Sant'Egidio - svet Šinžilih





Chisesette votive diroccate o distrutte nella valle di Savogna
Sulla dorsale montana che divide la valle di Savogna dalla valle della Rieka c'erano un tempo ben quattro chiesette votive di stile tardo gotico «sloveno».
Di queste, soltanto due si sono conservate intatte, si fa per dire, dato che anch'esse hanno subi­to modifiche nel corso dei secoli:
la chiesa di S. Martino vesco­vo sul monte omonimo
e la chiesa di S. Lucia (un tempo chia­mata di S. Daniele) sopra l’abitato di Brizza.

Le altre due, di cui oggi restano soltanto i ruderi o qualche piccola traccia sono le chiesette di
S. Egidio e di
S. Bartolomeo.

Sul contrafforte che dal Matajur scende fino ad Azzida e divide la valle dell'Alberono da quella del Natisone c’erano altre tre chiesette dello stesso stile.
Di queste, si è conservata soltanto quella di Sant’Ulderico sopra l’abitato di Rodda.

Della chiesetta di San Giorgio, situata sul monte omonimo, restano soltanto alcune pietre e a mala pena se ne intuiscono i contorni (la pianta), mentre quella di San Canziano, sul colle omonimo, sta sgreto­landosi dal 1934, da quando cioè è stata definitivamente abban­donata al suo destino.

Di queste chiesette votive diroccate o completamente distrutte non si sono occupati
nè don Giuseppe Marchetti
(Le chiesette votive della Slovenia friulana, in «Sot la nape», XIV (1961) 3, pp. 24-38),
nè Tarcisio Venuti nel pregevole lavoro
Chiesette votive - Da S. Pietro al Natisone a Prepotto. Udine (1985).

Io cercherò in qualche modo di colmare questa lacuna fornendo alcune informazioni soprattutto di carattere storico e religioso che interessano in modo particolare i nostri lettori.

Sant'Egidio - svet Šinžilih sul monte Cosizza

Egidio è un santo di origi­ne greca, vissuto come eremi­ta nei sud della Francia dove morì verso il 721-725.
La sua tomba, situata a sud di Nimes, nella località di Saint - Gilles (=Sant’Egidio), divenne meta continua di pel­legrinaggi a partire soprattut­to dall’11. secolo.

In Occidente soltanto due loca­lità riuscivano, allora, ad atti­rare un numero superiore di pellegrini: Roma e San Giacomo di Compostella.

Il culto del santo si diffuse dalla Francia in Germania e da qui in Slovenia.
Sant’Egidio era considerato uno dei santi che il popolo cristiano invocava nei momenti disperati, quan­do ogni altro rimedio si rive­lava inutile ed è diventato anche il patrono dei pastori e dei mendicanti.

Il culto di questo santo nelle valli del Natisone è documentato soprattutto dalla chiesetta votivà ormai diroccata di S. Egidio posta su una piccola prominenza (m. .634) del contrafforte montano che divide la valle dell’Alberone dalla valle della Rieka.

La chiesetta apparteneva alla comunità di Cosizza ma ad essa erano affettivamente legati anche i fedeli di Savogna e delle sue frazioni (soprattutto Blasin).

Si tratta di una chiesetta in stile tardo gotico «sloveno», costruita probabilmente nel XV secolo.
Ecco come la descrive il canonico Michele Missio di Cividale nella sua relazione sulla visita pastora­le effettuata tra il 1599 e il 1602 nelle parrocchie di S. Leonardo e San Pietro su incarico del Patriarca di. Aquileia:

«(11) maggio 1602 - Continuando la visita fu visitata la chiesa di S.to Hegidio supra il monte di Cosiza, in qual è un altare consacrato con palla de rileuo et de pitura nuovamente dorata, antipendi di pitura, boni mantili et mensa decente».

La chiesetta era inoltre dotata di un calice con coppa d’ argen­to, di un messale romano, di una croce di rame dorata, di un campanello del sanctus, di due candelieri di ferro e di alcuni paramenti, tra cui viene citata espressamente una «cotta alla Schiauonescha».

