San Quirino, memoria storica delle valli del Natisone


Le vicende storiche della chiesetta di S. Quirino, testimone e simbolo delle vicinie, degli arenghi e delle banche delle Valli.
Tarcisio Venuti, autore di un pregevole volume sulle chiesette votive delle valli del Natisone, ha tenuto una dotta lezione sulla chiesa di san Quirino inserendola nelle vicende storiche delle valli e nell'ambito del "rinascimento" artistico che ha interessato la zona a partire dal 15. secolo.

La chiesa è una delle più antiche delle valli del Natisone. Nel verbale della visita pastorale del 1899 è scritto che essa è stata eretta "sulle rovine del tempio di Diana, è circondata da un cimitero preistorico dell'età del ferro, ove trovansi oggetti di bronzo e di ferro, con qualche moneta romana nelle urne delle ceneri dei cadaveri cremati". Secondo Venuti sull'area sorgeva una "statio" romana o un posto doganale situato nel territorio dell'antica Algida (Azzida / Ažla) che apparteneva al municipio romano di Cividale.

La chiesa di san Quirino è ricordata nel 1250 e nel 1254 nei suoi pressi si teneva una fiera o mercato, la cui custodia era affidata ai signori di Villalta. Nel 1342 il patriarca Bertrando compera il diritto di custodia della fiera e lo affida alla gastaldia di Antro.

Probabilmente tra le cappelle, ricordate nella bolla di papa Cestino III nel 1192, che ricadevano con la chiesa di San Pietro sotto la giurisdizione del capitolo di Cividale, c'era anche quella di san Quirino.

Nel 1493, cinquecento anni fa, la chiesa fu ristrutturata in stile tardogotico sloveno dal mastro costruttore Petr(ic), che ha posto la propria firma su una pietra del muro esterno del coro. Sulla lapide c'è scritto:


ANNO DOMI(NI) 1493 / MA(GISTE)R MARTI(NUS) PETR(IC).


Si tratta di un artista sloveno (di Škofja Loka?) che in quest'opera, come in altre probabilmente sue nella Slavia, segue lo stile tardogotico che è iniziato ad affermarsi nella Slovenia nei primi decenni del 15. secolo. Venuti ha sostenuto che il punto di partenza di quest'architettura è da ricercarsi nella cattedrale di san Vito a Praga, dove nel Trecento lavorarono il francese Mathieu d'Arras e il tedesco Peter Paler. I1 modello praghese arrivò in Slovenia e, a cominciare dal santuario mariano di Ptujska gora e dalla chiesa di san Canciano a Kranj, fu ripreso in numerose chiese della zona. Da Škofja Loka attraverso la valle dell'Isonzo il tardogotico si diffuse nelle valli del Natisone dando a numerose chiese, anche preesistenti, una precisa caratterizzazione.

L'orientamento, le dimensioni, la forma poligona1e del presbiterio, la copertura, il campanile a vela, le mensole che sorreggono i costoloni del coro, le chiavi e le decorazioni del soffitto, l'arco trionfale a sesto acuto interrotto da mensole spesso figurate sono gli elementi che si riscontrano costantemente in queste chiese.

Accanto al mastro Petric lavorarono numerosi altri artisti, architetti, scultori e pittori della Slovenia, che nelle valli del Natisone formarono un piccolo gruppo pienamente inserito nella comunità slovena locale.

Tornando alla chiesa di san Quirino, Venuti ne ha ricordato le ultime vicissitudini. Nella seconda metà del secolo scorso fu sul punto di essere demolita, ma nel 1888 fu riaperta al culto. Sebbene nel tempo fu adibita a fienile, deposito, lazzaretto. I restauri seguiti al terremoto del 1976 hanno restituito la chiesa all'eleganza ed alla semp1icità di un tempo.

Ma la chiesa di san Quirino per gli abitanti delle valli del Natisone non è solo un luogo di culto. Come ha ricordato il sindaco di San Pietro, Firmino Marinig, essa ha rappresentato un preciso punto di riferimento e l'autonomia concessa al1a nostra comunità dai patriarchi di Aquileia e dalla Repubblica di Venezia. Presso la chiesa, sotto il tiglio, l'albero simbolo degli sloveni, fino alla fine della Repubblica di Venezia si riuniva l'arengo grande per eleggere i propri rappresentanti e per trattare la "politica estera" e gli interessi comuni delle convalli di Antro e di Merso. L'ultima seduta dell'arengo si tenne il 2 maggio 1804, sette anni dopo la caduta della Serenissima.

L'esperienza delle vicinie, degli arenghi e delle banche, ha rilevato Marinig, risponde in modo appropriato all'odierna esigenza di autonomia e di decentramento.

G.B.

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