Porzus è la Lourdes della Slavia


Nel 1885 apparve a Teresa Dush, una bambina analfabeta.
Il Vescovo istituisce una commissione, che studierà la verità delle apparizioni.
Rinvenuta una lettera sulla costruzione della cappella.
Nel cuore della Benecia, in un luogo incantevole, con vista su tutta la pianura friulana, l’otto settembre 1855 la Beata Vergine Maria apparve, poco prima di Lourdes, a una piccola fanciulla, Teresi­na Dush, e conversò con lei nello slove­no del posto, «po naše», così come in se­guito fece con Bernardetta nel dialetto francese pirenaico. Proprio come una mamma con una sua bambina. E fu una sorpresa per tutto Porzus/Porčinj.

Dopo quasi due secoli, quando in tut­to il Friuli nessuno più si ricordava di quelle apparizioni
— ma se ne ricordava­no le famiglie del posto, tramandandone il ricordo di generazione in generazione e radunandosi giornalmente nella «doli­na» a dire il Rosario a cielo aperto finché quel bravo Grimaz insieme con i paesa­ni e a proprie spese non costruì sulle lo­ro teste quella cappelletta —,
ecco che un gruppo di sacerdoti, con in testa mons.Vito Ferini, ha ripreso i pellegrinaggi.

Ora, come a sostegno del loro impe­gno, è spuntata dall’oblio una lettera, proprio quella che Grimaz allora aveva rivolto ai sacerdoti chiedendo perdono (!) per aver costruito senza il loro per­messo quella cappella.
Si tratta di un manoscritto di 64 pagine, nel quale, su testimonianza anche del fratello di Teresina, allora diciasettenne, racconta par­ticolari che collimano perfettamente con quanto veniva tramandato a voce.
Questo mi è venuto in mente dome­nica 1° maggio quando, arrivando nella «dolina», mi sono trovato in mezzo a una moltitudine di fedeli accorsi, con suore brasiliane e della Provvidenza, al­la celebrazione del nuovo anno dei pel­legrinaggi e alla processione con statua della «Madone de Sesule» e la piccola Teresa ai suoi piedi.
Partendo dalla cap­pella delle apparizioni, il corteo si è di­retto alla chiesa, laddove la Madonna aveva impresso sulla mano della veg­gente quella crocetta tutta oro, che l’accompagnò fino alla morte, segno visibi­le dell’autenticità delle apparizioni.

Con grande gioia abbiamo sentito dalla voce di don Vittorino Ghenda, che si spende tanto per il santuario, la bella notizia della commissione diocesana, istituita dall’arcivescovo Andrea Brano Mazzocato per lo studio della verità delle apparizioni, sicuri che essa darà nuovo impulso a quello che il Cielo ha voluto iniziare, ripetendo anche a noi la raccomandazione fatta a Teresina dalla Vergine: «Dì alla mamma e a tutti di santificare le domeniche e le feste, ma soprattutto di non bestemmiare, cosa che offende gravemente Dio, e di osser­vare anche i digiuni prescritti dalla Chiesa».

E viene proprio da pensare. Chissà che cosa la Madonna non farebbe anche qui, come già a Lourdes, quando finalmente ci svegliassimo anche noi in tutti i paesi circostanti, vicini e lontani, ad imitazione dei buoni abitanti di Por­zus/Porčinj, apprezzando il grande do­no che la Vergine ancora ci offre a sal­vezza presente ed eterna.

Ciril Čarga DOM n. 9 - 2011

Un manoscritto conferma le apparizioni di Porzus

Il documento è nato per giustificare davanti alle autorità ecclesiastiche la costruzione “abusiva” della cappella nella dolina.

Esiste un prezioso documento sulle apparizioni della Madonna a Por­zus.
Si tratta di un manoscritto re­datto da Giovanni Grimaz nel 1886, ad appena 30 anni dai clamorosi av­venimenti per giustificare la costruzione, senza permesso dei sacerdoti, della cappel­la sul luogo in cui la Vergine apparve a Te­resa Dush 18 settembre 1855.

Il quadernetto di 64 pagine, ingiallito per la lunga età, scritto a Porzus nel 1886, fu trovato già dopo il terremoto del 1976 dal­la signora Pia Grimaz e fu portato a Rima­sco, tra altri quaderni dei suoi figli, per con­servarlo, senza rendersi conto della prezio­sità del documento.
Nel documento, che ri­ferisce delle apparizioni della Madonna e della eco che esse hanno prodotto nel pae­se, si espone in bella maniera soprattutto il motivo per il quale Grimaz ha costruito, in­sieme con gli uomini del paese, la cappella nel luogo dove si sono posati i piedi della Vergine e, alla fine, anche alcuni ricordi della veggente.

Giovanni Grimaz nacque nel 1850 e morì nel 1928.
Ancora bambino fu conqui­stato da quanto aveva sentito dai suoi che, con profonda convinzione, raccontavano le apparizioni della Madonna.
Quella infat­ti, tra tutte le belle storie, era la più bella, perché sembrava una favola, ma non lo era.
Raccontava di eventi avvenuti là dove viveva: nella «dolina» dove giocava e nella chiesa del paese, che lo attirava con le sue cerimonie, le candele, l’incenso.