Il canonico Missio ordinò «che siano combuste le figure corose et le ceneri poste in sacrario».

Probabilmente si trattava di statue lignee antiche corrose dalle tarme.
Da ciò si può dedurre che la chiesetta aveva allora, almeno l’età delle sta­tue e suppongo che queste avessero almeno un centinaio di anni
(Cfr. A. Cracina, Gli Slavi della val Natisone, Udine 1970, pagg. 237-238).

La chiesa era lontana dal paese, di non facile accesso soprattutto d’inverno e la sua manutenzione richiedeva grandi sacrifici.
Pertanto alla fine del 1700 gli abitanti chiesero alle autorità di abbandonarla e di sostituirla con una chiesa nuova da costruire a fondo valle, nel paese di Cosizza.
Dopo il decreto capitolare del 4 marzo 1793 fu gradualmente abbandonata e cessò di svol­gere la sua funzione quando venne aperta al culto la nuova chiesa di S. Egidio di Cosizza (26 giugno 1827). Nella nuova chiesa vennero traspor­tati non solo il titolo ma, pre­sumibilmente, anche gli oggetti di valore, le suppellet­tili, le tele e le statue lignee contenute nella chiesetta montana.
Sembra che di tutti questi oggetti si sia conserva­ta soltanto una croce proces­sionale del 1700.

Altre notizie riguardanti la chiesetta si ricavano dai Libri dei conti e dei livelli della Chiesa di S. Egidio di Cosizza conservati nell’archivio parrocchiale di S. Leonardo (1656 - 1804).
Essa si sosteneva con le offerte dei fedeli e con gli affitti di un fabbricato (canti­na e solaio) e di numerosi ter­reni che la chiesa aveva acquistato nel corso degli anni, soprattutto dal 1600 in poi.
Questi terreni si trovava­no nelle pertinenze di Cosizza, Dolegna, Cisgne, Crostù, Postacco e Cemizza e i loro nomi, riportati su numerosi contratti a partire dal 1639, meritano di essere conosciuti, anche per sapere dove la chiesa di S. Egidio aveva le sue proprietà:
V tre­petici (Trepetika), Naravnici, Na kantrùne, Pod kletjo, Par rieci (rieki), V policah, Na razpòtji, Pod berjačan, Za oriehan, Velika njiva, Za uorhàm, Na dušici, Za mal­nam, l’od cirkujo, Za ròbam, Pod dolinami, Pod opéko, Pod klàncam, Na pòlji (na puoji), Za dòbami, Podòunca (Podunca), Ograjinca, Na gronbišči, V stanaviščah.
Tutti questi terreni che veni­vano dati in affitto ad una ventina di famiglie, sono stati requisiti dallo Stato italiano alla fine del secolo scorso, penalizzando con ciò soprat­tutto i fedeli i quali da allora hanno dovuto provvedere ai bisogni della chiesa di tasca propria.

Dai citati libri dei conti risulta che la comunità di Cosizza partecipava ai pelle­grinaggi che la parrocchia di S. Leonardo organizzava ogni anno alla Madonna delle Grazie di Udine (almeno dal 1658), alla Madonna di Salcano o Monte Santo pres­so Gorizia (almeno dal 1658) e alla Madonna di Monte / Castelmonte (almeno dal 1669).
Lo desumo anche dai quaderni dei conti della chie­sa di S. Bartolomeo di Clastra e di S. Abramo di Altana.

Ogni chiesa dava ogni anno una offerta fissa ai suddetti santuari probabilmente per celebrazione di s.s. messe o per le esigenze degli stessi santuari.

Nella chiesetta di S. Egidio si celebravano inizialmente 3/4 messe all’anno, salite poi a 12/13 (2 o 3 in occasione delle confessioni quaresimali o pasquali, una nel giorno della dedicazione, una nel giorno del santo patrono (1. settembre), una nel giorno della vecchia dedicazione, una nel giorno dei conti e sei messe annue fisse fra cui una il giorno di Natale e un’altra la vigilia dell’Epifania).



