Coraggio, riprendete la speranza e la gioia

Il testo dell'omelia nella quale l'Arcivescovo ha chiesto che “venga fermato l'esodo drammatico dei giovani”.
Dober večer! Paršu san darovat sveto mašo u Matajur u teli božičnj noči, kier, če bi se Kristus donas rodiu, bi izbrai telo vas.

Un giornalista mi ha chiesto «Dove farebbe nascere quest’anno Cristo nel mondo?>
Ho risposto: «A Sarajevo».
Mi son chiesto: “e in Friuli dove nascerebbe?” “Quest’anno nascerebbe a S Pietro al Natisone, nelle Valli”. Quando ho manifestato questa intenzione, alcuni sacerdoti e laici mi hanno detto:
meglio a Montemaggiore.

Ecco perché sono qui; per dare un segno penitenziale di conversione per me, per la Chiesa udinese, per il Friuli e per la Regione.
E’ conseguenza logica del racconto scarno di Luca (2,1―14).
Racconta con tre righe il fatto
«Maria diede alla luce il suo figlio, lo fasciò e lo depose in una greppia, perché non c’era posto per loro nell’albergo».
E racconta con tre righe il segno che l’angelo porta ai pastori:
«Vi annuncio una grande gioia: è nato per voi oggi il Salvatore! ed ecco il segno: troverete un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una greppia».

Sono tre righe terribilmente scomode.
Dio fatto bambino, viene a rovesciare la nostra logica umana.
E' iniziata l’era nuova del mondo.

Secondo la nostra logica:
Dio che si fa uomo, scendendo dal cielo sulla terra, l’eterno che entra nel tempo nella storia, l’avremmo fatto nascere a Roma nella reggia imperiale, figlio dell’uomo più potente della terra (Cesare Augusto che aveva ordinato il censimento).
Lì il poeta Virgilio (IV Egloga) aveva predetto la nascita di un Salvatore.
Sarebbe stata un’incarnazione teologicamente perfetta.
Sarebbe stato vero Dio e vero uomo anche così.
Ma non sarebbe iniziato un corso nuovo nella storia dove da sem­pre dominavano i ricchi, i potenti.

«Figlio di Dio, nel farti uomo hai scelto un’altra logica.
scelto una stalla, una grep­pia, per dare speranza ai poveri della terra, ai derelitti, agli emarginati, a quelli che non contano.
Ecco perché gli angeli hanno portato l’annuncio di gioia ai pastori umili, ignorati dal mondo.
Allora capisco per­ché con quella nascita, di quel bambino, nato in una stalla, adagiato nella greppia, è comin­ciata l’era nuova del mondo.
Tanto è vero che da quella data si contano oggi gli anni della storia umana.

Sono venuto, come i pastori di Betlemme a vedere, ad ascol­tare, non il vagito di un banibi­no che nasce, ma il lamento di un popolo che muore.

Qui muore un popolo per l’inarrestabile esodo dalla Sla­via friulana.
Il censimento di cui parla il Vangelo, ci fa pen­sare al censimento di queste valli.
Dal censimento del 1981 a quello del 1991 i 7 comuni delle Valli del Natisone hanno perso ulteriormente il 18,3% della popolazione e risulta vuoto il 24,4% delle abitazioni.
I giovase ne vanno verso la pianura, vicini al posto di lavoro.
La popolazione invecchia: la nascita di un bambino è un fatto eccezionale.
Qui muore una cul­tura, che è ricchezza del Friuli per lo spegnersi della identità etnico linguistica slava.
Lo Sta­to non ha, dopo quasi 50 anni, ancora dato attuazione al dettato dell’Art.6 della Costituzione, che prevede una legge di tutela di questa minoranza slava.
Le iniziative culturali per salvare questa identità sono state osteg­giate o viste con sospetto.
Qui muore una ricca tradizione reli­giosa di una popolazione in cui la fede è stata da sempre incul­turata cioè strettamente legata alla lingua, alla cultura, all’ani­ma di questa gente.

I Patriarchi, nei secoli passa­ti, hanno ripopolato una parte del Friuli distrutto dagli Unni e dagli Avari. Lo testimonia la toponomastica di molti paesi come Belgrado, Gradisca, Gra­discutta, S. Marizza, Lestizza ecc.

Questa notte sono venuto a sperare, a chiedere che ora ven­ga restituito quel dono, ripopo­lando queste Valli della Slavia friulana.
Il problema si pone anche per la Carnia.

Il profeta Isaia, nella prima lettura (IS 9, 2041) annuncia:
«Il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce».
Lo so che il Paese, la Regione, il Friuli vivono un momento economicamente e politicamen­te difficile. Ma, dando voce al lamento di un popolo che muo­re, oso chiedere a politici, amministratori, imprenditori, operatori economici e finanziari che si faccia ogni sforzo per fer­mare questo esodo drammatico dei giovani.

