Religiosità, individuo e parola nella Slavia friulana

di Nino Specogna
... e divennero ministri della parola... (Luca I, 2) La fede s'incarna nella parola; la parola nell'individuo; l'individuo nella sua fede e il cerchio si chiude.

Sotto l'aspetto della parola l'individuo della Slavia non ha avuto e non ha prospettive alettanti, almeno così sembrerebbe, ricordando:
... parlavano «un gergo barbaro di una lingua barbara... » . (Quotidiano “Fanfulla” del 25 luglio 1884);
... «Purtroppo però gli stessi sacerdoti, non conoscendo la lingua slovena letteraria e delle sue regole grammaticali, molte volte alterano anche quanto non è ancora alterato nel nostro dialetto....». (Ivan Trinko - Giorgio Banchig DOM n. 16 - 2011 );
... «più di qualche nemico della nostra indipendenza, risvegliando criminose idee panslaviste, cerca qualsiasi espediente, per permettere in questa zona ancora l’uso della lingua slava, la quale ricorda la vergognosa presenza dello straniero in Italia”. ...». (Regio commissario di Udine, il noto politico ed economista Quintino Sella, che nel 1869 inviò una circolare segreta ai sindaci delle valli del Natisone);
... «chiede l'introduzione nello statuto del fantomatico natisoniano-nedisko, uno sgorbio culturale e scientifico ». (DOM XLVII n. 16 p. 8 );
ecc.


Ho iniziato affermando “Sotto l’aspetto della parola l'individuo della Slavia non ha avuto e non ha prospettive alettanti”. Infatti!
Come fa un ministro della parola a utilizzare un “gergo barbaro” ?
Come fanno i ministri della parola ad alterare la propria lingua in modo da alterare la parola?
Come fa la parola a suscitare criminose idee?
Come fa la parola ad essere “uno sgorbio culturale e scientifico” ?

Per fortuna la gente della Slavia se la cava anche in circostanze nettamente sfavorevoli. Ha un carattere religioso universalmente riconosciuto anche se, probabilmente, fondato su basi ancestrali innate: gentilmente disposta e servilmente ospitale, con una vita metodica legata alla tradizione, al calendario, alle situazioni opportune, un parlare infiorato di complimenti e di rassicurazioni, pronto a supplicare il naturale e il soprannaturale.
La sua parola la salva: quella veramente sua.
Cosa hanno sentito per secoli i noci piantati presso le finestrelle dei focolari?
“Ceščenasti Marija, gnade puna, Gaspuod j stabo, ti si žegnana med ženam an žegnan je sad tuojga telesa Ježuš. Sveta Marija, Mat Božà, pros za nas griešnike sada an ob ur naše smarti. Amen.” Quante le particolarità linguistiche in così poche righe, che ci obbligano a dire: è la nostra parola! La parola legata a noi, alla nostra religiosità, legata alla nostra fede.
Lo snodarsi delle “Ceščenasti Marija,” degli “Oče naš” , dei “pros Bogà za nas” , del bellissimo canto finale “Častito” hanno accompagnato per secoli momenti gioiosi, sereni ma anche difficili, dolorosi come la morte, come la guerra, ma sempre pronti a sollevare gli animi, a consolare, a rasserenare attraverso le parole, le parole del popolo della Slavia. Ministri della parola!

Quante volte sono state trasgredite regole liturgiche in nome della parola?
Era ordine pregare nella messa: “Domine non sum dignus... “
Ma il cuore ordinava: “Gaspuod niesan uriedan de priš pod muojo strieho, pa rec samuo no besìedo an ozdravjena bo muoja duša”.
La Slavia ha precorso la famosa riforma liturgica del 1956. Infatti, le intoccabili parti invariabili della Santa Messa, il Kirje, il Gloria, il Credo, il Sanctus e l'Agnus Dei, vennero già nel '800 sostituite da canti corali in lingua volgare, che parafrasavano quelle parti invariabili, utilizzando melodie d'autore o spesso melodie popolari.
E' stata sicuramente una scelta pastorale dei sacerdoti. Infatti, se per chi conosceva l'italiano comprendere il latino era difficile, per chi conosceva solo la lingua locale propria, ed era il caso della quasi totalità della nostra popolazione, il latino diventava totalmente incomprensibile. I sacerdoti, pur sapendo di andare contro direttive liturgiche ben precise, permettevano che le parti invariabili potessero essere cantate in “nedisko” per poter essere comprese dalla gente. In fondo sarà questa la motivazione che ispirerà la riforma del 1956.
La stessa cosa si può dire del Concilio di Trento, che riformò il canto liturgico ma non riuscì ad impedire che la forma del Corale, una forma tipica della liturgia luterana, entrasse a piene mani anche nel canto religioso cattolico, là dove lo spirito del popolo era consono a questo genere di canto. Ed è il caso della Slavia. Infatti, la stragrande maggioranza dei canti religiosi sono in pratica dei Corali su testo popolare, in quanto la gente della valli, come tutte le genti nordiche, ama il canto corale isoritmico e attraverso esso si esprime più naturalmente.
In questo processo fondamentale fu l'intervento dei sacerdoti.