Tra le spese straordinarie della chiesa si Sant’Egidio è menzionato l’acquisto di un ricco confalone (1686), l’ese­cuzione di una pala d’altare, commissionata a un artista di Caporetto, come risulta da una nota di spesa del 1713 («per hauer dato a conto della palla a Caporetto Lire 30») e la posa di un altare nuovo (nel 1714) in ottemperanza ad un decreto del visitatore patriar­cale.
Non escludo che la pala d’Altare sia stata commissio­nata al pittore e intagliatore Luka Sarf di Caporetto il quale ha lavorato nella parroc­chia di S. Leonardo alla fine dal 1600 e all’inizio del 1700 («zlati oltarji» di S. Andrea e S. Lucia di Cravero).

La presenza del famoso artista sloveno nelle valli del Natisone è documentata anche dai libri parrocchiali.
Luka Scharf (Sarf) si era fatto diversi amici nella parrocchia di S. Leonardo e talvolta accettava l’invito a fare da testimone di matrimonio o da padrino di battesimo.
Il 1210.1716, ad esempio, si celebravano le nozze tra Michele Del Din di Azzida e Elena Moncher di Merso infe­riore, benedette dal vicario curato di S. Leonardo Sebastiano Soberli.
Fungevano da testimoni
«Luca Scharff pictore de Caporetto et Mathia fiio q. Oswaldi Capitanei de Azzida» (dai libri dei matrimoni di S. Leonardo).
Nel 1716 invece «Dominus Lucas Scharf de Caporetto» funge da padrino di battesimo (battesimo di Matteo Vogrig di Plataz), come risulta dai libri dei bat­tezzati di S. Leonardo.

A Caporetto operavano dalla metà del 1600 due fami­glie o meglio due «botteghe» di intagliatori e pittori/decora­tori: quella dei Sarf o Scharf (vulgo Malarji = pittori) e quella dei Vrtav (Vrtalovi) le cui opere si trovano anche nelle chiese delle nostre valli
(Cfr. Chiesette Votive di I. Venuti, Udine 1985 e F. Rupnik, O rodbini Malarjevih v Kobaridu, Dom, 1992, n. 10).

Che l’autore della citata pala d’altare di S. Egidio sia stato Luka Šarf è più che pro­babile, dato che era conosciu­to soprattutto come pittore, pur occupandosi probabilmen­te anche di intaglio.

L’arte dell’intaglio, accanto alla pit­tura, doveva essere, infatti, una tradizione di famiglia, tanto è vero che a un discen­dente di Luka Sarf vennero commissionate alla fine del 1700 tre statue lignee per la chiesetta di S. Daniele di Brizza.

Il 6.5.1782 il Capitolo di Cividale aveva concesso il permesso di

«restaurare il coperto e muri della suddetta Chiesa, per essere il legname tutto fracido e cadente e dan­neggiato dalle pioggie e di alzare pure il coro, per essere troppo basso e oscuro, come pure per provederla d’un novo Altare di legno, essendo il presente reso affatto indecente»

(Dal Decreto con­servato nell’Archivio parroc­chiale di 5. Leonardo tra le carte relative alla chiesa di S. Daniele di Brizza).

Le cose sono andate per le lunghe e l’altare non era pronto neppu­re nel 1796, tanto è vero che Antonio Scharf di Caporetto doveva ancora terminare il lavoro che gli era stato com­missionato.
Lo apprendiamo da una lettera inedita conservata nell’archivio parrocchiale di S. Leonardo e scritta dall’arti­sta al parroco di S. Leonardo il 17.11.1796:
«La statua di S. Lucia - scrive Antonio Scharf in lingua italiana - fin adesso non è ancora fatta come pure le due altre, per causa dell ‘imbrogli o avuto in quest’anno dal militare pas­seggiante ogni giorno da per qui; quanto prima sarà possi­bile si adempierà il promes­so».
Caporetto li 17 Novembre 1796 Antonio Scharf

Come si vede, i tempi erano difficili e non favoriva­no certamente le arti.
L’Austria aveva mobilitato l’esercito e la valle dell’Isonzo brulicava di solda­ti austriaci che si preparavano alla guerra contro le armate di Napoleone che di li a qualche mese (21-22.3.1797) sarebbe­ro entrate in Austria attraver­so i passi del Pulfero e di Luico.
La breve missiva di Antonio Scharf è importante perché dimostra che la fami­glia Scharf (Šarf) di Caporetto non si dedicava soltanto all’arte pittorica e decorativa ma anche all’intaglio e alla scultura lignea.

