Un'informazione senza pregiudizi sulle Valli

Giorgio Banchig presenta un articolo apparso su JESUS, mensile di cultura e di attualità cristiana edito dalla Società San Paolo.

L'articolo è particolarmente interessante perchè attuale in quanto affronta problemi molto sentiti nelle Valli.

Presentazione dell'articolo

JESUS, il mensile di cultura e di attualità cristiana di Milano edito dalla Società San Paolo, ha dedicato sul numero di agosto un ampio servizio, che pubblichiamo quasi integralmente, sulla storia ed i problemi della nostra comunità.

Dopo

Segno sette , il settimanale dell'Azione Cattolica (13.4.84),

Famiglia Cristiana (16.9.84) e a più riprese

Appunti di cultura e politica , il mensile della Lega Democratica,

un'altra rivista cattolica italiana dà così voce e spazio con obiettività e senza pregiudizi di sorta alla nostra Benecia.

Molto raramente, purtroppo, si ha l'occasione di leggere articoli e pubblicazioni che facciano un reale servizio di informazione non solo sulla minoranza slovena ma in genere su tutte quelle realtà e fenomeni che non rientrano nel "normale", in una data logica e schemi determinati.

Il più delle volte si tende ad ignorare il "diverso" o a addomesticarlo, ridurlo a folclore, quando proprio non sifa di tutto per combatterlo ed annientarlo.

Il diverso fa paura, è avvolto nel mistero, insospettisce; bisogna eliminare queste zone d'ombra; tutto deve essere chiaro, comprensibile, uniforme.

Questa è una logica molto distante dallo Spirito della Pentecoste e del Concilio, lontana da una cultura aperta e in ricerca dei fondamentali valori della persona umana e da uno Stato pluralista e democratico.

Neanche vent'anni fa, in un'Italia libera e democratica, una specializzata rivista di geografia al termine di un approfondito e, per quanto mi consta, obiettivo studio sulla comunità dei croati del Molise veniva affermato:

"Compito fatale dei secoli venturi sarà quello di far penetrare tra loro (i croati del Molise) gli elementi della nostra cultura e della nostra civiltà, e di far sparire ogni residuo di slavismo che ancora li rende tanto diversi da noi".

È il concetto espresso molto più brutalmente 90 anni prima dal Giornale di Udine a proposito degli sloveni del Friuli:

"Questi slavi bisogna elimimarni".

Ma forse è arrivato anche per noi il momento, ed i segnali sono tanti e da più parti, che la nostra "diversità" diventi ricchezza... a meno che noi stessi non rinneghiamo la nostra identità e buttiamo nel Natisone e nei suoi affluenti quei tesori di cultura che ancora ci sono rimasti.

Giorgio Banchig

La benečija

Tra Cividale del Friuli e Caporetto (ora in Slovenia) si estende la regione della Beneška Slovenija, o più semplicemente Benečija, una terra collinare e montuosa abitata da popolazioni slovene. Sono le Valli del Natisone, oggi in provincia di Udine, chiamate, ai tempi della Repubblica di Venezia, con il nome di Schiavonia Veneta, e che ai nostri giorni vengono generalmente individuate con i termini di Slavia Italiana o Slavia Friulana o, ancora, Slavia Veneta.

Gli "slovegni" (così li definiva nel secolo scorso lo studioso Izmail I. Sreznevskij) si stabilirono in queste zone già in epoca longobarda. 200 famiglie furono invitate a popolare le Valli del Natisone, nel IX secolo, dopo la spietata invasione degli ungari. Costituivano in pratica un "corpo" di guardia, ai passi orientali verso la Slovenia. In cambio della loro sorveglianza gratuita, furono esentate dalla servitù della gleba e dal pagamento dei vari balzelli medievali.

Questi loro "privilegi" continuarono sotto i Patriarchi, che ressero lo Stato Friulano dal 1077 al 1420; come pure sotto la Serenisssima Repubblica Veneta, caduta nel 1797 per l'invasione napoleonica.

IL DISPREZZO DEGLI "ITALIANI"

Mi dice monsignor Marino Qualizza, prete sloveno, oggi parroco del Duomo di Udine:

"Già sotto i Patriarchi, signori temporali oltre che spirituali, venne salvaguardata l'identità etnico-linguistica degli sloveni delle Valli del Natisone.

Venezia, venuta dopo, si comportò con grande saggezza. Confermò ed ampliò le autonomie amministrative e quelle in sede giudiziaria".

Si trattava di un vero e proprio staterello autonomo, situato entro il mosaico di popoli della Repubblica di Venezia, che godeva del privilegio diun proprio potere giudiziario, espletato, osserva Pasquale Guion, "da 12 giudici, annualmente eletti, per ciascuna Valle, presso le rispettive Banche (Mize) di Antro e di Merso. Gli appelli si facevano da Banca a Banca (banchi di marmo). Le pene consistevano in prigionia, "dada" (berlina) e multe". Era di loro competenza comminare anche la pena di morte.

Tutto questo si mantenne fino al 1797, poi ogni autonomia venne soppressa dai francesi e dal cosidetto Regno Italico.

