pesante il loro lavoro e più remunerata la loro opera. Don Ivan Trinko, come uomo politico, ha sempre strenuamente difeso gli interessi locali.

Se le distanze sono grandi, i piccoli centri rurali rimangono esclusi dai benefici di partecipare ai mercati e di fruire dei vantaggi di una vendita diretta. Per eliminare o ridurre le distanze occorrono mezzi di comunicazione: per questo don Trinko si batte per ottenere ferrovie e strade.
Sono proprio questi problemi che occorre risolvere, se si vuole aiutare il popolo; tutto il resto, le grandi promesse, i grandi progetti di ristrutturazione su base nazionale, non sono per lui che strumenti di demagogia.

Fedele alla linea sturziana, in politica il Trinko rifiuta ogni compromesso con i liberali così come rifiuta ogni compromesso con i socialisti. Sia gli uni che gli altri hanno impostato il problema sociale in modo falso e bugiardo, per i fini elettorali, per giungere alla conquista di posti di comando nelle amministrazioni comunali, provinciali e nazionali, e non per aiutare veramente (con purezza di cuore e sentimento di amore) i poveri e i deboli.
La linea del più intransigente cattolicesimo sociale fu sempre bussola sicura per il nostro Trinko.
Su questo tema egli ritorna spesso; è la ragione del suo vivere da cattolico per gli ideali sociali della fede cattolica.

Trinko, scrive don Cramaro che lo ebbe padrino alla prima messa, fu precursore delle opere sociali cattoliche; collaborò alla fondazione della Banca Cattolica; fu uno dei primi apostoli della stampa cattolica locale in qualità di collaboratore del Cittadino Italiano .
Lavorò con entusiasmo nell’Azione Cattolica Friulana, diede la sua opera per la fondazione del Collegio « Giovanni d’Udine » prima e dell’« Arcivescovile » poi.

Mons. Trinko fu anche un coraggioso.
Egli visse in un periodo delicato e difficile per la Chiesa. Basti pensare che i chierici spesso dovevano restare consegnati in Seminario, per non suscitare reazioni di piazza, ed al rientro da casa dovevano percorrere vicoli secondari per non essere presi a sassate.

Il prof. Trinko diventò allora il corifeo della cultura e dell’Azione Cattolica.
Nel 1914, da Consigliere Provinciale, fu il primo a protestare energicamente per una delibera irriverente contro il Sommo Pontefice che era allora S. Pio X e portò alla conseguente coalizione delle forze cattoliche nel campo sociale.

Nella sua lunga esistenza, il Trinko, come sacerdote, come uomo, come politico, ha vissuto tutte le prove, anche le più drammatiche, di quel tormentato periodo.

Ha subìto tutte le delusioni che naturalmente prova un uomo quando scopre che la sua parola non è stata raccolta o è stata raccolta da troppo pochi.

Ha subìto tutte le umiliazioni che un uomo politico di fede adamantina può subire da parte dei politici demagoghi che non lottano per le idee, che non sono animati da princìpi veramente sentiti come ragion di vita, ma solo da motivazioni di interesse contingente, e non polemizzano quindi con argomenti, ma facendo ricorso alle ingiurie e agli insulti.

Don Trinko aveva 39 anni quando il fascismo si è affermato come regime. L’egoismo totalitario ha rappresentato un duro colpo per i cattolici di fede sicura e provata come don Trinko.
La persecuzione contro l’Azione Cattolica significava riportare la storia politica d’Italia all’epoca del cattolicesimo intransigente, all’epoca della lotta tra lo Stato e la Chiesa.

Nel 1929 il Concordato ridà solo una pace formale alle coscienze cattoliche.
Don Trinko ormai più che sessantenne, accetta la distensione, ma non si abbasserà mai ad atti di serviismo.
Si è dovuto accettare il fatto imposto dalla realtà della situazione di forza che era stata creata dalla volontà dispotica, ma nel cuore si è sempre mantenuta accesa la fiaccola della libertà.
Se si era raggiunta la libertà religiosa, non si era ancora conquistata la libertà politica.
E don Trinko, nelle sue terre del Natisone, si è dedicato ai suoi studi e alle sue poesie.
Perchè don Ivan Trinko è stato anche un poeta, ed oltre che politico è stato anche storico.
Sempre in umiltà con animo semplice, cosciente di fare, anche in questa sua opera di storico, un servizio al suo popolo.
La sua storia della Jugoslavia è infatti un omaggio alla sua particolare concezione della Slavia friulana.