Ma torniamo ad occuparci della chiesetta montana di S. Egidio.
Gli abitanti di Blasin, parti­colarmente devoti di S. Egidio, hanno duramente con­testato la decisione della comunità di Cosizza di abban­donare la chiesetta (1827).
Essi erano convinti che S. Egidio appartenesse, in un certo senso, anche a loro dato che ogni anno si recavano in pellegrinaggio alla chiesetta e facevano celebrare una santa messa votiva («pagata» a turno dalle famiglie «Sùoštarji» e «Stiefinči»).
Dopo l’abbandono della chie­setta questa santa messa voti­va veniva celebrata fino a pochi anni fa a Savogna il 1. settembre.

Secondo le testi­monianze raccolte a Blasin e a Cosizza, giunte fino a noi dall’inizio del secolo scorso, la sagra di S. Egidio richiama­va sul monte una gran massa di fedeli e la festa religiosa si trasformava ben presto in una grande festa popolare con musica, canti e balli durante la quale non potevano manca­re le famose «barìgle», i barilotti di vino trasportati sul monte da Prehod, da Cosizza e da Blasin con slitte trainate dai buoi attraverso comode mulattiere.
Durante la festa della dedi­cazione il ballo era di prammatica e si svolgeva su una improvvisata piattaforma lignea costruita sul ripiano di fronte alla chiesa.
Sembra che i sacerdoti non solo non ostacolassero questi innocenti balli popolari (sono gli stessi che ci vengono proposti oggi dai vari gruppi folkloristici) ma, come vedremo più avanti, che li favorissero per diversi motivi.
Se dobbiamo prestare fede alle tradizioni orali rac­colte tra le persone anziane di Cosizza, Blasin, Altovizza, Bnzza, Clastra e Vernassino, questi balli, organizzati in occasione della festa della dedicazione delle chiese di S. Egidio, di S. Bartolomeo e di S. Giorgio avevano, in un certo senso, anche il «placet» dell’ autorità ecclesiastica.

Gli antichi balli rituali presso le chiese

Testimonianze scritte sui balli che si svolgevano presso le chiese delle valli del Natisone risalgono già alla fine del 1500.
Nel 1594 fu emessa una sentenza contro un certo Simon Scrignar di Azzida il quale aveva commesso delle irriverenze durante le sacre funzioni celebrate nella chiesa di S. Silvestro di Merso infe­riore l’11.9.1594 (festa della dedicazione della chiesa).
Nella sentenza si dice, tra l’altro, che il detto Scrignar
«non hebbe alcun rispetto di aventarsi contra esso Missio Cancelliero con arroganti parole. Et aggiongendo male a male mentre esso Missio con alcuni altri balasse sopra la festa che in quel luoco si face­va, si ridusse nel circulo (= piattaforma di legno o «brejar», ndr.) di detta festa armato di massango detto cor­tellazzo et cò parole men che honeste cominciò a provocare esso Missio»
(Mons. Angelo Cracina, Una messa d’oro a Cosizza, Gorizia 1963, pag. 11-12).

Il canonico Michele Missio durante le visite alle chiese di Castelmonte e delle parrocchie di S. Pietro e S. Leonardo tra il 1599 e il 1602 ha riscontrato alcuni abusi collegati coi balli che venivano organizzati in occasione delle feste religiose.
Dopo aver visitato, il 9 maggio del 1602, la chiesetta di Santo Spirito a Spignon scrive nel verbale:
«Che per hauer intes­so che auanti la chiesa si fanno balli il giorno del anniversario con grandissimo scandalo delli deuoti, si ordina che in penna de excomunication et interdet­ta la chiesa, iui non si faciano balli nè altri strepiti».
Gli stessi «eccessi» vengono riscontrati anche durante la visita alla chiesetta di S. Donato sopra Lasiz e il canonico ordina
«che auanti la chiesa non si fanno balli nè altri strepiti sotto pena de excomunicatione»
(cfr. Mons. Angelo Cracina, Gli Slavi della Val Natisone, Udine 1978, Pag. 230, 233).