Giunsero quindi gli austriaci, che finirono per deludere gli sloveni del Natisone, non riconfermando le precedenti franchigie ed autonomie della Benečjia.

Quando nel 1848 si ricostruì la Repubblica Veneta, ci furono sollevazioni contro l'Impero asburgico; più tardi, molti preti locali lavorarono per unire la Beneška Slovenija all'Italia risorgimentale, in quanto pensavano che questa avrebbe ridato le libertà già concesse dalla Serenissima Repubblica di S. Marco.

Ma con l'annessione del 1866 la delusione fu cocente.

Cominciò, da parte italiana, una violenta campagna di "snazionalizzazione" e di "snaturalizzazione" della minoranza slovena.

L'idioma sloveno doveva (per ordini governativi) essere sradicato in tutti i modi, e si ricorse così al disprezzo, all'intimidazione, alle pressioni politico-amministrative.

Nel 1877, nel piccolo centro di S. Pietro degli Slavi (ribattezzato in quegli anni S. Pietro al Natisone), venne istituita la scuola magistrale, con la precisa volontà di creare una classe di maestri "italianissimi".

I risorgimentali riuscirono a creare in molti abitanti della Benečija un forte complesso d'inferiorità (l'italiano sì che era una grande lingua, discendente in linea diretta dalla Roma imperiale altro che il dialetto sloveno!), che sarà ancor più accentuato dal regime fascista.

I borghesi e i "progrediti" delle Valli abbandonarono così apertamente la lingua materna, ostentando sufficienza nei confronti della popolazione che continuava a parlarla. Questa situazione d'inferiorità è presente ancor oggi in alcuni strati della gente del Natisone.

I sacerdoti delle Valli, però, per nulla intimoriti, continuarono a evangelizzare, fino al 1933, in sloveno. Predicavano, insegnavano il catechismo, cantavano, promuovevano iniziative culturali nell'idioma di sempre.

Il 1933 fu un anno chiave, terribile, per questo popolo:

Mussolini proibì la lingua slovena in chiesa e nell'insegnamento della dottrina.

I carabinieri e le camicie nere locali s'incaricarono di far eseguire questo ordine insensato. L'arcivescovo di Udine di allora, monsignor Nogara, si piegò al diktat del duce, forse anche per la sua. formazione impregnata di nazionalismo.

Quasi tutti i preti della Benečija dovettero cedere, ma non mancarono due o tre casi di pastori intrepidi, che sfidarono apertamente il fascismo con il concorso di tutta la popolazione.

Nel secondo dopoguerra si riprese a predicare e a cantare in sloveno, ma, a causa della guerra fredda, particolarmente avvertita in queste terre di confine, chi usava pubblicamente lo sloveno veniva definito "titino e comunista", nonostante gli "slovegni" del Natisone siano anticomunisti e politicamente "bianchi".

Ci furono allora episodi dolorosi, provocati non solo da nostalgici, ma anche da cattolici militanti.

I canti sloveni, durante le cerimonie religiose, negli Anni Cinquanta furono spesso interotti pubblicamente.

Gli abitanti delle Valli del Natisone sono profondamente religiosi. Lo testimonia il linguaggio quotidiano, nel quale ritornano continuamente i riferimenti a Dio, alla Madonna e allo Spirito Santo (sì, proprio allo Spirito Santo).

Ha scritto monsignor Angelo Cracina, per diversi anni parroco a S. Leonardo del Natisone: "Quando uno sta bene di salute e di quattrini dicono: "Ha tutti i doni dello Spirito Santo = Ima usè daruove Svetega Duha".

Invece di uno che non ha salute o è povero in canna dicono: "Non ha neppure un dono dello Spirito Santo = Nima darù Svetega Duha".

Per dire "buon giorno" usano questa espressione: "Dobar dan, Buoh dì (Buon giorno ti dia Iddio)".

Noi diciamo "buona fortuna", mentre loro usano dire: "Dobro srečo, Buoh dì an Marija! (Buona fortuna ti diano Iddio e la Madonna)".

Ancora, noi diciamo "salute", loro dicono invece "Buoh pomaj! (Ti aiuti Iddio)".

Il "buon appetito" è da loro espresso con: "Buoh žegni (Dio bendica)"".

La religiosità di queste popolazioni è sentimentale e insieme sapienziale; tende a farsi - conferma monsignor Qualizza - vita vissuta.

Hanno alto il senso dell'ospitalità e dell'onestà.

Sono molto sensibili al folclore religioso, alle processioni mariane, (famose quelle dell'Assunta a Vernasso e a Drenchia).

Hanno una spiccata devozione per la Madonna di Castelmonte, che è il loro Santuario; onorano particolarmente la festa della natività di Maria, cioè della Bandimica (letteralmente, "Colei che apre la vendemmia").

In primavera, seguono in lunghi cortei, per aspri sentieri, le mattutine Rogazioni.

È un popo1o che prega intensamente, che non dimentica le "orazioni" del mattino e della sera, che recita abbastanza spesso il rosario.