Ma è soprattutto l’anima di don Trinko che bisogna ricordare.
Bisogna ricordare il suo amore profondo per la terra natia, per i contadini, per gli operai, per i lavoratori, anche i più umili e perciò più meritevoli di considerazione e di rispetto.
Sono essi che rendono la terra produttiva e feconda.

Don Trinko deve aver esultato, nel 1945, in età ormai avanzata ( già ultraottantenne), quando, caduto il fascismo, si èricostituito uno stato libero e democratico.
Eppure neanche allora ha avuto la ventura di essere capito; il suo slavismo, che è una spirituale inclinazione al riconoscimento della fraternità dei popoli slavi e non una mitica unità politica, è stato deformato, e le sue intenzioni sono state arbitrariamente interpretate in quella chiave politica alla quale erano del tutto estranee.
Lo studioso Jozko Kragelj in una sua relazione svolta a Murska Sabota il 25 agosto 1963 e recentemente pubblicata dal Novi Matajur a questo proposito così afferma: « ii cuore di Trinko batteva sia per l’Italia che per la sua gente... della Slavia Veneta » - « il suo equilibrato intelletto », continua Jozko Kragelj, « la sua coscienza non conoscevano cedimenti nè a destra nè a sinistra ».
La sua amarezza sarà stata grande quando, ancora in vita, si davano interpretazioni distorte al suo impegno politico ed alle sue ricerche di storico.

Proprio per rimanere fedeli alla memoria di Trinko e per rivalutare la sua opera bisogna respingere ogni tentativo di mistificazione del suo pensiero.

Trinko, che all’apparenza era un timido, non riuscì mai infatti a parlare in pubblico e non fu un predicatore, aveva una forte tempra ed una sicurezza di ideali da non lasciare dubbi sulla sua linea e sulle sue posizioni: sacerdote cattolico di grande fede, obbediente e mite italiano di grande cuore e proprio per questo attaccato alla cultura alla storia al costume alle genti della Slavia Veneta, della quale si sentiva e cantore e rappresentante.

Trinko ci ha lasciato un grande insegnamento: nel rapporto sociale la verità cristiana non può ritrovarsi che in un amore genuino, che è al di sopra di ogni mito, che è al di sopra di ogni divisione classista, perchè l’amore cristiano riconosce tutti gli uomini fra loro fratelli, ed è pur sempre dalla carità e dal fraterno amore che derivano il benessere e la felicità di tutti gli uomini.

Alfeo Mizzau





Trinko, uomo di cultura

di Antonio Di rito

Ricorre, proprio in questi giorni, il ventesimo anniversario della scomparsa di Ivan Trinko, luminosa figura di uomo, di sacerdote, di cittadino, nato a Tercimonte nel 1863 dove ha sempre vissuto la sua vita operosa e feconda di bene, e dove è morto nel 1954.
E’ stata una vita intensa, apostolicamente sorretta da un ardente spirito di amore, turbata dalle amarezze, dalle incomprensioni e dai contrasti che erano il naturale effetto di eventi storici e di polemiche politiche e religiose di ampiezza non solo italiana, ma europea.

Dobbiamo ricordare che Ivan Trinko aveva appena sette anni quando, nel 1870, lo Stato italiano ha conquistato Roma sottraendola al dominio pontificio, e ha determinato la grande frattura tra lo Stato e la Chiesa e l’atteggiamento di intransigenza dei cattolici più fedeli alla Chiesa che, arroccati nella formula di don Margotti « nè eletti nè elettori », rifiutavano ogni collaborazione allo Stato.
Ma dobbiamo anche ricordare che Ivan Trinko apparteneva alla terra veneta, nato e radicato in quel Friuli che fino al 1866 aveva fatto parte dell’amministrazione austriaca, un~ amministrazione onesta e corretta, che aveva saputo mantenere i rapporti dello Stato con la Chiesa su un binario di lealtà e di correttezza.
Il giuseppinismo, anche nei momenti più drammatici del periodo risorgimentale, non ha rappresentato altro che una minaccia di porre la politica contro la religione; ma la breccia di Porta Pia e la conquista di Roma da parte delle forze armate dello Stato italiano hannocostituito un trauma per i cattolici, e il rifiuto di accettare cariche politiche dallo Stato italiano era la logica e naturale conseguenza portata da quell’evento.