Attorno al «brejar» succedeva­no naturalmente anche fatti spiacevoli, come risse, feri­menti e offese provocate il più delle volte dall’alcol e dalle rivalità tra i giovani provenien­ti da diversi paesi.

Dal 13. al 18. secolo gli Sloveni si recavano in pellegri­naggio alla tomba dei Re magi di Kelmorajn (Koln am Rhein) in Germania.
Durante la per­manenza in città, che poteva protrarsi per diverse settimane, trovavano il tempo non solo per la preghiera e le devozioni ma anche per un onesto diver­timento.
Le cronache del tempo parlano di una «danza dei pellegrini» che veniva ese­guita alla sera prima del riposo.
Si trattava di un
«ballo one­sto e innocente che si svolgeva secondo una antichissima e degnissima tradizione, sull ‘esempio del re Davide»
(Niko Kuret, Praznično leto Slovencev, III, Celje 1970, pag. 218L
Il riferimento al re Davide, il quale ha danzato davanti all’Arca dell’alleanza è significativo e colloca questi balli, senz’ombra di dubbio, in un ambito religioso.

Questi balli o danze dei pel­legrini venivano eseguiti in Slovenia nei pressi dei santua­ri. Lo scrittore sloveno Josip Jurčič riferisce in un suo libro che nel 1475
«i fedeli di sette parrocchie della Dolenjska si riunirono con i loro sacerdoti su di un ampio prato nei pressi di una chiesa dedicata alla Madonna (filiale del monaste­ro .di Stična) per eseguire un antico ballo popolare che aveva l’autorizzazione delle autorità religiose».

Danze «sacre» più o meno simili sono documentate in varie parti della Slovema fino alla fine del secolo scorso (cfr. Niko Kuret, o.c., III, pag. 235).
A questi balli rituali si può accostare anche il ballo denominato “čindara” che veniva eseguito in occasione di prime sante messe nella Slovenia orientale (cfr. Niko Kuret, o.c., III, pag.210-213).

Le danze che si tenevano di fronte alle chiese delle valli del Natisone proba­bilmente avevano in origine un significato rituale che si è perso nel corso dei secoli ed hanno poi assunto un carattere puramente profano.

Secondo una antica tradizione orale tut­tora viva a Cosizza, il ballo popolare di fronte alla chieset­ta di S. Egidio veniva infatti iniziato proprio dal sacerdote e questa circostanza, che oggi a molti può sembrare incom­prensibile o perlomeno strana, non fa che avvalorare la nostra tesi.

Sul posto della attuale chie­sa parrocchiale di Savogna esi­steva, fino alla prima guerra mondiale, una chiesetta tardo gotica, costruita nel XV. -XVI. secolo e dedicata ai santi martiri Ermacora e Fortunato.
Essa era chiamata dalla gente anche «sveta Nježa gu Arbid’» in quanto, oltre ai santi titolari, aveva acquisito nel corso dei secoli anche altri santi collaterali, tra cui S. Tomaso, S. Gallo e Santa Agnese.
Lo desumo dai quaderni dei conti riguardanti la citata chiesa che sono custoditi nell’archivio parrocchiale di S. Pietro al Natisone.
Nel 1717 vengono registrate alcune spese soste­nute nel «giorno di S. Tomaso, S. Agnete et domenica doppo et per due vesperi» (Lire 3,12) e nel «giorno di S. Gallo» (Lire 3).
Dai citati quaderni veniamo a sapere che la chiesetta si manteneva con alcune entrate derivanti, tra l’altro , dall’ affit­to di una cantina, di un bosco, e di un «ronco detto Nacircunzi (Na cirkunci) nelle pertinenze di Savogna» (cfr. i quaderni dcl 1718, 1723 e 1739).