Il sacerdote è nella Benečija un uomo familiare e rispettato. La popolazione gli si rivolge, chiamandolo ufficialmente Duhovnik (uomo spirituale) e Mašnik (colui che celebra la Messa); familiarmente è detto Gospod (Signore); per i bambini è Gospod nunac (Signore padrino) (cfr. Cracina).

Le genti delle Valli del Natisone amano il canto popolare religioso. Lo esprimono, specialmente al Santuario della Madonna di Castelmonte, con un andamento di voci alte e delicate, dove vibra l'anima di un popolo mesto e forte, provato dalla storia.

Ma la più bella tradizione religiosa, certamente la più originale, è quella della Novena di Natale, che nei paesi del Natisone ha una "struttura" fortemente popolare: il sacerdote non vi partecipa direttamente, nè la novena si svolge all'interno della chiesa parrochiale. Si riunisce, invece, in ogni borgata un gruppo di nove famiglie, che portano ogni sera (per nove sere) in processione una Sacra Famiglia da una casa all'altra.(...)

UNA TERRA BELLISSIMA E ABBANDONATA

Le Valli del Natisone, dal punto di vista amministrativo, sono formate da 8 Comuni (S. Pietro, S. Leonardo, Pulfero, Stregna, Grimacco, Savogna, Drenchia, Prepotto); sotto l'aspetto sociale ed economico, sono caratterizzate dalla quasi totale assenza di iniziative industriali.

La terra non è fertile ed è molto parcellizzata.

L'antica attività agricola è in parte abbandonata: in una zona bellissima e mesta, limpida e sognante, intristiscono i pascoli, mentre mancano o scarseggiano le infrastrutture turistiche.

L'emigrazione ha quindi creato paurosi vuoti umani. Oggi i paesi del Natisone non contano neanche 10.000 abitanti, mentre prima dell'ultima guerra erano circa 22.000.

La Chiesa (con i suoi preti sloveni) è stata ed è la depositaria della cultura e dell'identità di questo piccolo popolo. Una Chiesa amata e rispettata, per la sua capacità di condivisione, per essersi fatta "carne quotidiana", senza però smarrire i propri ideali religiosi e universalistici. Ha avuto e continua ad avere un'enorme influenza su queste popolazioni, tormentate dalla povertà e dalle controversie dei confini politici.

Dal 1943 al 1945, i preti locali svolsero un ruolo civile importantissimo (mancava in pratica ogni autorità) in paesi in cui si scontravano violentemente partigiani locali, partigiani garibaldini, partigiani della Osoppo e partigiani del IX Corpus sloveno (titini) con repubblichini, tedeschi, cosacchi, guardie bianche slovene.

Questo ruolo di testimonianza per l'identità slovena e per la pacificazione degli animi è naturalmente attivo anche oggi.

Purtroppo, il clero di parlata slovena si sta assottigliando per mancanza di vocazioni; attualmente nel seminario di Udine non c'è nemmeno un giovane aspirante al sacerdozio delle Valli del Natisone.

Comunque il laicato cattolico della Benečija sta operando attivamente, come constata monsignor Qualizza:

"C'è una minoranza attiva che ha la coscienza dell'identità slovena e la vuole esprimere con strumenti appropriati nell'ambito dell'ispirazione cristiana, che è l'autentica ispirazione delle genti del Natisone, distanti tanto dal laicismo quanto dal marxismo. Questa ispirazione cristiana si collega alla storia del passato, non con spirito nostalgico, ma con il desiderio di servire la comunità slovena della Benečija. Si vuole così assicurare, anche culturalmente, una continuità storica reale".

Perciò sono sorti dei gruppi culturali cristiani, tra i quali spicca per autorevolezza e rigore intellettuale "Studenci" (Sorgenti), che ha sede a Pulfero.

Attivi sono anche il periodico Dom, espressione dei cattolici sloveni della Benečija, e una piccola editrice (la Società Cooperativa editrice Dom), che ha pubblicato già diversi volumi (alcuni sono stampati metà in sloveno e metà in italiano), tesi esplicitamente al superamento dello sciovinismo sia italiano che sloveno, ma con l'intento dì ridare vita moderna alle antiche radici e di valorizzare un'identità che si è rivelata insopprimibile.

Ma cosa vogliono oggi i cristiani sloveni del Natisone?

Lo si può leggere in Dom (marzo 1984).

Allo Stato chiedono

"una legge che garantisca a tutti gli sloveni in Italia gli stessi diritti e tuteli tutti gli aspetti della loro vita, come individui e come comunità".

Alla Chiesa domandano, invece, che

"proclami con forza il diritto alla popolazione slovena a rivivere e a rivitalizzare la sua fede secondo le consuetudini più che millenarie",

seguendo il suggerimento dell'arcivescovo monsignor Alfredo Battisti, rivolto a tutti i cristiani sloveni dell'arcidiocesi di Udine, di "rivivere intensamente la fede in Cristo e di scoprire attraverso di essa il valore, la ricchezza, il dono che essi hanno di essere sloveni".

Ferruccio Mazzariol

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