Democrazia? Sovranità? Autodeterminazione?
Il gulag identitario della Slavia.
Mentre la maggior parte delle rappresentanze socio-politiche ed istituzionali del Friuli Venezia Giulia commentano negativamente l’assurda divisione del territorio regionale in due innaturali collegi elettorali, dalle Valli del Natisone, del Torre e da Resia non si leva nessuna voce per protestare contro l’ennesima forzatura operata con l’inclusione di “tutti gli sloveni” nella stessa circoscrizione. Solo l’Istituto Slavia Viva fa sentire la sua voce per sensibilizzare la locale opinione pubblica su una questione politicamente molto rilevante che rischia di chiudere definitivamente il discorso di una autonoma e democratica rappresentanza della Slavia. Per rendere più facilmente comprensibile la questione, l’intervento di Slavia Viva viene proposto sotto la forma delle domande-risposte.
D. Come va interpretata la polemica nata sull’applicazione dell’Italicum in Friuli Venezia Giulia, proprio sulla questione slovena?
R. Piano, piano, sta emergendo la serietà di un problema che alla maggioranza dei friulani sembra irrilevante: la presenza e la sorte, sul confine orientale del Friuli, delle comunità slavofone del Natisone, del Torre e di Resia. Comunità che hanno sempre condiviso le sorti geopolitiche della “Patrie”, essendone elemento costitutivo. Senza queste popolazioni, il Friuli sarebbe altra cosa. Con troppa leggerezza e colpevoli cedimenti, i rappresentanti politico-amministrativi delle Valli, ma anche i friulani ed in particolare gli “autonomisti”, hanno acconsentito alla progressiva erosione della specificità storica, culturale e linguistica di questi cittadini del Friuli a la loro assimilazione alla minoranza nazionale slovena di Trieste e Gorizia quale compimento del progetto nazionale sloveno che vedeva tutti gli sloveni all’interno dello stesso spazio geopolitico. Con l’allargamento ad Est dell’Unione europea ed il Tratto di Schenghen tale sogno si è realizzato. Politicamente, però, è rimasto aperto un problema: il rifiuto delle popolazioni del Natisone, del Torre e di Resia di accettare la loro assimilazione alla comunità nazionale slovena di Trieste e Gorizia, imposta dalla sciagurata Legge 38 del 2001 di tutela della minoranza stessa ed ulteriormente specificata dalla L.R. 26/2007 che, però, riconosce l’esistenza delle varianti linguistiche di Resia , del Natisone e del Torre. Inoltre, questo intreccio tra il determinato perseguimento del progetto nazionale sloveno e la colpevole distrazione della classe politica regionale, ha lasciato il campo libero alle sempre più insistenti ingerenze - politiche e finanziarie - delle autorità della Repubblica di Slovenia su questo territorio, alla faccia delle prediche sulla “sovranità”. La questione dei collegi elettorali dell’Italicum è solo la logica prosecuzione di tale disegno: compattare la componente “slovena” del Friuli Venezia Giulia in un unico contenitore elettorale per rafforzare il dominio della componente triestina sulla Slavia friulana e dintorni, Forum Julii compresa. In Friuli, di questo esproprio di sovranità nessuno - salvo rarissime eccezioni - sembra preoccuparsi causa “la generale incultura democratica della Repubblica italiana” come ha scritto Sergio Cecotti sul Messaggero del 12 luglio.
