Breve storia delle Valli del Natisone

Tratta dalla tesi di laurea di Giorgio Qualizza

Le Valli del Natisone prima dell'insediamento degli Slavi

Ricerche archeologiche eseguite a più riprese (a) hanno provato che la zona circostante al fiume Natisone era abitata fin dalla preistoria.

Gli abitanti più antichi che troviamo nominati dagli storici latini (Polibio,libro Il) sono gli Illirici, o meglio un gruppo particolare di essi: i Veneti, che si stabilirono nell’ Italia settentrionale.

Verso il 380 a.c., scendendo dalla Gallia penetrarono nella regione dei Veneti, i Celti, un gruppo dei qua— li, i cosiddetti Carni si insediò nell’attuale “Benečija” e in tutto il territorio dall’Adriatico ad Aquileia, come sappiamo da Strabone (lib. IV, 6,9,10,206) da Plinio (Nat.Hist. III, 18,126), da Tolomeo (lib. III, 1,22).

Altri gruppi di Celti si erano insediati nei territori vicini (in Carinzia, in Craina, presso la Sava).

In seguito Claudio Marcello nel 180 a.c. distrusse la città edificata dai Carni (Plinio, Lib. III, Cap. XIX) e in~seguito, nelll5 a.C. anche il console Marco Emilio Scauro riportò una vittoria su di essi (1.1., XIII, 1,1944, fig. 36), e così i Carni furono definitivamente assoggettati dai Romani, i quali nel ‘14 dopo Cristo occupavano già tutto il territorio che prima era appartenuto agli Illirici.
I Romani mandarono propri coloni a coltivare le terre occupate, però nelle Valli del Natisone la zona allora coltivata doveva essere solamente quella del fondovalle, come si può arguire tra l’altro anche da una fonte storica che parlandoci del tempio di Diana che si trovava dove ora è situata la chiesa di San Quirino a S. Pietro al Natisone, accenna a numerosi e folti boschi che lo attorniavano. Inoltre lo si può dedurre dai nomi dei predii come Verinatum (Barnàs) da un possessore Verinius come Pontilianum (Petiàh) da Pontilius, ed altri...

I mercanti e così pure i coloni militari più ricchi facevano lavorare i loro predii da schiavi gallici (come risulta anche dalle uscite di nomi locali nel celtico “ac”, “as”, “is” (es. Faedis, Furnalis, Magretas, ecc.), come attesta Grion O. a pag. 14 della sua “Guida storica di Cividale e del suo distretto”, Cividale — Tipografia Feliciano Strazzolini — 1899).
Giulio Cesare riedificò la città dei Carni che Claudio Marcello aveva distrutto e ne fece dapprima un mercato (“Forum Negotiationis” — Paolo Diacono Il, 14), poi una città fortificata che da lui assunse il nome di “Forum Julii colonia”, che poi passò a denominare tutto il Friuli (Tolomeo, Lib. III della sua Geografia).
Questa città (Cividale) doveva costituire nelle intenzioni di Cesare una valida roccaforte contro eventuali invasori che scendessero per le Valli del Natisone al piano.
Che Forum Julii .(Cividale) nelle intenzioni dei Romani dovesse servire da sbocco e nello stesso tempo da “punto di arresto” per eventuali invasori che scendessero lungo le Valli del Natisone, si può arguire anche dal tracciato delle due strade da essi costruite che passano per la zona: una, partendo da Aquileia e passando per Cividale, risaliva la valle del Natisone e, per Caporetto, attraverso il passo del Predil, giungeva fino a Tarvisio; l’altra, staccandosi dalla prima nei pressi di Azzida, costeggiando l’Alberone, giungeva fino a Bled ed oltre.
A tutt’oggi le strade principali seguono il tracciato delle vecchie strade romane.
Queste vie di comunicazione, se furono importanti dal punto di vista militare e strategico, contribuirono molto anche ad incrementare il commercio, facendo di Forum Julii (Cividale) un mercato fiorente, soprattutto dopo che Augusto assegnò ai suoi soldati parecchie terre della zona.

Se poco sappiamo sulle attuali valli del Natisone durante il periodo romano, altrettanto poco possiamo dire del periodo che va dalla caduta dell’impero d’Occidente alla venuta dei Longobardi.

Relativamente a questo periodo è ben vivo nella letteratura e nella tradizione orale della zona soprattutto il ricordo di saccheggi e stragi degli Unni anche se per giungere ad Aquileia, che poi assediarono e presero, essi non passarono per le Valli del Natisone e non toccarono neppure Cividale, perchè seguirono la strada che partendo da Emona (Ljubljana) attraversa la valle del Vipacco (come afferma L. Bosio in “Cividale del Friuli — la storia”, ed Casamassima, Udine, a pag. 46).
Quindi molto probabilmente le Valli furono soggette solo a loro sporadiche e periferiche incursioni.

Agli Unni seguirono altri popoli di stirpe germanica quali gli Eruli, i Gepidi, i Goti e i Longobardi.
I Goti furono particolarmente tolleranti nei confronti dei loro soggetti e si pensa che anche le Valli si siano avvantaggiate del loro buon governo.
Caduto il regno dei Goti (nel 553), la zona governata prima da questi venne occupata dai Bizantini che a causa della loro fiscalità provocarono nel settore contadino una contrazione della piccola proprietà, in quanto i piccoli proprietari avevano preferito assoggettarsi ai grandi latifondisti, meglio capaci di resistere alla fiscalità degli ufficiali bizantini.
Ma ormai questo territorio è sede di scontri frequenti tra vari popoli che mirano tutti a scendere da OltreAlpe nelle fertili terre d’Italia.