A Porzus il l855 era stato un anno di lutti. Morirono di colera 5 persone, tra essi il parroco; nella vicina Podtrata persero la vita in 17.
Proprio quell’anno la Beata Ver­gine apparve 3 volte, la prima nella «doli­na» ai piedi del paese, le due successive nella chiesa.
E parecchie delle persone che Grimaz conosceva e ascoltava erano pre­senti alle apparizioni in chiesa. Erano state un’esperienza straordinaria.
È scritto nella lettera:
«Ci sono in vita momenti lieti e tristi, che restano così impressi nella mente, da non poterli più dimenticare».

La prima apparizione si ebbe 18 settem­bre, un sabato che quell’anno era festa di precetto della Natività di Maria «concepi­ta senza peccato».
Un ricordo evidente della proclamazione del dogma dell’Im­macolata avvenuta l’anno precedente. Pro­prio quel giorno la piccola Teresa si recò nella «dolina con la sua gerla e il falcetto in mano, mandata dalla madre a raccogliere un po di erba per il bestiame, alla quale es­sa aveva opposto che era festa e non si po­teva lavorare.
E proprio lì le apparve la Beata Vergine, le prese il falcetto, le tagliò un fascio di erba e glielo diede dicendo:
“Prendi e porta a casa, ma dì alla mamma e a tutti di non lavorare la domenica e le fe­ste di precetto, ma soprattutto di non be­stemmiare”
Al che Teresa innocentemente obiettò:
“Ma è troppo poco. Non baste­rà”.
E Maria a lei: “Basterà per tre giorni”.
E la lasciò dicendo: “Verrò ancora”».

Grimaz descrive l’incontro in modo par­ticolareggiato, perché tra i suoi informato­ri c’era il fratello maggiore di Teresina, Giovanni Battista, classe 1837, al quale Grimaz chiese di apporre la firma al ma­noscritto in modo da dargli ancora mag­giore valore.
Veniamo anche a sapere che Teresa non era figlia unica, ma aveva altri fratelli e sorelle e che essa aveva allora 10 anni.

Alla prima seguirono altre due appari­zioni in chiesa. Grimaz si sofferma soprat­tutto su quella del 30 settembre alla pre­senza non solo di bambine, come dicevano i precedenti testimoni, ma di tutto il po­polo radunato, secondo l’uso, per il rosa­rio.
Teresina ad un tratto esclamò:
«Ecco­la là presso l’altare e mi chiama».
Al che la gente replicò:
«Ma se ti chiama, vacci. Però dille di darti un segno, in modo di cre­derti più facilmente!».
Allora la Madonna prese la mano della bambina e le stampò sul dorso una croce, che risplendeva come oro e che la mamma poi cercò invano di cancellare.
Molti la videro in seguito.
Tra essi san Luigi Scrosoppi e, sul letto di mor­te, ben 200 compagne d'orfanotrofio di Teresina.

Tuttavia, il motivo principale che portò Grimaz a scrivere la lettera, fu quello di scusarsi con i sacerdoti e chiedere loro per­dono per aver costruito, insieme con altri uomini, una cappella sul luogo della prima apparizione senza il loro permesso.
Lo fe­ce, dice,
«in gratitudine alla Madonna, ma anche come luogo di rifugio durante il tem­po brutto per tutta quella gente, che aveva cominciato a radunarsi ogni giorno per il Rosario».

Perché la cappella, che stava cosi a cuo­re alla gente, non aveva ricevuto il benestare da parte del clero?
Non lo sappiamo.
Quando una volta Grimaz rivolse questa domanda al parroco De Laurentis, al quale la bimba era stata affidata, questi rispose:
«Perché non sapeva il friulano e del resto essa stessa non parlava delle apparizioni».

Infatti a Porzus tutti si esprimevano in slo­veno.
Probabilmente i sacerdoti non hanno dato o non hanno voluto dare troppa im­portanza all’evento. E proprio dal mano­scritto echeggia tutta la pena della gente per questa indifferenza. «Se abbiamo mancato — scrive Grimaz — perdonateci. Però veni­teci in aiuto!».

Benché ci fossero tra i sacerdoti certuni che desideravano un intervento della Chie­sa in merito, questo non ci fu. Si voleva il silenzio.
E silenzio fu.

Però a Porzus il ricordo restò e, nono­stante la delusione, o forse proprio per que­sto, la gente si attaccò ancora di più alla cappelletta, che diventò attraverso un seco­lo e mezzo, tra la dimenticanza generale degli altri, il centro di attrazione della co­munità.

Così è restato fino a pochi anni fa quan­do, proprio per l’impegno dei sacerdoti lo­cali, finalmente questa nostra Lourdes sta risorgendo dall’oblio e sta divenendo nuo­vo centro di pellegrinaggio.
Questo è stato evidente l’anno passato, quando il vescovo ha benedetto il centro dei pellegrini e la ca­sa delle religiose venute dal lontano Brasi­le per il servizio del santuario e dei pellegrini.

Intanto, è stata innalzata anche una gran­de croce, la cui luce si vede da lontano a ricordo della crocetta luminosa che la Ma­donna lasciò alla piccola Teresa sul dorso della mano come aiuto nelle difficoltà.