E’ stato Leone XIII il grande Papa che ha voluto lenire un tale trauma e ricomporre in armonia fattiva il mondo dei cattolici intransigenti, insegnando il dovere sociale della collaborazione tra tutte le forze sociali e politiche, per il bene del popolo lavoratore, formato alla base di contadini e di operai che non chiedono che comprensione per il loro duro lavoro e assistenza e aiuto da parte di una amministrazione provvida, giusta e onesta.
E’ in questa cornice di distensione che si innesta la feconda « Opera dei congressi e dei Comitati cattolici »che trova don Ivan Trinko nella pienezza della sua vita quando, uscito dal Seminario, inizia la missione sacerdotale.

Come sacerdote, Ivan Trinko conosce le aspirazioni della sua gente, i bisogni delle anime che sono affidate alle sue cure.
E’ di queste anime che il giovane sacerdote si preoccupa, e cerca di illuminarle, nella luce della verità cristiana, per distogliene dalla predicazione menzognera dei nemici eversivi e nivoluzionari, comunque mascherati: anarchici e liberali, massoni e comunisti, atei e cosiddetti « liberi pensatori » cercavano di divulgare nel popolo una falsa dottrina, per attizzare l’odio di classe facendo apparire come doverose certe rivendicazioni di libertà e indipendenza che altro non erano se non l’apertura a nuove forme di servitù.

Don Trinko, convinto della sua missione, non avendo nessuna ambizione personale, si è dedicato con passione a questa « cura di anime », a educare nella verità quelle « genti del Natisone » che furono sempre suo vanto e orgoglioso punto di riferimento. Acuto interprete delle esigenze locali, cercava sempre di portarle avanti in una cornice di carità e di amore, escludendo le provocatorie azioni ribellistiche e rivoluzionarie proposte dagli elementi sovversivi anticattolici.

Ivan Trinko ricordava sempre il passato di oppressione, di umiliazione e di logoramento che è stata la storia della sua terra. E certamente non dimenticava il legame che per secoli aveva avvicinato il popolo friulano alle popolazioni slovene.
Non dimenticava che alla cultura slovena avevano sacrificato la vita quanti, come Trubar e Dalmatin, dovettero vivere in esilio per poter diffondere il proprio pensiero in scritti che venivano introdotti clandestinamente in patria.
Non dimenticava che ad altri connazionali, come ad esempio il Pre~ceren e il Levstik, per non citare che due nomi, si deve la diffusione di una sana cultura italo-slovena, ispirata a una fede sincera nella libertà e nella giustizia sociale.
Il Trinko si rivolge a quanti sono animati dalle sue stesse idee; chiede collaborazione in questa difficile opera di difesa della verità; ma non ottiene i risultati sperati.
Egli lancia il richiamo, e rinnova gli appelli, ma spesso la paura o mancanza di coraggio fanno sì che i suoi appelli non vengano raccolti.
« La mia voce — ha scritto una volta il Trinko è la voce di colui che grida nel deserto:
“Vox clamantis in deserto” ».
Ma la delusione, lo sconforto non fanno venir meno il suo amore per la terra natia, la sua tenace volontà di operare per il bene dei sofferenti e degli oppressi.

Andrej Budal ha osservato:
« Il sano impulso di amor patrio di Ivan Trinko lo ha sempre spinto verso i bisogni della sua gente, cosciente della grande responsabilità per sè e per il popolo stesso del quale si è sempre volentieri occupato nei vari dissensi, tenendo presente il maggior interesse di ciascun popolo ».
E poi:
« Qltremodo interessante era la sua prestazione nelle necessità culturali.
Gli italiano-sloveni colti, che avevano bisogno delle fonti italiane e slovene per lo studio dei monumenti e dei dialetti, delle statistiche della storia naturale e patria, molto volentieri sostavano presso l’ospitale compagnia di Ivan Trinko e sempre ricevevano da lui indicazioni, libri e incitamenti ».

Ivan Trinko è stato anche un poeta, ed è nelle poesie appunto che spesso si manifesta l’intima verità del sentimento, e la vera portata delle aspirazioni e delle intenzioni.
« Laggiù, laggiù sono i fratelli — scrisse in una delle sue liriche più significative — laggiù sono le sorelle care, che dal lungo sonno mi hanno svegliato ».
E’ una sintesi quanto mai efficace, per esprimere il dolore e il rincrescimento della separazione forzata tra i fratelli di una stessa famiglia — ossia degli appartenenti a una stessa sfera culturale e ideale — e nel tempo stesso per richiamare l’attenzione della nazione sul problema di base della Slavia veneta.