Grande era la religiosità della gente della Slavia, che si manifestava anche nell'intenso, espressivo e particolarmente efficace modo di eseguire i “suoi” canti, i canti della propria lingua.
Chi ha sentito cantare dal vivo questi canti verso gli anni quaranta, così si esprime:
“Ho ancora vivo nelle orecchie il ricordo del rintronare di voci terribilmente acute e tremendamente e incredibilmente basse nella chiesa gremita di Antro: una massa sonora enorme che mi faceva rabbrividire fin nelle viscere. Ricordo che nella mia fantasia di fanciullo, frastornato dagli odori d'incenso e incantato dai gesti ieratici di don Giuseppe Cramaro, ripetevo a me stesso: sicuramente in Paradiso si canta così.” (Pod Lipo - 1999)

Ministri della parola in tutti gli abboccamenti quotidiani casuali e non, in ogni circostanza, in ogni situazione, in ogni eventualità: “Bohlon an Devica Marija, Buog dí, Buog van dí zdrauje, Buog žegni, Buog van dí srečo, hvaljen bod Ježuš Krištuš an Marija, dobro srečo Buoh dí, Buog pomaj, Buog previda, čast Bogù, čast Ježušu.”

Anche il culto dei morti è legato alla parola.
Appena una persona muore, la sera stessa tutta la comunità si raccoglie attorno alla famiglia per pregare il Santo rosario.
La partecipazione ai funerali è massiccia; gli stessi operai abbandonano il lavoro per parteciparvi. In tante parrocchie continua ancora l'usanza della Quaterinca , che vede raccogliere non solo la comunità parrocchiale ma anche coloro che sono emigrati altrove e che per l'occasione ritornano a pregare sulle tombe dei loro cari.
La sera del giorno dei morti ancora in diversi paesi la comunità parrocchiale si raccoglie in cimitero a pregare il Santo Rosario intero.

Nella pratica della Devetica , la Novena di Natale, la parola acquista un valore particolare non solamente come preghiera, ma anche come risonanza di sentimenti profondi.
A Mersino, la novena di Natale è rimasta intatta perché è stata praticata con continuità anche durante il periodo bellico, quando il coprifuoco imponeva di ritirarsi al crepuscolo ognuno nella propria abitazione.
Gli abitanti di Mersino ogni anno dopo l’Immacolata (8 dicembre) iniziano a portare una sacra immagine in ogni casa del paese ove la Madonna rimane ospite ed esposta alla venerazione dei famigliari e vicini per ventiquattro ore.
Alla sera cambia dimora e la padrona di casa accoglie l'immagine con queste parole:
“O bodi pozdravjena prečista Devica, želnuo Te sprimen pod muojo strieho. Bodi mi zviesta pomočnica, varvi muoio dušo na smartno uro. Amen”.
(Sii salutata o purissima Vergine; con desiderio ti accolgo sotto il mio tetto. Che tu mi sia fedelmente di aiuto, difendi la mia anima nell’ora della morte. Amen.)

Nella Slavia però, oggi ancora e nonostante che dal 1956 sia possibile dire la Santa Messa anche in vernacolo, il Nedisko non lo si può usare: non è approvato! Forse ancora oggi le parole nediške altererebbero quanto non è già alterato!

... E divennero ministri della parola...

A cominciare dai due fratelli di Tessalonica (Grecia): Costantino, (conosciuto come Cirillo dal nome che assunse da monaco) e Metodio.
Nati in un ambiente già a contatto con la cultura slava, di cui tutti e due conoscevano la lingua, compresero che non sarebbe stato possibile annunziare la Buona Novella se non proclamandola nella lingua dei popoli presso i quali si recavano.
Così anche nella Valli del Natisone la fede cristiana venne accettata solo quando la catechesi fu svolta attraverso la parola del popolo.