Ciril Čarga
DOM n. 11 - 2011

La Madonna parlò in sloveno

Si sta rapidamente divulgando in Friuli e a Trieste la storia delle apparizioni della Madon­na a Porzùs (Porčinj in slove­no), grazie soprattutto a don Carlo Gamberoni, cappellano della parrocchia di Servola a Trieste.

Delle apparizioni (avvenute nel 1855 e 1864) hanno parlato diversi giornali tra cui il Dom e ultimamente è apparso un articolo anche sul numero di settembre del bollet­tino del santuario di Castel­monte ma stranamente non vie­ne neppure citato don Gambe­roni al quale va il merito di avere riscoperto questa meravigliosa storia. Qui però ci preme sottolineare un paio di cose che si riferiscono alla titolazione della Madonna e alla lingua materna della veggente.

Da un po di tempo a questa parte la Madonna di Porzùs viene chiamata «La Madone de sesule» (La Madonna del fal­cetto). Il nome è derivato dalla raffigurazione, riprodotta nella cappella, della veggente che tiene in una mano un falcetto (sarp) e un piccolo fascio d’erba nell'altra. Si tratta di una titolazione friulana arbitra­ria almeno dal punto di vista linguistico. Bisogna sapere, infatti, che Porzùs (Porčinj) è un paese situato sul territorio etnico sloveno dove la popola­zione, una trentina di persone, parla ancora il dialetto sloveno locale. La titolazione friulana citata non è rispettosa né della storia né della cultura locale. Sembra però che ultimamente si sia deciso di sostituire la tito­lazione friulana con il titolo ufficiale «La Madonna di Porzùs».

La veggente Teresa Dush (Duš) era una bambina di dieci anni che allora conosceva sol­tanto il dialetto sloveno impa­rato in famiglia e non conosce­va altre lingue. La bambina era infatti analfabeta, nel senso che non conosceva la lingua italia­na e su questo sembra non ci siano dubbi. Infatti, si racconta che, fattasi suora della Provvi­denza a Udine, Teresa Dush riuscisse a leggere solamente il breviario in latino. E questo per una grazia particolare concessale solo quando le suore si radunavano per recitare le ore canoniche. Se ciò è vero la Vergine avrebbe potuto farsi intendere dalla bambina solo nel dialetto sloveno di Porzùs.

Riassumiamo brevemente l’episodio della apparizione utilizzando, in parte, l’articolo citato del bollettino di Castel­monte. «L’8 settembre 1855, festa della Natività di Maria, era di domenica. Una bambina di 10 anni, Teresa Dush, fu mandata dalla mamma a falcia­re l’erba per le caprette. Pur ricordando il precetto festivo di non lavorare, fu costretta ugualmente a recarsi nel prato della dolina. Invocando l’aiuto di Maria, la bambina eseguì l’ordine: voleva essere obbe­diente alla mamma. Ma, men­tre stava iniziando il lavoro, fu circondata da una luce intensa:
le apparve la Vergine, che le tolse di mano il falcetto dicendo: “Non si deve lavorare di festa! Prendi solo una manciata di erba e basterà per tutto il giorno. Dirai a tutti di santificare il giorno del Signore e di non bestemmiare, perché così facendo offendono il mio Figlio e addolorano il mio cuo­re materno. Inoltre desidero che si osservino i digiuni e le vigilie”.
Questo è il messaggio affidato da Maria alla piccola Teresa che è quanto mai attuale anche ai nostri giorni».

I1 piccolo paese di Porzus / Porčinj era noto finora per due motivi: per l’eccidio dei parti­giani osovani, che fu consuma­to presso le famose malghe il 7 febbraio 1945, e per la chiesa parrocchiale che è stata costrui­ta attorno al 1477 in stile goti­co dall’artista sloveno Andrej di Škofja Loka (la chiesa è sta­ta poi ristrutturata e della costruzione originaria si è con­servato solo l’abside). D’ora in poi il paese sarà ricordato soprattutto per le apparizioni della Madonna cui è stata dedicata una cappella costruita nel 1886 sul luogo della prima apparizione avve­nuta nel 1855.
B.Z. - DOM n. 18, 1993

Sveta Marija di Porzus

In una lettera di don Carlo Gamberoni interessanti notizie sulle apparizioni della Madonna.
La Madonna certamente si è rivolta alla piccola Teresa parlando il suo unico linguaggio.


Come abbiamo scritto nel numero del 15 ottobre, il merito della riscoperta della meravigliosa storia delle apparizioni della Madonna a Porzus e la diffusione del suo messaggio va attribuito in gran parte a don Carlo Gamberoni, un sacerdote lombardo trapiantato a Trieste che svolge il suo apostolato nel­la parrocchia di Servola.
Don Carlo è al momento attuale la persona più accreditata e com­petente a fornire notizie e spie­gazioni e ad intervenire con distacco ed equilibrio anche sul­la polemica seguita alla pubbli­cazione dell’articolo del Dom.

In una lettera indirizzata a mons. Marino Qualizza ancora prima di leggere l’articolo di Dom, don Gamberoni fornisce interessanti notizie sulla titola­zione «Madone de sesule» e la lingua che la Vergine avrebbe usato nel corso delle apparizioni a Teresa Dush. Riportiamo alcuni brani della lettera del 25 ottobre scorso.