Il Trinko parte dunque da posizioni particolari, da interessi settoriali, da problemi e esigenze locali per inquadrarli in una visione globale di interesse nazionale.
Egli cioè, più o meno inconsciamente, auspicava un allargamento dei problemi locali così da portarli a livello nazionale.
Si stava cioè delineando in lui, in quegli anni di fine secolo — dopo l’apertura alla collaborazione con le forze politiche dello Stato determinata da papa Leone XIII — la mentalità dell’uomo politico di stile moderno, che accetta di rappresentare e difendere, in forza del mandato elettorale, gli interessi locali, che sommati a tutti gli altri interessi locali costituiscono quel mosaico di « interessi nazionali »che lo Stato ha il dovere di prendere in considerazione e di risolvere.

E’ in questo quadro che molti cattolici si sforzarono per introdurre sui piano politico i programmi stabiliti nei Congressi e d’altra parte i governanti, minacciati dall’ondata avanzante dei radicali e dei socialisti, si sono visti costretti a cercare un aiuto, sia pure di compromesso, con le forze cattoliche.
Anche gli organi politici della Santa Sede, nella ricerca di un graduale abbandono della politica astensionista, hanno iniziato la collaborazione con tutti i governi, e di conseguenza anche con il governo italiano, per la formazione delle prime « Associazioni Nazionali per soccorrere i missionari cattolici italiani ».
E’ stato questo il primo passo verso la distensione, e ne va dato merito alla intelligente diplomazia pontificia. Ma quando i cattolici militanti dovettero scegliere, a fine secolo, se appoggiare i liberali, contro le forze sociali più avanzate, o caldeggiare lo spirito astensionistico allo scopo di costituire un partito confessionale, basato sull’unità politica dei cattolici, fu scelta questa seconda via, più scomoda sicuramente, ma più consona ai loro ideali.

La politica di don Trinko, (se di politica si può parlare in un’opera tutta intessuta di apostolato di giustizia sociale), si incentrò nella difesa delle minoranze slovene di lingua italiana.
E questo, naturalmente, scatenò una offensiva minacciosa.

La polemica trovò alimento in alcuni articoli apparsi sui giornale Il Friuli nel febbraio del 1892.
Gli articoli avevano lo scopo di mettere in cattiva luce quanti operavano a sostegno degli ideali di avanzamento sociale e culturale della Slovenia veneta.

E il motivo più acceso di questa polemica fu in relazione all’affermazione di Trinko su ciò che avrebbe potuto o dovuto diventare la sua terra:

« Uno staterello a parte, completamente autonomo ».

L’autonomia spaventa i governi quando a reclamarla sono le popolazioni soggette.
Ma l’« autonomia »della Slovenia, secondo gli ideali di Trinko, non era di carattere politico, ossia non aveva di mira la separazione dallo Stato italiano (che tuttavia sarebbe stata giustificata dalla rigida posizione governativa assunta nei confronti delle minoranze nazionali), ma di carattere spirituale, come diritto e dovere di difesa delle proprie tradizioni culturali, e di conseguenza logica e naturale richiesta di protezione politica; autonomia culturale, dunque, sul sistema di regime.


Ma le polemiche non scoraggiarono il Trinko; anzi lo indussero a maggiori sacrifici.
Egli non esitò a battersi in prima persona, denunciando la sua amarezza per gli affronti subìti, logica conseguenza dello spirito repressivo di quegli anni, e chiedendo giustizia anche per se.

Furono, quelli, anni di fermento per il Friuli e la Slovenia veneta, che — secondo il giudizio di Tessitori — « Videro il formarsi di una coscienza politica di tipo cattolico erede della espressione nazionale dell’Opera dei Congressi ».
Tuttavia, da un punto di vista economico, questi anni di fermento politico-sociale hanno visto il passaggio da una atavica economia di consumo ad una più valida e moderna economia di mercato.