E proprio per merito della parola la popolazione si attaccò ai suoi ministri: li rispettava, li sosteneva, li onorava anche quando, come nel caso delle decime, rappresentavano un gravame economico non indifferente.
Un po’ alla volta ogni paese si costruì la sua chiesetta. Ogni cappellania venne dotata di qualche appezzamento di terreno lavorato in comune o dato in affitto per coprire le spese di manutenzione. Attorno alla chiesa, per lo più dopo la messa del giorno festivo, si riuniva la “vicinia”, che era impegnata a provvedere alla manutenzione della chiesa, alla paga del cappellano e alla nomina di un fabbriciere, delegato ad amministrare i beni della chiesa. Il rispetto, la fiducia, l'amore verso la chiesa e i sacerdoti si manifestava anche attraverso lasciti e donazioni di beni e terreni alla propria chiesa.
Questi beni immobili restarono proprietà delle chiese fino al 1870, quando il governo massonico li sequestrò. Da allora in poi, per le necessità delle chiese furono fatte collette di casa in casa e gli abitanti delle Valli si distinsero per generosità in queste offerte anche se le loro possibilità economiche erano modeste.

Solo le dispute politiche dopo la seconda guerra mondiale portarono a tensioni, che influirono sia sui rapporti tra i preti che fra preti e popolazione.
Si sarebbe dovuto continuare sulla strada di Cirillo e Metodio, senza la presunzione o la pretesa di sostituirsi o di riformare la lingua del popolo, l'unica vera e autentica fonte di verità o di interpretare o, peggio, imporre identità, dimenticando il ruolo fondamentale della parola.
Invece nel rapporto fede-parola-individuo venne svisata la funzione della parola e snaturata nella sua stessa essenza. Non più parola genuina, espressione ancestrale, unica, univoca e inequivocabile, indeteriorabile, ma parola abusata, violentata, coartata, prevaricata in uno o nell'altro senso. Con il conseguente deterioramento del rapporto fede-parola-individuo.

Come conseguenza di questo rapporto, oggi la realtà è ben diversa.
I noci presso le finestrelle dei focolari non sentono più lo snodarsi delle Ceščenasti Marija, degli Oče naš , dei pros Bogà za nas.
I canti nelle chiese hanno perso il loro brio; sono voci stanche che sanno più di lamento che di gioiosa partecipazione al mistero della parola.
La parola, quella vera, quella autentica si è persa nell'indifferenza, si è annegata nel groviglio di preoccupazioni assillanti, è svanita nei meandri di chimeriche condizioni di benessere.

Il rapporto col ministro della parola è divenuto occasionale soprattutto per la mancanza di ministri, sicuro solo al momento della morte, della sepoltura.
Le parrocchie sono senza parroci; il rapporto religiosità, individuo, parola si è rotto. Permane, per fortuna, sotto l'aspetto morale un grande rispetto per la legalità: la profonda religiosità di un tempo estende la sua ombra fino al momento attuale e si manifesta nell'estrema rarità di omicidi, di furti e di altre azioni criminali o anche solo illecite.
Ciò fa ben sperare in un possibile recupero dei valori di un tempo.

Per ridare una speranza alla comunità della Slavia, non sono sufficienti leggi, contributi ed istituzioni. Bisogna ripartire dalla parola come ai vecchi tempi, ripristinando il virtuoso circuito fede-parola-individuo-fede, risvegliando così ciò che di atavico risiede ancora nel cuore delle giovani generazioni.
Perché non ipotizzare, in tutte le messe domenicali (o anche feriali) della forania delle Valli la recita dell' Oče naš e alla comunione il Gaspuod jest niesan uriedan... ? E inoltre, ad ogni celebrazione, almeno un canto, scelto fra quelli sicuramente nati nelle Valli: Mašnik požegna bieli kruh (all'offertorio della messa), Na kolena dol padimo, Sa se zbudi duša muoja , O stuo krat srečna duša ti (questi ultimi tre alla comunione), Te dan je usegá vesejá (a Natale, magari nell'edizione della melodia di Mersino, la più popolare e antica), Marija gresta z Jožofan (dolcissimo canto natalizio di San Leonardo), Ježuš je od smarti ustú (nel periodo pasquale) , il canto di pellegrinaggio Duga je rajža , i canti alla Madonna Taužink krat bodi češčena; Tebi, Marija, blažena Mati; Ko zjutra zazuoni. Infine, perché non leggere, in nedisko, una delle tre letture, possibilmente il Vangelo che sicuramente è il più facile e accessibile, per riattivare entro la comunità parrocchiale attraverso la nativa parola la propria presenza nel mistero della fede?

Risvegliare il senso di appartenenza alla parola!

Forse è proprio questa la strada maestra per ripristinare il circuito di cui sopra, praticando una nuova evangelizzazione in memoria dei Santi Cirillo e Metodio.
Nino Specogna tratto da “Slavia Friulana - Storia per il futuro”
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