La giurisdizione ecclesiastica del Capitolo di Cividale

Il Capitolo di Cividale esercitò la sua giurisdizione su un vasto territorio dell'attuale Slovenia
E’ noto che dal 1152 al 1782 l’insegne capitolo dei canonici di Cividale esercitò la giurisdizione ecclesiastica su un vasto territorio dell’attuale Repubblica di Slovenia comprendente la valle dell’Isonzo e le zone di Cerkno e di Idria e ogni anno affidava la sorveglianza e la responsabilità sulle vicarie «in mon­tibus» o «a parte imperii» ad un canonico che aveva l’obbligo di recarvisi in visita per controllare l’andamento della vita religiosa e per riscuotere quanto dovuto al Capitolo, che era il vero parroco della zona.

Dal 1350 al 1509, anno in cui il territorio passò «a parte imperii» in seguito alla guerra tra Venezia e gli Asburgo, i canonici cividalesi rafforzarono la loro pre­senza ed esercitarono anche una certa autorità politica acquisendo il titolo di «signori di Tolmino» con il comprensibile malumore dei conti di Gorizia e di Tolmino.

Anche in seguito all’istituzione della diocesi di Gorizia, che inglobò questo vasto territorio, e fino al 1848, il Capitolo di Cividale, attra­verso un’accorta azione diplomatica, seppe mantenere salde le proprie prerogative e il diritto ad alcuni tri­buti che venivano riscossi dai «capomasi».

Per rafforzare la loro influenza nel 1737 gli arcidiaconi cividalesi stabilirono perfino una loro sede a Tolmino ed affidarono al giurista canonico Andrea Foramitti, divenuto «papa e imperatore» di queste terre, la tutela dei diritti del Capitolo.

Il decano di Caporetto, mons. Franc Rupnik, con un lungo e paziente lavoro di ricerca nell’archi­vio capitolare di Cividale ha rintrac­ciato i verbali o le relazioni delle visite «in montibus» dei canonici cividalesi e in cinque puntate, appar­se sui numeri precedenti del nostro giornale, ha riportato i dati più inte­ressanti di quei verbali sottolineando alcune particolarità sulla vita eccle­siastica, sulla popolazione, sulla costruzione delle chiese, sulla vita del clero, su usi e tradizioni religio­se.
In questa breve sintesi della ricerca di mons. Rupnik riportiamo solo quelle parti che possono inte­ressare i lettori friulani e italiani.

Le visite degli arcidiaconi civida­lesi si svolgevano attorno alla metà del mese di giugno e il viaggio a cavallo e a piedi, in un territorio pre­valentemente montano, comportava disagi non lievi per la comitiva com­posta da sette, otto persone (arcidia­cono, un altro canonico, un segretario, un interprete e alcune guardie) ed anche spese non indifferenti per le parrocchie che dovevano ospitare la comitiva.

Le vistite più note sono quelle del vescovo Pietro di Caorle nel 1485-86, di cui possediamo la cronaca scritta da Paolo Santonino, e quella del vescovo Paolo Bisanzio, avvenuta quasi un secolo dopo in seguito alle infiltrazioni protestanti in quell’area.

Ma non meno interessanti sono le relazioni degli arcidiaconi cividalesi.
Ne sono reperibili oltre 110, mentre di visite, dalle prime alla metà del 18. secolo, se ne contano almeno 150.
Durante la loro permanenza nei vari paesi i visitatori facevano ispe­zione accurata delle chiese, dei libri sacri, delle suppellettili;
interrogava­no il vicario sulla vita religiosa delle popolazioni e questa, sulla vita pri­vata e «professionale» dei sacerdoti;
impartivano ordini di eseguire alcuni lavori nelle chiese e di provvedere al decoro degli altari e degli oggetti di culto;
celebravano la messa e con l’aiuto di un interprete, di solito di un sacerdote delle valli del Natisone, predicavano alla gente.