Ma un altro aspetto merita di essere sottolineato nell’attività di Ivan Trinko: il suo rispetto per le tradizioni popolari.
Egli soleva dire:
« Bisogna salvare il patrimonio già esistente e andare in cerca, fino in fondo negli ultimi cantucci del Friuli, di quelle melodie, che il popolo stesso crea e soprattutto di quelle che appaiono più antiche e caratteristiche ».
Queste parole, pronunziate a proposito del canto popolare, sono la prova più sicura del suo amore per il suo popolo. Secondo lui, il canto popolare è il fondamento della coscienza etnica di un gruppo sociale omogeneo. Il canto popolare generalmente èanonimo.
« Al popolo non importa affatto sapere chi è l’individuo che lo ha creato — spiega il Trinko —.
E’ uno che lo ha creato a nome di tutti.
Esso è del popolo, e basta! ».
Questo ci rivela in quale modo Trinko abbia voluto valorizzare le espressioni delle aspirazioni locali.
Egli ha voluto essere uno che a nome di tutti ha chiesto considerazione e benevolenza per il patrimonio culturale e folkloristico delle sue minoranze, a quanti non ne erano sufficientemente informati, e per questo manifestavano scarso interesse.

« Alle periferie etniche — dice ancora Trinko — dove un popolo confina con un altro, nasce naturalmente un mutuo influsso, una compenetrazione, che tende a smussare... le eccessive diversità specifiche, alterando un po’ l’originalità primitiva da ambe le parti. Però il carattere fondamentale resta ancora ».
Questo ci dice che se vi fu in lui l’ossequio per le tradizioni, vi fu anche viva la consapevolezza della funzione della cultura in popoli confinanti, e la certezza che l’indole primitiva non potrà mai essere cancellata.
Ecco dove Trinko scoprì la sua forza penetrativa, ecco dove egli rivelò il suo altissimo spirito cristiano.
Infatti alla base di ogni messaggio del Trinko vi èil riconoscimento della dignità dell’uomo con i suoi diritti e i suoi doveri che nessuna autorità oppressiva di governo può riuscire a cancellare.

I primi anni del secolo XX furono un momento particolare e delicato della scena politica italiana: conservatori e democratici si sforzarono nel difficile tentativo di un reciproco superamento.
In Friuli, nel possibile incontro fra forze liberali e forze clericali, assistiamo al risveglio dei cattolici, che, preoccupati del fenomeno migratorio, cercarono con l’istituzione del Segretariato del popoio, nel 1901, di bilanciare il Segretariato dell’emigrazione di netta ispirazione socialista e tendente a ottenere voti dalle masse sfiduciate.
Sempre in Friuli assistiamo al superamento della « linea Casasola » basata su un intransigente conservatorismo e l’avvicinamento fra cattolici e liberali moderati in occasione delle elezioni amministrative del 1902.
Il risultato fu incoraggiante per il movimento cattolico: sette derico-moderati entrarono nel Consiglio provinciale, fra essi due professori del seminario di Udine, Ivan Trinko e Protasio Gori.

Trinko fu il rappresentante delle popolazioni delle valli del Natisone, riuscendo ad ottenere 1460 voti preferenziali e superando persino il quotatissimo Brosadola.

La Patria del Friuli di ispirazione liberale commentò:
« E’ il primo prete che entra nel Consiglio provinciale ».
Trinko non fu toccato dalla fredda e laconica notizia, tanto più che veniva da una voce che non era mai stata favorevole ai problemi delle sue valli.

Raccolse, con l’elezione, il consenso di quanti videro in lui non soltanto un sacerdote d’ingegno elevato, che con mons. Gori e il poeta Ellero qualificava degnamente la cultura del Seminario patriarcale, ma il più valido rappresentante delle minoranze etniche delle Valli del Natisone.
Trinko sentì profondamente il compito che gli fu affidato e lavorò con tenacia per non tradire la fiducia dei suoi elettori.

I suoi primi interventi in Consiglio provinciale rivelarono la sua indole semplice e profondamente umana. In un suo discorso a favore dei ricoverati all’Ospedale S. Servolo di Venezia affermò:
« Noi che vestiamo l’abito sacerdotale saremo sempre i primi a condannare chi... venga meno ai suoi doveri e offenda i principi della umanità ».
In questo caso, l’argomento messo in discussione in Consiglio non toccava la sua gente; ma il Trinko si proclamava difensore dei diritti degli offesi e dei deboli, e non distingueva e non rivelava preferenze di sorta.
Tutti gli offesi e i deboli solo perchè tali sono oggetto di amore.
Amava quindi le persone che soffrivano, sapeva rincuorarle con un sorriso, con un gesto, era vicino a qualunque minoranza perchè si sentiva partecipe del loro dolore, non perchè fosse un politico arrivista.

