Cividale e il “paradigma Aquileia”

Pubblicati gli atti del convegno sula 800 annia della bolla di Celestino III
Tra le istituzioni che contri­buivano a formare il «paradigma Aquileia», cioè il modello di tol­leranza, rispetto reciproco, con­vivenza e collaborazione tra i popoli che facevano parte del glorioso patriarcato delle tre regiopi Friuli, Carinzia e Slove­nia, un posto particolare è occu­pato dal Capitolo di Cividale, che per oltre settecento anni ha svolto la funzione di «parroco» in una vasta area che va dalla sinistra sponda del Torre alle valli del Natisone, all’alta valle dell’Isonzo fino a Idria.

La più autorevole e solenne conferma della sua giurisdizione canonica risale al 1192, quando l’anziano papa Cele­stino III nella bolla, datata 24 novembre e indirizzata al preposito Pellegrino, al decano Bertoldo e al Capitolo della chiesa scrisse:

«confermiamo con l’autorità apostolica e corroboriamo con la forza del presente atto al vostro possesso la chiesa di Volzana (Volče) con le sue cappelle, la chiesa di Plezzo (Bovec) con le sue cappelle, la chie­sa di San Vito (Šentvi#ka gora) con le sue cappelle, la chiesa di San Pietro di Azzida (al Natisone, Špietar).. .».

Nella bolla ven­gono ricordate, inoltre, le chiese di Ipplis, Gagliano, Orsaria, Premariacco, Ziracco, Faedis, Remanzacco, Moimacco, Togliano, Prestento, Torreano e Rubignacco.

In occasione della celebrazione degli ottocento anni della bolla di Celestino III è stato organizzato un incontro di studi sul significato storico di questo documento e sui rapporti culturali ed artistici tra le aree da esso ricordate.
Gli atti di questo convegno, usciti di recente a cura di Giovanni Maria Del Basso e di Cristina Moroperle Edizioni Lint di Trieste, costituiscono un utile stru­mento per conoscere e approfondire questa bella pagina di storia che realizza nel concreto il «paradigma Aquileia».

GianCarlo Menis inserisce la bolla di Celestino nel contesto storico in cui è stata emanata, delinea i personaggi che le ruotano attorno, illu­stra il vasto territorio ricordato nel docu­mento e sottolinea che esso va visto «nella lunga serie del­le provvidenze realiz­zate dal governo patriarcale nel corso del XII secolo per il potenziamento delle strutture istituzionali dello Stato e, più precisamente, sanziona solennemente il successo di un progetto politico perseguito dai patriarchi e dai loro collaboratori e destinato a consolidare la consistenza patrimoniale del Capitolo civi­dalese, la più importante istituzione eccle­siastica e politica della capitale».

Cristina Moro, nel fare alcune osserva­zioni storico-diplomatistiche sulla bolla, ricorda che il testo, arrivato fino a noi, è trat­to da una copia redatta in forma autentica nel 1207 e consiste «in una conferma di diritti di fatto già esercitati da alcuni decenni da parte del Capitoli di Cividale».

Interes­sante è la ricerca di mons. Franc Rupnik, che ha passato in rassegna i verbali delle visite che ogni anno un canonico, accompa­gnato da un altro confratello, da un interpre­te e da altri personaggi, compiva nei paesi della valle dell’Isonzo per sorvegliare la vita religiosa di quelle comunità, vigilare sulla condotta del clero, intervenire per il decoro degli edifici sacri.
Il centinaio di relazioni reperite, che vanno dal XIV al XVIII secolo, offrono anche un’immagine fedele, resa ancor più interessante dalla descrizione di particolari inediti, della Chiesa e della società di quei tempi.

Tarcisio Venuti parla delle origini aqui­leiesi del cristianesimo cividalese, della pri­ma organizzazione ecclesiastica del territo­rio, della giurisdizione «quasi episcopale» del Capitolo e ripercorre le chiese e chieset­te votive da esso dipendenti analizzando le dedicazioni e intitolaziom che possono indi­care l’epoca di costruzione e l’origine delle chiese stesse.

Serena Livoni analizza i feno­meni di osmosi culturale tra Friuli e Slove­nia in particolare per quanto riguarda l’inte­ressante settore della scultura lignea che ha lasciato begli esempi negli altari lignei a partire da quello di Clenia, di autore ignoto e con colonne classiche scanalate, per arrivare alle opere di Jernej Vrtav/Bartolomeo Ortari di Caporetto che ha lasciato opere importanti nella Grotta di Antro, a Vernas­so, a Cravero e a San Leonardo.

Conclude il volume il contributo nel qua­le Giovanni Maria Del Basso illustra «i segni di potere» lasciati da nobili cividalesi o udinesi in alcune chiese delle valli.
In par­ticolare analizza una scritta del 1636 rinve­nuta ad Azzida (probabilmente opera dei camerari del luogo), lo stemma del canonico Lorenzo de Poppi che si trova sopra la porta del campanile di Castelmonte, lo stemma dei de Portis sul tabernacolo del Pilacorte che si trova nella chiesa di San Pietro e lo stemma degli Antonini di Udine sull’altare della chiesa di san Lorenzo a Mersino.

L’attualità del «paradigma Aquileia» e del contesto storico in cui fu redatta la bolla viene sottolineata dall’arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, che nell’omelia della messa, celebrata a conclusione del conve­gno, fa un parallelo tra i tempi difficili di papa Celestino III e quelli attuali in cui

«sono messi in discussione, non solo proble­mi gravi, ma gli stessi fondamenti sui quali si è costmita la nostra civiltà».
G.B.
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