«...Mi recai più volte a Porzùs; la gente mi accolse sempre in modo affettuoso e rispettoso, ma nessuno mi fece presente che “Madone de sesu­le” non andava bene. Anzi dopo il primo pellegrinaggio proprio alcuni uomini del luogo fecero mettere sulla facciata della cap­pella l’indicazione: Madonna «de sesule».

Dopo la pubblicazione del secondo libro ricevetti una telefonata da una maestra di Attimis che volle esprimere il suo punto di vista sulla dicitura. Trovandomi una volta a Subit due persone mi fecero presente la medesima prospettiva. Allora insieme a don Vito (don Ferrini, parroco di Attimis, ndr) si pen­sò di lasciar da parte quel “de sesule” (che a me di origine lombarda piace) e di dire sem­plicemente “Madonna di Porzùs”.

Anche sulla ristampa delle immaginette non viene più posto «de sesule» ma solamente Porzùs.
Quindi da un anno a questa parte, non si segue tale dicitura.
Ora l’articolo del gior­nale (Il Piccolo del 21 ottobre, ndr) ripresenta una disputa sor­passata. Faccio presente che non parteggio per nessuna parte, solo per quella storica. Attual­mente infatti a Porzùs proprio quindici giorni fa ho fatto cam­biare la tabella della chiesetta. Al posto della indicazione “de sesule” ho voluto che venisse messo “Iancona” che è l’antico nome che i vecchi di Porzùs adoperavano per indicare il pic­colo edificio sacro.
Per la Madonna non avevano un nome particolare; dicevano semplice­mente “Sveta Marija” della Iancona.....

Da parte mia ho fatto tutto quello che mi era possibile affinché il fatto venisse alla luce e fosse fatto conoscere sia da una parte sia dall’altra.

La Madonna certamente si è rivolta alla piccola parlando il suo unico linguaggio, e forse iniziò il dialogo con “Liepo ma čečica” proseguendo poi “se ne diela tu nedejo. Uzomi samo dnò pest trauè an tiè biti ràt za uòs dan. Reci usien, d' se ma pieti an počiuati tu nedejo an d’ se nima bleštemati. Uprašan usè judje ni dielajo vilje an ni oser­vajo digiune” (da don G. Dus).

Sarebbe bello ricostruire tut­ta la vicenda nella sua probabile espressione per cogliere molte sfumature che nella lingua ita­liana non sono possibili.

La Madonna è al di sopra delle parti e parla tutte le lingue dei suoi figli.
Inoltre abbiamo la testimonianza della piccola Teresa che dopo la sua lingua materna, entrando nella Casa del beato Scrosoppi parlò il friulano e poi l’italiano per leg­gere infine anche l’Ufficio della B.V. Maria in latino. Per la gio­vane non c’erano problemi di lingua pur essendo analfabeta.
Mi auguro che il mondo slove­no conosca sempre di più e meglio “un evento straordina­rio” (con vari documenti storici) che gli è proprio».

Fin qui la lettera di don Car­lo Gamberoni che, riteniamo, non abbia bisogno di commenti ma possa costituire materia per un approfondimento dei proble­mi trattati e per un dibattito più sereno e scevro da pregiudizi e contrapposizioni che hanno fat­to il loro tempo.

La storia delle apparizioni di Porzùs merita di essere studiata e il suo messaggio divulgato. Sul prossimo numero di Dom pubblicheremo altri contributi sulla vicenda.
M.DJ. - DOM n. 22, 1993

Reazioni assurde

In seguito all'articolo “La Madonna parlò in sloveno”

L’articolo “La Madonna parlò in slo­veno” (Dom del 15 ottobre 1993) sulle apparizioni di Porzùs ha scatenato una serie di reazioni e commenti apparsi su quotidiani locali che francamente ci han­no stupito per la scorrettezza con cui si è voluto coinvolgere il direttore responsabi­le del nostro giornale, mons. Marino Qua­lizza. e per lo strumentale travisamento dell’intento e del contenuto dello scritto. L’articolo non è stato scritto da mons. Qualizza e questo appariva chiaro perché siglato da un altro collaboratore del nostro giornale.
Chi ha attribuito l’artico­lo al direttore responsabile o non ha letto l’articolo ed ha attinto motivi per i suoi velenosi attacchi da sintesi apparse su quotidiani locali, oppure, avendolo letto, ha voluto ugualmente coinvolgere mons. Qualizza e così alimentare una campagna diffamatoria nei suoi confronti che va avanti da molti mesi. In entrambi i casi si tratta di una grave scorrettezza che si commento e si condanna da sola.