Considerava quindi le genti del Natisone in senso etnico, in forma paternalistica, ma non certamente per fini politici.
L’essersi trovato a rappresentare una fetta di Friuli prevalentemente povero ma operoso, dal Cividalese al confine, lo aveva reso orgoglioso e fiero portavoce di un’espressione genuina di fraternità e di amore.
Ivan Trinko rimase nel Consiglio provinciale per ben vent’anni, nei quali cercò sempre di respingere sia il compromesso liberale e sia le contestazioni provocatorie del socialismo.
In questa sua linea politica fu vicinissimo a don Sturzo, con il quale ebbe fraterni rapporti di reciproca stima e amicizia.
Trinko rappresentava, in sede locale, le aspirazioni del grande prete di Caltagirone.
Entrambi si presentarono ispirandosi ai tradizionali principi del Cristianesimo.
Entrambi si ritrovarono uniti nel programma del Partito Popolare, basato soprattutto sull’integrità della famiglia, la libertà dell’insegnamento, lo sviluppo dell’agricoltura, l’assistenza pubblica e la riforma della burocrazia, il tutto nel rispetto di quei valori che sono sacri alla coscienza cristiana.
Trinko portò avanti, con particolare cura, il « problema regionalista », che Sturzo aveva sempre caldeggiato per l’autonomia economica e amministrativa del sud italiano povero e ancora a livello agricolo, rispetto al nord ricco e a livello industriale.

Diceva Don Sturzo:
« Noi siamo regionalisti, la nostra politica deve essere regionalista, le nostre finanze, la nostra economia, la nostra amministrazione, tutto deve corrispondere alla regione... Non vogliamo la secessione dalla madre patria, ma vogliamo da noi curare i nostri interessi ».

Don Trinko si sentì legato per profondo convincimento a questi ideali, e non mancò, nel corso dei suoi interventi al Consiglio provinciale, di sottolineare le proprie idee a favore di quanti si trovavano ancora, come il sud d’Italia, in una posizione di dolorosa arretratezza.
« Noi non domandiamo privilegi — disse Trinko — noi domandiamo eguaglianza per tutti... domandiamo di poter partecipare ai benefici pubblici, desiderando che la nostra popolazione si accorga che nel vocabolario italiano oltrechè la voce dare c’è anche quella del ricevere ».

Trinko desiderava che gli Slavi veneti non subissero ingiustizie sociali, e, per la loro fermezza morale, e lo spirito di sacrificio che li aveva sempre animati, potessero essere chiamati a dividere con il resto del Friuli, un posto degno nella vita italiana. Intervenne — a titolo di esempio — in sede di discussione per la spesa del progetto civile per il congiungimento della ferrovia Udine-Cividale alla Assling-Gorizia affermando fra l’altro:
« Da parte mia raccomando che la ferrovia attraversi la vallata, e sia favorito S. Leonardo e le popolazioni viventi in quel territorio, che null’altro richiedono dalla provincia ».
Prese quindi spunto dall’argomento della ferrovia Cividale-Assling, per « caldeggiare la congiunzione della nuova ferrovia, che si è costruita in Austria, con una nuova strada da costruirsi, che da Udine possa comunicare con l’interno della Croazia... per riacquistare quella vita commerciale che venne perduta con le altre ferrovie ».
In tutti i suoi interventi, Trinko non dimenticò mai la sua posizione di sacerdote, di politico e di filosofo.
Come sacerdote, si richiamò ai concetti cristiani di fratellanza, di unione, di umiltà;
come politico, operò condividendo gli intendimenti di Sturzo;
come filosofo, si richiamò al pensiero tomista ponendo la giustificazione e la guida per le azioni umane nella logica del diritto naturale, e nella ragione divina, che ne costituisce la base.