Ed ecco alcune annotazioni interessanti o curiose degli arcidiaconi.
Essi erano particolarmente severi nel proibire la tradizione di fissare catene attorno alle chiese dedicate a San Leonardo, a Stare Selo e a Bukovo, perchè la consideravano un’ usanza pagana.
A nulla valevano le proteste e i tentati­vi dei vicari e della gente di spiegare che quello era semplicemente un modo di onorare il santo venerato come patrono dei prigionieri.
Dopo il Concilio di Trento, che introdusse norme severe ed universali in mate­ria liturgica, gli arcidiaconi poneva­no particolare zelo nella visita delle chiese e delle suppellettili sacre e si informavano con scrupolo circa l’ortodossia dei sacerdoti e dei fedeli.

Nelle chiese più antiche essi tro­vavano ancora l’altare posto al cen­tro della chiesa con accanto il fonte battesimale mentre il tabernacolo e la nicchia degli oli santi erano siste­mati «a cornu evangelii» e cioè nella parete sinistra guardando l’altare.
Questa disposizione era chiamata e annotata nei verbali come usanza locale oppure slovena o tedesca.

Il visitatore Antonio Gerardi dovette faticare non poco per imporre la nuova disposizione dell’altare e dell’immagine della Madonna nella chiesa di Caporetto.

Da alcune relazioni si possono ricavare notizie sulla costruzione di nuove chiese, sull’ampliamento di quelle vecchie, sul numero e l’origi­ne dei sacerdoti in cura d’anime (alcuni di essi provenivano dalle valli del Natisone) e sul numero degli abitanti delle varie vicarie.

Ancora dopo molti anni dall’intro­duzione del breviario e dei messali romani, in questa zona i sacerdoti continuavano ad usare quelli aquileiesi probabilmente, annota mons. Rupnik, perchè il rito ed in partico­lare i canti erano più vicini alla sen­sibilità della popolazione.

Le lamentele nei confronti dei sacerdoti erano generali.
Quasi in tutti i paesi erano accusati di essere troppo venali, di essere dediti al vino, al concubinato, al commercio, di gestire osterie, di non avere prov­veduto in tempo ad amministrare i sacramenti, di non aver impedito la grandine e la tempesta (!), di aver rifiutato il battesimo o la sepoltura a qualcuno.
Nella maggior parte dei casi si trattava di calunnie gratuite, ma se il visitatore accertava che ave­vano un qualche fondamento, allora il sacerdote colpevole veniva punito con pene severissime che andavano da qualche mese di prigione all’espulsione dal territorio di Tolmino, alla proibizione di celebra­re la messa per alcuni anni, alla revoca del beneficio ecclesiastico, a multe salate il cui ricavato veniva devoluto al restauro o alla costruzio­ne di chiese.

Mons. Franc Rupnik conclude la sua ricerca con alcune considerazioni di stretta attualità, ma ben radicate nella storia e con uno sguardo al futuro della sua terra e in particolare di quel vasto territorio che per oltre 600 anni è stato sotto la giurisdizione del Capitolo dei cano­nici di Cividale.

«La nostra prospet­tiva é l’Europa

― scrive il parroco di Caporetto―.

La strada più dritta per arrivarci passa per Gorizia, Cividale, Udine.

Ancora alla metà del 17. secolo i circa 19.000 abitanti delle valli dell’Isonzo, Idrijca e Bača gra­vitavano su Cividale che, come oggi, era in terra straniera.

Tra qual­che anno nell’Europa unita, dove perderanno importanza i confini e le lingue, dove ci rispetteremo a vicen­da, non potranno forse rinverdire le vecchie radici del patriarcato di Aquileia, da cui è sorto il glorioso Capitolo di Cividale, e aprire il nostro futuro a migliori prospettive nel contesto di questi rapporti storici e naturali che erano ancora vivi due­cento anni fa?»
a cura di gb
DOM


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