La questione della lingua usata dalla Madonna durante le apparizioni a Teresa Dush era uno dei temi trattati dall’artico­lista e la conclusione che «la Vergine avrebbe potuto farsi intendere dalla bam­bina solo nel dialetto sloveno di Porzùs» era basata sulla considerazione che la veggente aveva appena dieci anni, che in casa usava la parlata locale slovena e che era del tutto analfabeta. Una conclusione che ha il carisma del buon senso ma che è anche avvalorata da analoghi eventi soprannaturali durante i quali la Madon­na si è rivolta ai veggenti nella lingua da loro parlata.
Ma se si scrive che la Vergine a Medju­gorje parla in croato e a Lourdes si è rivolta a Bernardette Soubirous nel dialet­to locale e che il suo messaggio «Io sono l’immacolata concezione» appare ancora oggi scritto nella grotta delle apparizioni in quella parlata, nessuno ha niente da dire; se a Guadalupe l’indio e a Fatima i pastorelli l’hanno sentita parlare nelle loro lingue materne, non c’è nulla da obiettare.
Se però si osa affermare che la Madon­na a Porzùs ha parlato nel dialetto slove­no locale, apriti cielo, è uno scandalo: lo sloveno (lingua o dialetto che sia) — que­sta è l’intima convinzione di qualcuno — è intrinsecamente disdicevole e quindi non degno di essere usato dalla Madonna.
Si arriva ad accusare il nostro giornale di volere un riconoscimento «celeste» alle istanze etniche della minoranza slovena, si denuncia «la balcanizzazione che sta assumendo lo sciovinismo dei filosloveni» che vogliono erigere nuovi muri appena sotto Porzùs; e, quando non si hanno più argomenti, si invoca il «linguaggio spirituale» che avrebbe usato la Madonna pur di non pensare neanche che si sia espressa nel dialetto della piccola Teresa.

Che dire di fronte a queste assurde, sconsiderate e sproporzionate reazioni?

E’ veramente difficile inquadrarle una logica di razionalità e di civile dibattito. Ci danno solo la misura della scarsa statura culturale e della precaria informazione religiosa di chi si è prestato ad avviare e ad alimentare una polemica del tutto fuori luogo.

Per capire il significato di queste assurde reazioni alla fine ci è venuto in aiuto un anonimo «furlan» che ci ha inviato due «poesie» (ci scuseranno i poeti per questo involontario insulto) nelle quali ha sfoderato un arrugginito armamentario, fatto di «falcett» che fa rima co, «Ochett», di «martiell» con «pasciell», di «Lubiane» con «Latisane» e di anacronistici campanilismi antitriestini e ammuffiti anticlericalismi.

Leggendo quei versi ci è venuto alle memoria quel vecchio soldato giapponesi che a quarant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale era ancora nascosto nella giungla armato di tutto punto: non aveva ricevuto l’ordine di consegnare le armi e nessuno aveva detto al poveretto che la guerra era finita, che americani e giapponesi erano diventati amici e che nel frattempo l’uomo era arrivato sulla luna.
M.DJ. -DOM ,n. 23, 1993
P.S.
L’anonimo «furlan» ha spedito la sua missiva da Chiusaforte.
Non è che il Nostro se ne stia ancora lassù sulla vec­chia Clusa armato di balestre e alabarde a difendere la Patrie dai barbari?

Le apparizioni della Madonna a Teresa Dush di Porzùs

Una storia meravigliosa.
La straordinaria esperienza della piccola Teresa e il messaggio affidatole dalla Madonna


La meravigliosa storia delle apparizioni della Madonna a Teresa Dush, chiamata Balušica dal nome della famiglia, iniziò 18 settembre 1855, festa della natività della Vergine. «La pic­cola Teresa, — narra don Carlo Gamberoni nella pubblicazione Ecco la croce (Reana 1993) —dopo aver trascorso parte della mattinata, prima in chiesa e poi sulla piazza, nei semplici ed ingenui giochi, aveva fatto ritor­no a casa per un pasto frugale al termine del quale manifestò alla madre il desiderio di ritornare dalle amiche.
Fu allora che si sentì rivolgere l’ordine di scende­re nella dolina e tagliare un po d’erba per le mucche». Teresa, che allora aveva dieci anni — era nata il 10 settembre 1845 — si oppose all’ordine della mamma obiettando che quello era un giorno di festa della Madonna nel quale non si doveva lavorare. Ma alla fine la piccola «chinò il capo e con le lacrime agli occhi» dopo aver preso il falcetto e la piccola gerla uscì di casa e si avviò verso la dolina.

«Giunta sul prato, mentre sta­va per mettersi al lavoro, ancora tutta piangente, vide una luce straordinaria diffondersi intorno a sé. Alzò gli occhi ed eccole dinnanzi una bellissima Signora che la guardava e le sorride­va...
La Celeste Signora, sorridendole, dice:
“Figlioletta mia, tu hai obbedito alla mamma ed hai pianto perché non volevi disob­bedire a Dio. Ora non piangere più. Consolati e dammi, per favore, il falcetto”.
La piccola obbedisce e consegna l’umile strumento di lavoro.
La Santa Vergine, davanti allo sguardo colmo di stupore della fanciulla, si china, taglia un po’ d’erba e sollevandosi dolcemente gliela consegna dicendo:
“Portala nella stalla, basterà per tutto il giorno”.
“O Mamma del Cielo, è poca questa erba — osserva Teresina — non basterà”.
“Abbi fiducia, bimba mia, sarà sufficiente. Dì a tutti di non lavorare nei giorni di festa, ma di santificare il giorno del Signore, altrimenti l’epidemia di colera non finirà, e di non bestemmiare, perché in questo modo offendo­no mio Figlio e addolorano il mio Cuore materno. Riferisci inoltre di osservare i digiuni e le vigilie e di pregare con fede e amore il Rosario”».
(o.c., pag. 19-2 1)