Portando sorgenti di lavoro, specie artigianale in queste zone in conformità al pensiero socia­le della chiesa: non è il lavoro che deve cercare il capitale, ma il capitale che deve cercare il lavoro, con un decentramento che non sradichi la gente dalla propria terra.
Garantendo i servizi sociali essenziali, compresi i servizi sanitari.
Defiscalizzando le famiglie che restano a custodia e tutela della montagna; impediscono il degrado ambientale; evitano i dissesti ecologici che causano inondazioni e calamità naturali; fanno sì che ogni zolla del pia­neta terra risponda alla sua vocazione di produrre a servizio dell’uomo.

Favorendo rapporti di intesa con le confinanti popolazioni, slave, mediante la comunicazio­ne di lingua e di storia.
Insane politiche nazionaliste di questo secolo hanno creato ai confini trincee e fili spinati, vedendo al di là del confine un nemico.
La vostra mediazione diventa pon­te di collegamento che prepara la nuova Europa di S. Benedetto e dei Ss. Cirillo e Metodio.

Ma un appello lo lancio anche a te popolo di queste Val­li del Natisone. Isaia continua nel suo mes­saggio di speranza:
«Hai molti­plicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si mie­te».
Coraggio, quindi, riprendi la speranza, la gioia. Trova nel­la tua fede, nella tua cultura, nella tua storia la volontà di sal­vare le tue radici, la tua anima.

Fermarsi quassù renderà la vita meno facile che in piano, nel Cividalese o nel Manzanese.
Non è sempre detto però che una vita più facile sia una vita più felice.
Si può arricchire di soldi nel portafoglio, ma impo­verirsi miseramente nell’anima perdendo le proprie radici, la propria identità.
Diventare, come tanti italiani: «Sazi, ma contenti» quindi infelici.

Iz sarca želim usien vani an vašin družinam veseu Božič an srečno novo lieto.

+ Alfredo Battisti Arcivescovo di Udine



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Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia che l’arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, ha tenuto la notte di Natale a Mon­temaggiore nel corso della celebrazione della santa messa.
Lo fac­ciamo perché il suo intervento, riportato in sintesi sui quotidiani locali, ha provocato da parte di alcuni amministratori delle valli reazioni spropositate nel contenuto e nel tono.
La sintesi giornali­stica affrettata e mirata ha provocato commenti, ai quali si sono aggiunti altri commenti e alla fine è stata travisata la verità.
Mira­to e strumentale è sembrato anche lo spazio dedicato agli inter­venti: non si ha memoria che una predica dell’arcivescovo Battisti sia stata così ampiamente ed a lungo sviscerata da improvvisati esegeti.

Di fronte a frasi staccate dal loro contesto, la prudenza cristia­na o anche la cautela laica, se non proprio il dubbio esistenziale, avrebbero dovuto suggerire reazioni più meditate, e pacate;.più appropriati sarebbero stati un approfondimento delle tematiche trattate e la ricerca delle cause di tanta desolazione; ma. anche la meditazione non sarebbe stata fuori posto.

La personalità e l’alta missione di mons. Battisti, il momento e il luogo in cui è stata pronunciata l’omelia dovevano garantire che non si trattava né di una denuncia demagogica né di un comizio politico.

L’Arcivescovo per la prima volta, nei ventidue anni di ministe­ro episcopale nella diocesi di Udine,ha messo da parte la solen­nità del pontificale nella Metropolitana ed ha scelto di celebrare il Natale nel paese più alto della Slavia Friulana in segno di solida­rietà e di condivisione dei problemi della gente che vive in monta­gna e in particolare nelle valli del Natisone.
In questo modo egli ha voluto porsi al fianco di questa comu­nità, incoraggiarla, infonderle speranza; ha fatto un appello ai responsabili della politica e delle amministrazioni perché operino scelte concrete a favore della sopravvivenza fisica della comunità. della Slavia e per la conservazione delle sue ricchezze religiose e culturali; ha lanciato l’allarme sul reale pericolo.della scomparsa di questo popolo.

E stato un gesto religioso, profetico, dettato solamente dalla paterna preoccupazione che questa gente abbia non solo il neces­sario per vivere ma, in una visione cristiana della vita, sia radica­ta nella (radizione religiosa e culturale ereditata dai suoi antenati perché se un popolo perde la sua anima, non ha futuro.

Mons. Battisti si è addossato l’eredità di cinquant’anni di dia­spora della nostra comunità, le tragedie personali e familiari da essa provocate, le speranze tradite, le promesse mancate, le ansie e il desiderio di progresso, i tentativi fatti e che solo in parte han­no lenito le ferite; ha visto che il presente è senza prospettive se non intervengono fatti decisivi.
Ne ha indicati quattro:
lavoro, ser­vizi, defiscalizzazione delle famiglie che restano, rapporto con le comunità confinanti.

Non ha puntato il dito contro nessuno, se non contro «le politi­che nazionaliste».
Ha chiesto aiuto per noi tutti, anche per quegli amministratori che si sono risentiti delle sue parole e che sono intervenuti come se si fosse trattato di polemizzare con un concorrente politico in campagna elettorale.

Di fronte a questi fatti, ci sentiamo di condividere il timore espresso dal sindaco di Grimacco:
«E anche questo messaggio forse cadrà nel mucchio, come tanti altri precedenti.»
Giorgio Banchig
DOM 1995


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