Tutto il pensiero filosofico del Trinko è in questa efficace sintesi che esprime la natura e la ragione della ricerca filosofica.
« I filosofi non devono preoccuparsi di creare o di voltare il mondo e di foggiarselo a proprio capriccio.
La loro occupazione deve essere quella di studiarlo, di riprodurlo in sè con quell’ordine e con quella verità, che esso presenta nella sua obiettività reale; di cercare le sue cause, i suoi principi costruttivi, le sue proprietà; di rintracciare le leggi che lo governano, di sciogliere i problemi che presenta e di ridurre un po’ alla volta il pensiero umano a quella organica ed armonica unità che èattuata nel mondo, affinchè organica ed armonica ne risulti la nostra vita interiore ed individuale, ed organica e armoniosa ne risulti anche la vita esteriore e sociale.
Solo in questo modo la filosofia troverà il suo costrutto e la sua dignità di regina di tutte le scienze, di riassunto sintetico di ogni sapere umano.
Solo in questo modo riuscirà utile alla vita e segnerà il punto culminante del progresso e della perfezione a cui essa deve condurre l’uomo ».

In filosofia, dunque, il Trinko ha ripreso e seguito la migliore tradizione cristiana.
L’importanza della dottrina tomistica, che ha saputo superare ogni anche più difficile polemica e dimostrare la sua efficienza anche nei confronti del pensiero idealistico moderno, è stata riconfermata anche da lui, che ne ha ricavato il maggiore e migliore impulso per le sue lezioni al Seminario.

Tuttavia il Trinko non ha ottenuto quel successo che avrebbe voluto; le posizioni tradizionali, difese con coraggio e sostenute apertamente, in tempi particolarmente difficili, quando si sono visti molti filosofi cristiani inclinare verso l’accettazione di principi idealistici immanentistici, soprattutto per amore di novità o di conformismo verso una certa cultura dominante, non sono considerate o, quanto meno, vengono lasciate da parte, dimenticate.
Di un isolamento di questo genere ha sentito il peso il Trinko, che spesso ha dovuto riconoscere, con amarezza, « sono solo e mi attornia il deserto » , un verso che sostituisce un lungo discorso.
E questa amarezza ritorna spesso, nelle sue liriche, nelle quali la sua malinconica disperazione si amplia in un pessimismo cosmico che solo la sua grande fede nella Provvidenza cristiana limitava a fatto delle creature.
E’ in un momento di grande sconforto che egli, liricamente, ha pensato alla sua fine, e quasi alla inutilità della sua vita per non aver potuto raggiungere lo scopo missionario che si era proposto, incentrato nel problema etnico, storico, politico, filosofico, culturale della sua regione, quasi a scopo della sua missione. « Una piccola folla mi accompagnerà al sepolcro, e, unica, la madre piangerà dietro a me » .
Ed ancora, quasi con accorato rimpianto, dice: « Come di nuovo nei precedenti sogni s’immerge l’anima mia, beve la gioia dei tempi trascorsi e assapora il dolore ». L’ultima esperienza politica è del periodo dal 1919 al 1925:
la partecipazione all’esaltante programma wilsoniano, indirizzato « a tutti gli uomini forti e liberi » per realizzare una pace feconda e duratura nel mondo sconvolto dalla prima guerra mondiale.
Spiritualmente legato all’ideale sturziano, sostenitore di quel Partito Popolare che aveva proclamato come sua insegna la Croce simbolo di carità cristiana e di sacrificio e di preghiera, anche il Trinko riprese la sua battaglia.
Ma il trionfare della violenza, e i noti eventi che hanno accompagnato l’affermarsi della dittatura fascista, hanno reso ancora una volta sterile ogni suo sforzo.
Ed egli si è ritirato ancora una volta dalla scena politica, mantenendo, nei confronti del fascismo imperante, un contegno distaccato, melanconico e di profonda amarezza e di rimpianto per quei valori, soprattutto morali e religiosi, che egli aveva sempre sostenuto con intransigenza e che vedeva impunemente violati e disprezzati.