Secondo la tradizione della gente dal settembre ‘55 al giugno ‘56 Teresa ebbe altre due appari­zioni nella chiesa di Porzùs dedi­cata a san Giovanni Battista durante il canto del Vespero e la recita del Rosario.
«Quando Teresina fu accanto all’altare, la Madre di Dio le fece prima con­templare il Crocefisso, poi, invi­tandola a porgere in avanti la mano, le impresse sul dorso una piccola croce dicendole:
“Questo è il segno del mio Figlio, segno del suo eterno amore per tutti, mostralo alla mamma e a chi è debole nella fede e ti crederan­no».
(o.c. pag. 23-24)


Teresa portò per tutta la vita la piccola croce, alta circa 3 cm, sul dorso della mano sinistra.
All’inizio essa era luccicante come l’oro poi, con il passare del tempo, divenne rossa e, verso la fine della sua vita, bianca.
Nel corso di una successiva appari­zione la Madonna rivelò un segreto, che Teresa non volle mai rivelare.

In seguito a questa esperienza e alla morte dei genitori la veg­gente fu portata a Udine nella «Casa delle derelitte» di don Lui­gi Scrosoppi.
Dal 1860 al 1864 presta servizio presso qualche famiglia. E’ sempre però seguita da madre Serafina Strazzolini delle Suore educatrici di padre Scrosoppi.

Nel 1864 presenta domanda di diventare suora ed ha l’ultima apparizione nel corso della quale la Madonna le concede il dono di saper leggere il breviario in lati­no pur essendo analfabeta.
Nel 1866 fa la vestizione religiosa e padre Scrosoppi le dà il nome di Maria Osanna. Negli anni seguenti si trova a Cormons pres­so il santuario di Maria SS. Rosa Mistica e ad Orzano con l’incari­co di sorvegliare le fanciulle durante i giochi.
Gli ultimi mesi della sua vita, a causa della malattia, suor Maria Osanna li passò a Udine. Morì santamente il 17 agosto 1870.
M.D.J. - DOM

Sveta Marija parlò alla piccola Teresa Dush

Le celebrazioni per il 150° anniversario delle apparizioni della Madonna nella Dolina

La meravigliosa storia delle apparizioni della Madonna a Teresa Dush, chiamata Balušica dal nome della fami­glia, iniziò 1’8 settembre 1855, quando la bambina stava, per compiere 10 anni(era nata il 10 settembre 1845).

Quel giorno, narra don Carlo Gamberoni nella pubblicazione «Ecco la croce» (Reana 1993), «la piccola Teresa, dopo aver trascorso parte della mattinata, parte in chiesa e poi sulla piaz­za, nei semplici e ingenui gio­chi, aveva fatto ritorno­a casa per un pasto frugale, al termine del quale manifestò alla madre il desiderio di tornare dalle ami­che.

Fu allora che si sentì rivolge­re l'ordine di scendere nella Dolina (in sloveno: valle, avvallamento, ndr) e tagliare un po' d'erba per le mucche». Teresa si oppose all'ordine della mamma, obiettando che quello era un giorno di festa della Madonna, nel quale non di doveva lavorare. Ma alla fine la piccola «chinò il capo e con le lacrime agli occhi», preso il falcetto (nel dialetto locale: srp), si avviò verso la dolina.
«Giunta sul prato - scrive don Gamberoni - mentre stava per mettersi al lavoro, ancora tutta piangente, vide una luce straordinaria diffondersi intor­no a sé.

La bellissima Signora

Alzò gli occhi ed eccole dinnanzi una bellissima Signora che la guardava e le sorrideva...». La Madonna, sorriden­dole, le disse:
”Figlioletta mia, tu hai obbedito alla mamma ed hai pianto perché non volevi disobbedire a Dio. Ora non piangere più. Consolati e dammi, per favore, il falcetto».
La piccola obbedisce e conse­gna l'umile strumento di lavo­ro. La Vergine si china, taglia un po' d'erba e la consegna a Teresa dicendo:
«Portala nella stalla, basterà per tutto il gior­no».
«O mamma del Cielo, è poca questa erba — osserva Teresa—, non basterà».
«.Abbia fiducia, bimba mia, sarà sufficiente. Dì a tutti di non lavorare nei giorni di festa, ma di santificare il giorno dei Signore, altrimenti l'epidemia di colera non finirà, e di non bestemmiare, perché in questo modo offendono mio figlio e addolorano il mio Cuore materno. Riferisci, inoltre, di osservare i digiuni e le vigilie e di pregare con fede e amore il Rosario».

Questo è il messaggio centra­le delle apparizioni della Madonna alla piccola Teresa Dush. Don Gamberoni, che ha avuto il merito di riscoprire questa «storia meravigliosa» e di diffondere la devozione alla Madonna di Porzùs, ha cercato di ricostruire, con l’aiuto delle persone anziane del paese, que­sto messaggio della Vergine nel dialetto sloveno locale.
«La Madonna— scrive il sacerdote —certamente si è rivolta alla pic­cola parlando il suo unico lin­guaggio e forse iniziò il suo dialogo con “Liepa ma čičica”, proseguendo poi “se ne diela tu nedejo. Uzomi sanuo dno pest traue an tjé bit ràt za uos dan. Reci usien, d’ se ma pieti un počiuat tu nedejo an d se mina bleštemati. Uprašan usè judje, ni dielajo vilje an ni oservajo digjune”.