La chiesetta, situata in località Arbida, era adibita durante la prima guerra mon­diale a deposito di materiale bellico e i soldati italiani l’hanno incendiata durante la ritirata di Caporetto perché il materiale ivi depositato non cadesse nelle mani del nemico.

Ebbene, anche di fronte a quel­la antica chiesetta, si ballava in occasione della dedicazione della chiesa e anche lì, seguen­do probabilmente una consue­tudine antichissima, le danze venivano aperte dal sacerdote («te parvi je začel ples gaspuod»).
Quello del sacer­dote o dei sacerdoti che apri­vano le danze è un ritornello che accompagna tutti i racconti e le testimonianze relative alle sagre religiose di un passato relativamente lontano («te parvi so jo gaspuodi zaple­sal’»).
Secondo la testimonian­za di un certo Giovanni Sittaro di Costa di Vernassino, morto ottantenne nel 1937, presso la chiesetta di S. Giorgio ballava­no persino i sacerdoti («še gaspuodi so plesal’») e lo stes­so informatore affermava che ciò accadeva anche a Pechinie.
Analoghe testimonianze sono state raccolte ad Altovizza, a Clastra, a Brizza e a S. Leonardo (qui il ballo si tene­va in paese).

Ancora sugli antichi balli rituali

Il ballo è stato da sempre un momento importante della festa, un modo normale per esprimere la gioia, per coltiva­re le amicizie e per aggregare la gente.

«Nelle sagre - scrive l’avv. Carlo Podrecca - e spe­cialmente in quella di S. Pietro, lo Slavo cercherà i suoi fratelli di razza.
Quel giomo si riversano nella piccola capitale della Schiavonia tutte le valla­te e perfino il negoziante girovago ripartirà dalle steppe dell’Ungheria per non mancaivi un solo anno.
Dopo la Messa, come nel medio evo, il mercato festivo e poi il ballo, la passione sfrenata degli slavi».

E poi descrive il «brejar» e i suonatori
«i quali accompagnano il ritmo della Stajera e della Ziguzaina colla testa, colle braccia, colle gambe»
e si sofferma a parlare di una antichissima danza locale chiamata Stàri plés (La Slavia italiana, Cividale 1884, pagg. 75-76).

Anche nella parabola evangelica del Figliol prodigo si legge che il figlio maggiore, rientrando dai campi «udì la musica e le danze» che il Padre aveva organizzato per festeggiare il ritorno del figlio prodigo (Lc, 15).

Queste danze antiche ovvia­mente non sono neppure para­gonabili ai selvaggi e sfrenati balli moderni e non c’è nulla di strano se anche i sacerdoti li sostenevano o perlomeno li tolleravano, non solo perché erano innocui dal punto di vista morale ma anche per motivi di ordine eugenetico.
Le feste richiamavano allora molta gente da tutte le valli e il ballo era una delle poche occa­sioni per i giovani di incontrar­si, di conoscersi e di stringere amicizie che potevano poi concludersi col matrimonio.
In questo modo si riducevano di molto i matrimoni tra i giovani dello stesso paese i quali erano più o meno tutti imparentati tra di loro e così si evitavano spia­cevoli conseguenze per la prole.

Secondo il parere di alcuni studiosi, i balli e le danze di carattere «religioso» che abbiamo citato e documentato, sarebbero i resti di una danza rituale che veniva eseguita dagli slavi pagani attorno ai loro templi.
Una volta conver­titi al cristianesimo avrebbero conservato queste danze tra­sferendole accanto alle chiese e dando loro un significato religioso diverso.