D. Questa analisi non costituisce una forzatura ?
R. Questa perplessità conferma quanto detto. Che la questione delle comunità del Natisone, del Torre e di Resia sia di assoluta rilevanza democratica, istituzionale nazionale ed internazionale viene confermato da quanto ha scritto in merito, Andrea Valcic sempre sul Messaggero del 12 c.m.: “Interessante e curioso, dopo settant’anni, scoprire la lungimiranza storica e geografica di Josip Broz Tito. Si, proprio lui, il presidente della repubblica socialista di jugoslavia che nel 1945 disegnava i confini della sua futura repubblica federativa, inglobando al suo interno, vaste porzioni del Friuli. Prendete le cartine geografiche, le mappe presentate durante convegni e seminari, sul ruolo del IX Corpus, della Garibaldi e dell’Osoppo, ma soprattutto “la madre di tutte le polemiche”, ovvero P orzus, e poi sovrapponetele al disegno dei nuovi collegi elettorali della Regione. Il numero due comprende , oltre le ex province di Gorizia e Trieste, quarantaquattro paesi friulani. Esattamente, comune più, comune meno, quello che aveva previsto Tito, ma proposto oggi dal governo di Matteo Renzi, con l’ “Italicum”. Chiaro ?
D. Ma come si è potuto arrivare ad una tale situazione e soprattutto come è possibile che il tutto avvenga senza che nessuna istituzione o forza politica regionale o nazionale reagisca con forza ?
R. E’ la Legge 38/2001 della Repubblica italiana che cha consentito alle organizzazioni della minoranza nazionale slovena di costituirsi in vero e proprio corpo separato ed autoreferenziale all’interno dello Stato italiano organicamente collegato alla vicina Repubblica di Slovenia. Dall’Italia, questa speciem Stato nello Stato, chiede solo il rispetto delle norme che ciò consentono e, cospicui finanziamenti. Ha, quindi, ragione il consigliere regionale Roberto Novelli a chiedere a quanto ammontano le risorse elargite dall’Italia e dalla Slovenia per tentare di condizionare la coscienza identitaria di un popolo demograficamente allo stremo e abbandonato - svenduto - dalle Istituzioni italiane. Finanziamenti ingenti (decine di milioni di Euro l’anno !) che rendono ridicolo - per non dire offensivo - il sostegno alla comunità friulana. Ovviamente e nonostante le ripetute sollecitazioni del Comitato consultivo della “Convenzione quadro sulla protezione delle minoranze nazionali” del Consiglio d’Europa, non si è mai proceduto ad una verifica della reale consistenza della comunità nazionale slovena presente nel Friuli Venezia Giulia ne garantito ai cittadini della Slavia friulana il diritto alla libera autodeterminazione identitaria.
D. Possibili svolte ?
R. Mentre sulla questione greca, in virtù del principio della “sovranità popolare”, è stato fortemente affermato il diritto inalienabile del popolo a decidere del proprio destino, per quanto riguarda una parte importante del Friuli ed in particolare la Slavia friulana, il trasferimento di sovranità sta avvenendo senza che il popolo possa esprimersi liberamente e senza condizionamenti. Solo ripristinando un normale funzionamento delle regole democratiche, restituendo alla volontà popolare il controllo del proprio destino e respingendo fermamente le ingerenze estere negli affari interni del nostro Stato, potrà essere riparato il gravo danno subito da questa parte integrante del Friuli che si sente italiana pur disponendo di cultura, lingua e tradizioni di origine slava. A questo punto, non è inutile riportare il testo dell’intervento svolto nella seduta del 27 giugno 1947 dell’Assemblea Costituente, da Tiziano Tessitori, leader del movimento autonomista friulano, illustrando l’emendamento che introduceva la denominazione di Friuli-Venezia Giulia per una regione a statuto speciale: “Non è certo possibile qualificare la regione come regione mistilingue. Entro i nuovi confini del nostro nuovo stato rimangono circa 9.400 slavi, che si concentrano quasi tutti nella città o nei dintorni di Gorizia. Ci sono altri slavi, circa 30.000, ma questi sono stati e sono incorporati all’Italia fin dal 1866: sono le popolazioni della Vallata del Natisone, popolazioni che sono profondamente italiane. Basta che l’Assemblea Costituente sappia come durante la guerra 1915-1918, l’unico reparto dell’esercito italiano che non abbia avuto nemmeno un disertore è stato il battaglione Val Natisone dell’VII Reggimento Alpini. Quando, dunque, parliamo di opportunità di uno Statuto particolare per la Regione non ci riferiamo a queste popolazioni, ma a quell’altra infima minoranza slava alla quale si accennava dapprima. Penso tuttavia che l’Assemblea non possa sottovalutare questo problema. È un problema di una delicatezza estrema, poiché si tratta della Regione confinaria del nostro Paese verso il confine orientale. Ritengo pertanto sia necessario e politicamente opportuno, soprattutto ora in cui tutti noi desideriamo una distensione di spiriti nei rapporti internazionali, offrire fin da questo momento la base acché i futuri amministratori di quella Regione possano creare un’organizzazione la quale con maggiore elasticità, che non sia quella derivante dallo Statuto di tutte le altre Regioni italiane, possa servire come strumento di pacificazione con il popolo vicino.