Altre due apparizioni

Seconde. le testimonianze della gente di.Porzùs, dal settembre 1855 al giugno dell'anno seguente Teresa ebbe a1tre due apparizioni nella chiesa parrocchiale dedicata a san Giovanni Battista durante il canto del Vespero e la recita del Rosario.
«Quando Teresina fu accanto all’altare - scrive don Gamberetti - la Madre di Dio le fece prima contemplare il Crocifisso, poi, invitandola a porgere in avanti la mano, le impresse sul dorso una piccola croce dicendole:
“Questo è il segno del mio Figlio, segno del suo eterno amore per tutti, mostralo alla mamma e a chi è debole nella fede e ti crederan­no”».

Teresa portò per tutta la vita la piccola croce, alta circa 3 centimetri, sul dorso della mano sinistra.
All’inizio essa era lucente come l’oro poi, con il passare del tempo, divenne rossa e poi bianca.

Ma c’è anche un «segreto» nella storia delle apparizioni di Porzùs. Nel terzo colloquio la Vergine disse qualcosa che Teresa non volle mai rivelare e per sfuggire alle insistenti domande della gente sul conte­nuto del colloquio la veggente rispondeva candidamente: “Se san pozabila usé (ho dimenticato tutto)”

In seguito a questa esperienza religiosa e alla morte in breve tempo di entrambi i genitori, Giuseppe e Caterina Grimaz, Teresa fu portata a Udine nella «Casa delle derelitte» di don Luigi Scrosoppi. Dal 1860 al 1864 andò a servizio presso alcune famiglie. Era però sempre seguita da suor Serafina Strazzolini, nativa di San Pietro al Natisone e collaboratrice di don Luigi Scrosoppi. A 19 ami Teresa presentò domanda di diventare suora ed ebbe l’ulti­ma apparizione, durante la quale la Madonna le concede il dono di leggere il breviario in latino pur essendo analfabeta.
Nel 1866 fece la professione religiosa e don Scrosoppi le diede il nome di Maria Osanna.
Negli anni seguenti prestò il suo servizio a. Cormons, presso il santuario di Maria SS. Rosa Mistica, e ad Orzano, dove le fu dato l’incarico di sorvegliare le fanciulle, ospiti della casa durante i giochi. A causa della malattia ritornò a Udine, dove si spense santamente il 17 agosto 1870. Non aveva ancora 25 anni.

Sveta Marija

Dopo la morte di suor Maria Osanna, la «storia meravigliosa ­delle apparizioni di Porzùs cadde nell’oblio. In base alle testimonianze della gente, il parroco di allora mise tutto a tacere e si sparse la voce che la bambina era «pazza».
Ma nella memoria della gente quei fatti straordinari rimasero impressi e furono gli abitanti del paese qualche anno dopo a costruire la cappellina e a far dipingere la scena dell’apparizione. Poi di nuovo silenzio.
Fu solo all’ini­zio degli anni Novanta del secolo scorso che le apparizioni di Porzùs tornarono all’onore della cronaca e il paese diventò meta di pellegrinaggi.

Il maggiore merito va attri­buito a don Gamberoni, un sacerdote varesino trapiantato a Trieste, che fece ricerche e scrisse diverse pubblicazioni con numerose testimonianze della gente di Porzùs.
Ma a don Gamberoni il titolo di “Madone de sesule” non piaceva, preferi­va quello di «Madonna di Porzùs ed egli stesso cambiò la targa con quella scritta posta davanti alla cappella con una, dov'era scritto “Iancona”.
Era questo il nome che la gente aveva dato alla cappella costruita dai paesani.

“Remo dou Jankonu”, dicevano quan­do si recavano a pregare sul luogo delle apparizioni e la Madonna, apparsa a Teresa Dush, era chiamata semplice­mente «Sveta Marija» (Santa Maria)
DOM - 31.3.2005


Preghiera alla Madonna di Porzùs

O Regina del cielo e della terra,
tu che apparendo alla piccola Teresa
richiamasti il popolo cristiano
all'osservanza dei comandamenti del Signore,
aiutaci a fare sempre la sua volontà,
a santificare le feste e il suo nome
santo e benedetto e a compiere opere
di penitenza e di bontà.
Benedici le nostre famiglie, i nostri figli,
la nostra gioventù, i nostri anziani e ammalati,
le persone sole e quelle bisognose di
aiuto e di conforto.
Ottienici ora dalla Trinità Santissima
la grazia che con fiducia ti chiediamo...
Resta sempre vicino a noi affinchè possiamo
amare la vita e testimoniare con essa l'amore
di dio, creatore e padre.
E fa che un giorno veniamo accanto a te
nell'eternità beata, a lodarti e a ringraziarti
per sempre, o clemente, o pia, o dolce
Madre nostra, Maria.
Amen.