Esiste un’altra ipotesi ancora più sug­gestiva.
La consuetudine di «lodare il Signore con danze» (Salmo 149) era particolar­mente viva tra il popolo di Israele e questa tradizione liturgica sarebbe stata assunta anche dalla Chiesa cristiana primitiva, in modo particolare dalla Chiesa di Alessandria.
Da qui la tradizione sarebbe passata, ad esempio, alla Chiesa copta d’Egitto dove è tuttora viva e, probabilmente, anche ad Aquileja, se ammet­tiamo che la Chiesa aquilejese ha avuto una origine alessan­drina.
A giudizio di alcuni autori i balli o le danze rituali che nel passato erano diffuse sul territorio del Patriarcato di Aquileja che comprendeva, tra l’altro, buona parte del tenito­rio etnico sloveno, si potrebbe­ro dunque spiegare in un con­testo religioso che affonda le radici in una tradizione religio­sa ebraica
(cfr. Gilberto Pressacco, Glasbeniki in gla­sba med Furlani in Slovenci v XVI stoletju / Gallus in mi (strokovno posvetovanje), Ljubljana 1991, pagg. 20-21).

Una ultima considerazione sul nome Šinžilih col quale viene ancora oggi chiamato qui da noi Sant’Egidio.
La devozione a s. Egidio è docu­mentata nelle valli del Natisone anche dal nome pro­prio Silih o Silich che compare sui libri parrocchiali di S. Pietro al Natisone all’inizio del 1600 :
1612 Andrea fiolo di Silih Pocera de Mersino,
1613 Lorencio fiolo di Silich Marujaz de Lase (Lasiz di Pulfero),
1615 fiolo di Silih Marcusiz de Lasa (Libri dei battesimi di S. Pietro),
1615 Luces fiolo di q. Silih Coren di S. Piero,
1617 Silih Banchiz di S. Siluestro,
1617 Iuri fiolo di q. Silih Spehonia ex Monte Foscha
(Libri dei matrimoni di 5. Pietro).

Sul registro della Confraternita di Castelmonte è annotato, nel 1506, come socio un certo «Silich filius q. Thomasiy de Khostanauiza» (Kostanjevica, sulla riva sini­stra del fiume Judrio).

Sotto la forma Silih o Silich si nasconde 1’ agionimo Žilih (Egidio) al quale i nostri ante­nati hanno premesso l’aggetti­vo _Šent (=santo). Dall’unione di Šènt con Žilih è sorta, per agglutinazione, la forma Sinžilih (=sant’Egidio).
Cfr. anche le forme onomastiche e toponimiche Štàndrež (= Sant’Andrea),
Škurinac (= San Quirino),
Štùoblank (= San Volfango),
Šintònih (Sant’Antonio),
Šinčùr (= San Giorgio / San Guarzo presso Cividale),
sorte tutte allo stes­so modo.

Col passare del tempo, la gente non avvertiva più che nella forma agglutinata Šinžilih era già compreso l’aggettivo Šènt (=santo) e gli ha aggiunto nuovamente l’aggettivo svet (santo).
E così Sant’Egidio (svet Šinžilih) è diventato doppiamente santo.
La stessa sorte è toccata a svet Šténdrež, a svet Šintonih, a svet Štùoblank, anch’essi «canonizzati» una seconda volta dalla pietà popolare.

La forma onomastica Žilih è penetrata nelle valli del Natisone dalla Francia attra­verso la mediazione delle lin­gue romanze (italiano e friula­no).

Dall’agionimo Aegidius sono sorti infatti i cognomi ita­liani Gillo, Gil, Gilli, Zilli, Zillio, Gilio nei quali si rispec­chiano le forme francesi Gille e Gilles (cfr. Emidio De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, Milano 1979, pag. 137-138).

Le forme onomasti­che slovene Ilj, Šentilj, Tilj, Tilej, Tilh, Tilen, Tilih invece sono state mediate dalla lingua tedesca.
Svet Tilh è conosciuto qua e là anche nelle nostre valli ma soltanto grazie alla favoletta umoristica intitolata «Svet Tìlh an petjar» di incerta provenienza (cfr. Trinkov koledar 1953, pagg. 98-101).

La forma autoctona slovena Žilih è infine sorta da Žil o Žili con l’aggiunta della particella protetica -h che ha la funzione di agevolare la pronuncia e di favorire la declinazione del nome
(cfr. anche la forma Tònih / da (An)tòn o Tòni / sorta allo stesso modo).
Božo Zuanella
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