In questo periodo, il Trinko alternò il suo insegnamento con qualche conferenza di carattere filosofico, con uno studio di carattere storico sulla Jugoslavia e con la stesura di novelle ispirate dalla natia Tercimonte.
E’ significativo come, in queste novelle, la sua attenzione si sia rivolta ai bambini del suo paese, ai « cari monelli » come egli li chiamava, che nella bufera politica nazionale erano stati i soli a dargli la sicurezza di una continuità logica del suo messaggio ed erano stati gli unici che, con la loro innocenza, avevano potuto alleviargli le sofferenze di una politica sbagliata. Per il resto della sua esistenza, curò prevalentemente gli studi storici, con particolare riferimento alle popolazioni slave.
Ed è appunto nell’isolamento di Tercimonte che il Trinko terminò e diede alle stampe la sua « Storia della Jugoslavia », che esamina in rapide sintesi il profilo politico letterario ed artistico della nuova nazione.
Al di là del suo valore scientifico, che non è qui il caso di analizzare, dobbiamo tener conto dei motivi che hanno indotto il Trinko a tale lavoro, e che egli ricorda nella prefazione.
Egli dunque scrive: « Presento ai lettori italiani questo riassunto della storia politica, letteraria ed artistica della Jugoslavia, convinto di fare un’opera buona.
Mi danno incoraggiamento a ciò i felici rapporti d’amicizia fra l’Italia e la Jugoslavia, essendo giusto che gli amici si conoscano sotto ogni aspetto.
La Jugoslavia, dove è stato coltivato con amore l’italiano, conosce bene l’Italia, perchè ha sempre largamente attinto a questa antica fonte di civiltà. Per l’Italia la cosa è diversa; essa in massima nel passato non conobbe la vicina se non come una delle varie nazionalità della monarchia austro-ungarica e quindi attraverso le notizie più o meno colorate che l’Austria stessa le forniva.
L’ignoranza delle lingue slave, che le impedì di farsi un concetto degli Slavi desunto dalle loro opere, è la causa precipua per cui gli italiani ignorano in massima la storia, la cultura e le estremamente sfavorevoli condizioni politiche della Jugoslavia, che impedirono e ritardarono il suo sviluppo.
Solo dopo la costituzione della Jugoslavia in uno stato proprio essa attrae l’attenzione, ed abbiamo già parecchi studiosi italiani, che hanno cominciato lodevolmente ad occuparsi della lingua e dei letterati jugoslavi moderni, e vi sono già delle traduzioni di loro opere.
Tuttavia siamo ancora lontani da un orientamento complessivo nel campo culturale di questi, spesso mal dipinti e indegnamente calunniati vicini.
Valga pertanto questo modesto tentativo a metterli in una luce migliore, e porti un piccolo contributo per approfondire sempre più le ragioni di amicizia e di mutuo apprezzamento fra le due nazioni ».

L’opera voleva essere quindi un « incoraggiamento » a sempre migliori rapporti fra i due popoli confinanti.
E se consideriamo l’anno in cui fu scritta, il 1939, e l’età dell’autore, 76 anni, appare chiaro come nella mente di Trinko gli eventi bellici di quegli anni ed il consolidamento delle sue esperienze giovanili, lo avevano portato ad elevarsi verso forme di maggiore spiritualità: reciproco rispetto e possibile fratellanza fra due popoli che erano già saldamente legati nel cuore del sacerdote di Tercimonte.
Il Trinko avrebbe voluto gettare un ponte, fra due culture, quella italiana e quella slovena, che le minoranze bilingui delle valli del Natisone già da secoli avevano costruito.

Il Trinko aderì, se pur già molto anziano, alla lotta partigiana, o quanto meno ai suoi ideali, considerandola un mezzo di libertà e sperando o augurandosi che servisse a raggiungere quelle mete spirituali che avevano alimentato tutta la sua vita sociale, politica e religiosa.
Ma rimase ancora un incompreso. Ingiustamente dovette subire le accuse di filo titino per il suo atteggiamento benevolo verso il mondo slavo, che era l’atteggiamento sincero dettato dalla sua coscienza e quasi una sua naturale predisposizione.
Egli avrebbe ben voluto, dicendolo per metafora, unire nel proprio abbraccio i due popoli che amava di uguale amore, ed insegnare ad essi ad avere l’uno per l’altro reciproca stima e considerazione.

In tanta amarezza, tra tanta incomprensione il Trinko èvissuto ed è morto nella sua Tercimonte.
Sulla sua tomba, a testimonianza di una vita spesa per gli ideali di libertà e di fratellanza del suo popolo, furono riportati alcuni versi di una delle sue liriche più significative:

« Dove sei, terra natale
terra natale
terra povera, piccola,
che la grazia del Signore
ha dato in mio possesso?
Dovunque tu sia
sei mia senza fine ».


In questa invocazione alla sua piccola terra natale si chiude il dramma di un uomo, che è stato certamente, per elevatezza morale e dignità spirituale, un uomo libero veramente e veramente democratico.

Antonio Di Rito



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