Preghiera approvata dall'arcivescovo di Udine
mons. Alfredo Battisti il 22.10.1992
DOM - n.22 - 1993

La predicazione nelle “ville slave”

Di norma i sacerdoti usavano la lingua da essi conosciuta: il friulano o il dialetto sloveno

Porzùs / Porčinj faceva parte anticamente delle parrocchie di Nimis prima e di Attimis poi.
Il servizio religioso alle nume­rose «ville slave» disseminate sui monti e sottoposte alle parrocchie citate, ma anche a quelle di Tarcento e Faedis, veniva assi­curato dai cappellani parrocchiali che risiedevano nei centri del piano. I fedeli sloveni richiedevano insistentemente ai propri par­roci friulani che i sacerdoti, addetti alla loro cura spirituale, fossero sloveni o alme­no conoscessero la lingua slovena, ma non sempre le loro richieste venivano esaudite.
Da qui i frequenti conflitti tra parroci e fedeli che sono stati registrati da numerosi documenti e testimonianze.
In proposito confrontare il Trinkov koledar 1954 (pagg. 36-50) e il Trinkov koledar 1957 (pagg. 42-54).

Bisogna aggiungere però che le popolazioni delle «ville slave», che da sempre gravitavano per motivi amministra­tivi, economici e religiosi sui centri friulani della pianura (Tarcento, Nimis, Attimis, Faedis), cercavano di imparare presto, per motivi pratici, anche la lingua friulana.

Molto spesso capitava dunque che il sacerdote, incaricato di curare spiritual­mente i fedeli delle «ville slave», fosse un sacerdote friulano, ignaro del dialetto slo­veno.
Questi usava, ovviamente, nell’eser­cizio del culto e nella prassi pastorale la lingua friulana e non quella italiana che fino alla fine del secolo scorso era poco conosciuta non solo dagli sloveni ma anche dagli stessi friulani (in molte parrocchie della pianura la predicazione in lingua friu­lana era una prassi normale fino agli inizi di questo secolo).
E così poteva capitare che a Porzùs si predicasse anche in friulano, come è stato appurato da don Carlo Gamberoni il quale ha trovato nell’Archivio storico diocesano, fondo «Visite pastorali», Sezione «croni­storia», vol. 27 la seguente nota: «Il cap­pellano dal 1835 risiede in paese (a Porzùs), prima invece ad Attimis. Le ani­me sono 282 e si predica in dialetto friula­no». Questa annotazione, però, risale al 1912, anno in cui l’arcivescovo di Udine, mons. Anastasio Rossi, stava per compiere la visita pastorale nella zona e voleva conoscere la situazio­ne delle parrocchie anche dal punto di vista linguistico. Ma nei decenni precedenti, e in parti­colare ai tempi delle apparizioni della Madonna a Porzùs, quale lingua era usata nella predicazione?

Da un rapporto redat­to nel 1811 da Gio­vanni Scopoli per il Regno Italico risulta che si parlava sloveno anche a Porzùs, Clap, Forame e Subit frazio­ni di Attimis
(Cfr. Tradizioni popolari venete. . . Ed. Istituto veneto, Venezia 1966).

In base a quan­to sopra detto, riteniamo che il sacerdote in cura d’anime usasse la lingua da lui cono­sciuta, dialetto sloveno o friulano, che la gente, in particolare gli adulti, era in grado di comprendere senza difficoltà. Nel 1855, anno della prima apparizione, era cappellano di Porzùs don Giuseppe Costaperaria, nato a Vernasso in val Nati­sone, parrocchia dell’allora San Pietro degli Slavi, il 26 luglio 1810 e morto di colera il 10 settembre 1855, esattamente due giorni dopo la prima apparizione della Madonna a Teresa Dush. Come sta scritto nell’atto di morte conservato nell’archivio parrocchiale di Attimis, don Costaperaria, definito «sacerdote semplice e buono», è stato colpito dalla malattia «per aver assi­stito i suoi colerosi».

La presenza di don Costaperaria è atte­stata a Porzùs fino dal 1850 e quindi è sta­to certamente lui a impartire alla piccola Teresa i primi insegnamenti cristiani e a seguirla nella sua crescita spirituale.
Essen­do nativo di Vernasso, riteniamo che nella predicazione e nell’insegnamento del cate­chismo egli abbia usato il proprio dialetto sloveno adattandolo alla variante di Porzùs, variante che, con quelle di altri paesi della zona, rappresenta il segmento di passaggio tra il dialetto del Natisone e quello del Torre.

Non possediamo un elenco completo dei sacerdoti in cura d’anime dal 1835, anno in cui il cappellano risiedette stabil­mente in paese; conosciamo però alcuni nomi oltre al già citato don Costaperaria:
nel 1840 don Domenico Zuliani di Attimis,
nel 1863 don Domenico Biasizzo di Sedi­lis,
nel 1873 don Giovanni Moderiano di Platischis,
nel 1879 don Giovanni Miche­loni di Leproso,
nel 1890 don Pietro Cimenti di Vinaio.

In alcune pubblicazioni è affermato che a Porzùs, Subit, Prato di Resia ed in altri paesi di quelle zone il dialetto sloveno ven­ne usato nella predicazione fino al 1900; in altri paesi delle valli del Torre scomparve nei decenni precedenti un po’ per mancan­za di sacerdoti sloveni ma soprattutto a causa del nazionalismo imperante.
Nel resto delle ville slave l’uso dello sloveno cadde nel corso della prima guerra mondiale e nel 1933 fu proibito col famoso decre­to di Mussolini anche nelle chiese delle valli del Natisone.
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