Va sfatata la «leggenda nera» di Caporetto



Da tempo Paolo Gaspari, editore udinese e storico della prima guerra mondiale, con diversi contributi è impegnato a sfatare la «leggenda nera» secondo la quale la «rotta» di Caporetto del 24 ottobre 1917 sia da attribuire, come aveva scritto il generale Cadorna nel Bollettino del 28 ottobre, alla «mancata resistenza di reparti della 2 armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico». La leggenda nera, secondo Gaspari, ha avuto ed ha tuttora diverse sfaccettature — gli italiani sono infidi e vigliacci, i soldati fecero bene a ribellarsi agli alti comandi, i responsabili della sconfitta furono i capi di stato maggiore della 2 armata e del 17° corpo d’armata — dovute al fatto che «non si tentò di ricostruire nei dettagli l’insieme della battaglia. Mancando la ricostruzione dei fatti reali queste leggende poterono continuare a essere alimentate con spiegazioni politiche che nulla avevano a che vedere con la realtà dei fatti».

In effetti, la ricerca delle cause esterne al fattore militare ed anche all’interpretazione data dalla stessa commissione d’inchiesta sulla «disfatta», secondo Gaspari la sconfitta «fu solo militare e a Caporetto gli italiani combatterono con lo stesso valore con cui avevano combattuto prima e dopo. Le cause della sconfitta, nell’ordine d’importanza sono: sorpresa strategica dell’offensiva austro-tedesca che trova il fronte italiano dell’alto Isonzo completamente impreparato a sostenere una battaglia difensiva, per cui: esiguità dei difensori della prima linea — battaglioni di 500-600 fucili —, artiglierie predisposte per l’offensiva e individuate da tempo dal nemico, seconde e terze linee difensive — abbandonate da anni — non predisposte per sostenere l’attacco del nemico, con uno scaglionamento di truppe in profondità, e completamente sguarnite; linea di difesa a oltranza priva di cannoni e mitragliatrici e “riserve” lontane dal luogo di sfondamento e, comunque, non di brigate in piena potenza, trattandosi di reparti mandati a ricostituirsi dopo le perdite della battaglia della Bainsizza».

Gaspari, dunque, ascrive le cause della disfatta non ai reparti che non avrebbero combattuto e si sarebbero ignominiosamente arresi, ma «al Capo di S. M. generale che non aveva fatto addestrare le truppe a una battaglia difensiva, né aveva predisposto linee successive di resistenza, né aveva riserve fresche e vicine».

In altre pubblicazioni (cfr. Le Termopili italiane: la battaglia di Cividale del 27 ottobre 1917, Udine 2007) Gaspari ricostruisce nei dettagli le battaglie sostenute dai reparti italiani in ritirata contro le straripanti truppe austro-tedesche, in particolare a San Nicolò di Jainich - Castelmonte, sul Mladesiena e il Karkoš all’imboccatura delle Valli del Natisone.

Tra le azioni eroiche dei soldati italiani riportati nella «Guida ai luoghi delle battaglie della ritirata di Caporetto», viene ricordata la carica di Stupizza dei cavalleggeri di Alessandria, avvenuta il 25 ottobre nella gola del Natisone verso Robi?, dove già dalla sera del 24 erano arrivati i fanti della 12 divisione tedesca.

Alberico Lo Faso di Serradifalco scrive che «il 25 in Val Natisone da Caporetto ripiegava la divisione del gen. Gonzaga. Giunto a Stupizza per pianificare gli ulteriori movimenti, diede ordine agli squadroni dei Cavalleggeri di Alessandria, che erano a supporto della sua divisione, di riconoscere le direzioni di movimento del nemico e la sua consistenza. Viene fatto uscire dalle linee italiane un plotone al comando del tenente Laus per andare incontro al nemico e cercare le notizie che servono; a questi 28 uomini si aggiungono volontari il capitano Delleani (comandante interinale del 5° squadrone) e il tenente Casnati. Il plotone suddiviso in piccoli gruppi avanza e dopo poche centinaia di metri incontra un avamposto tedesco, ma lo aggira e prosegue, avanza ancora per altri 800 metri sino a quando viene fermato da un grosso sbarramento stradale dal quale si scatena il fuoco delle mitragliatrici nemiche, ma insiste nella ricerca delle notizie necessarie per consentire al comandante della divisione di portare in piano per la via più sicura la sua unità».

Del plotone inoltratosi nella gola di Stupizza tornano indietro il Delleani, il Casnati e solo 4 cavalleggeri «che riferiscono al gen. Gonzaga le notizie che aveva richiesto e che gli consentirono di predisporre il ripiegamento successivo. A difendere la stretta di Stupizza, mentre la divisione scende giù per la Val Natisone, resta la 853 compagnia mitraglieri costituita con il personale dei Cavalleggeri di Roma».

L’agile volume, con una ricca documentazione fotografica e topografica, contiene altri due capitoli che riguardano le Valli del Natisone. Il primo, sempre di Paolo Gaspari, tratta del suicidio, il 26 ottobre a Scrutto di San Leonardo, del generale Giovanni Villani, comandante della 19 divisione, la quale aveva il fulcro della sua dislocazione sullo Ježa e che cedette di fronte ai violenti assalti delle truppe tedesche.

Il secondo capitolo tratta delle ferrovie «dacauville» in Friuli (testi di Fabrizia Bosco e Annita Deganutti, documentazione storica di Felice Peressin). Una di esse fu costruita nel 1916 tra Cividale e Sužid nei pressi di Kobarid/Caporetto. La rete ferrata funzionò a pieno ritmo solo per circa un anno poiché con la rotta di Caporetto subì gravi danni. Tra l’altro fu distrutto il ponte sul Natisone presso Vernasso.
Giorgio Banchig
DOM n. 8 - 2011
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