Parlo da italiano e da friulano alla massima Assemblea del mio Paese; parlo quindi con la sensibilità che il mio popolo friulano ha dei rapporti con il mondo slavo vicino. È plurisecolare da noi la tradizione di rapporti pacifici col mondo slavo. Ciò che costituì la ragione prima di irritazione dell’anima slava contro di noi è stata l’errata politica snazionalizzatrice che il fascismo ebbe ad inaugurare in quelle terre, politica esercitata attraverso strumenti burocratici, non solo insensibili, ma niente affatto conoscitori dell’anima di quelle popolazioni e privi di una corretta comprensione delle esigenze locali.
Io non voglio, e non ne avrei la competenza, approfondire questo tema. D’altra parte i colleghi che mi ascoltano sanno bene, senza che io debba chiarire di più, come il problema si pone con riflessi di politica internazionale, ai quali penso che l’Assemblea Costituente possa rispondere concedendo uno Statuto particolare a questa Regione. Quando poi si scenderà ai dettagli, a fissare cioè gli articoli di tale Statuto, siate pur certi che, se la elaborazione di esso, come certamente avverrà, sarà affidata ad uomini della mia terra, essi sapranno trovare quegli istituti e quelle formule che serviranno a risolvere, non tanto un problema locale ma, nell’interesse dell’intero Paese, un problema di carattere nazionale.
Ma, prima di finire, non posso sottacere che vi è una difficoltà, un’obiezione, una preoccupazione che ci si oppone, e la preoccupazione è questa: che una eccessiva differenziazione del Friuli nei confronti delle altre regioni d’Italia potrebbe costituire pretesto, se non argomento, alle correnti nazionalistiche slave per pretese su quelle italianissime terre, cosa alla quale il collega Pecorari accennava testé. A coloro che hanno codesta preoccupazione mi permetto di osservare che il fenomeno di un esasperato nazionalismo espansionistico non è di oggi, e non sono certo le nostre autonomie regionali che lo hanno provocato. Codeste correnti espansionistiche sono vecchie di decenni, ed esistevano anche quando esisteva la sola provincia piatta ed uniforme. Codeste mire espansionistiche non muoiono, purtroppo, opponendo la maschera o il paravento molto trasparente del negare una costituzione autonoma ad una terra le cui caratteristiche la richiedono; esse potranno essere mortificate e superate soltanto quando noi, con serietà, daremo, attraverso la nostra legislazione e soprattutto attraverso la sua applicazione, la prova della nostra decisa volontà di collaborazione fra i popoli.”
D. Quanto qui illustrato merita indubbiamente ulteriori approfondimenti. Per ora, che conclusione possiamo trarre ?
R. Più che una conclusione è necessario avanzare un’esortazione: reagiscano i democratici della Slavia e della “Patrie”. Fra poco sarà troppo tardi e diventerà inutile protestare. Si sveglino gli Amministratoridella Slavia e gli autonomisti friulani. Non si lasci, il Friuli, sfilare questa parte costitutiva del suo essere. Non si costringa la Slavia friulana a tornare ad essere “Schiavonia veneta” e chiedere aiuto a Venezia o oltre.
Istituto Slavia Viva