Continue lotte tra Franchi, Bizantini, Longobardi e Goti (per nominare solo i più forti) rendevano particolarmente tormentato questo periodo.
Infine su tutti prevarranno i Longobardi.
Fortunatamente, per la storia dei Longobardi possiamo attingere all’ “Historia Longobardorum” di Paolo Diacono.
Dopo aver stretto un patto con gli Avari, ceduti ad essi il Norico e la Pannonia, nel 568 con a capo il re Alboino passano le Alpi.
Se anche passarono per le Valli del Natisone (b) non abbiamo prove che le abbiano occupate, forse proprio perchè allora apparivano poco interessanti ad essi che cercavano fertili campi da coltivare.
Infatti molto probabilmente allora le vallate del Natisone dovevano essere coperte ancora in gran parte da boschi con pochi abitanti, dediti per lo più alla pastorizia.
Alboino prima di spingersi ad occupare la Valle Padana e continuare nella sua avanzata verso Sud, occupato Forum Julii, lo assegnò a suo nipote, dopo averlo creato Duca di tutto il Friuli. Gisulfo scelse (come ci riferisce Paolo Diacono nel Libro Il, Cap. IX della sua storia) con sè le principali “fare” (nuclei familiari) dei Longobardi.

Oltre le Alpi frequenti lotte si accendono in questo periodo tra Sclavini o Windi, Unni, Avari, Longobardi per le terre del Norico Mediterraneo e della Carinzia, lascia te libere dai Longobardi. D’ora in poi si faranno sempre più frequenti gli scontri fra i Longobardi del Friuli e gli Slavi (o Sclavini o Windi, come altri, ad es. De Rubeis, li chiama).
Infatti gli Avari, nonostante il patto con i Longobardi, assieme agli Slavi combattono i Longobardi anche nei nuovi territori da essi occupati.

E’ un periodo estremamente confuso di alleanze incompatibili e precarie fra i popoli più diversi; alle volte Bizantini e Slavi contro Longobardi, altre Slavi e Longobardi contro Bizantini.
Ma quel che più à interessante notare, mentre in un primo tempo fra Slavi ed Avari il gruppo piu forte ~ rappresentato dagli Avari, man mano acquista sempre più forza il popolo degli Slavi, tanto che finirà per guerreggiare anche da solo contro i Bizantini dapprima e contro i Longobardi poi.
Dall’ultimo trentennio del ‘600 in poi gli Slavi cominciano a premere sempre di più sui Longobardi scontrandosi spesso cori loro soprattutto nelle regioni di confine Paolo Diacono ci riferisce molte battaglie a vicende alterne che gli Slavi combatterono in questo periodo contro i Longobardi (presso Nemas (Nimis?) e Broxas (Brischis?)) e su una montagna dove perì tutta la nobiltà friulana, e a Lauriana (Lavariano), tutti nei dintorni di Forogiulio (P. Diacono, Historia Langobardorum, Lib. V, Cap. XXII e XXIII; Lib. VI Cap.XXIV e XLV).
Paolo Diacono narra come il Duca Pemmone, si accordò con gli Slavi, ma il Duca Ratchis, figlio di Pernmone, nel 739 entrò nella Carniola “patria degli Schiavi” e “ne uccise una gran moltitudine e tutte le cose loro rovinò”. (P. Diacono Cap. LII).

A proposito di queste battaglie tra Slavi e Longobardi su cui il Diacono ci riferisce, possiamo notare che gli Slavi guadagnano sempre più terreno e che il fronte di scontro fra di essi e i Longobardi relativamente alle Valli del Natisone si trova abitualmente nelle vicinanze del Ponte S. Quirino (che è sede di una battaglia tra gli Slavi e i Longobardi di Vettari, narrata da Paolo Diacono).
Comunque il fondovalle (Vernasso e dintorni di S. Pietro, dove sono stati rinvenuti cadaveri e armi, fatti risalire al tempo di queste battaglie) diviene luogo di scontri frequenti.
Ciò renderebbe ancor più probabile la tesi che i Longobardi fin dalla loro venuta non si insediarono nelle Valli del Natisone, o quanto meno indicherebbe che, anche qualora si siano insediati nella zona pianeggiante delle Valli, cominciarono ad essere sospinti ben presto verso la piana cividalese dagli Slavi che venivano dalla Carinzia in piccole bande con l’unico scopo di razziare il bestiame, o in veri gruppi armati.
Il ducato longobardo del Friuli era delimitato ad ovest dal fiume Livenza, a nord dalle Alpi Carniche, ad est dal territorio occupato dagli Avari e Slavi solcato dall’Isonzo e a sud dall’Istria bizantina.

“Carlo re entrò in Italia facendo cammino per le parti di Forogiulio” (De Rubeis — Mon. Eccl. Aq. Col. 331, 332). Altri storici affermano che sia entrato per il Cenisio e la valle di Susa. Dopo aver vinto definitivamente i Longobardi (774 — 776) Carlo Magno fece del Friuli un marchesato, perchè la regione confinava con la Pannonia e la Slavia (Ex Monumentis Eccl. Aq. Col. 364).
Ma la vita in Friuli non fu facile neppure per i Franchi, perchè vinti i Longobardi, dovettero a più riprese combattere contro gli Avari che vennero definitivamente battuti solo nel 796.
In questo periodo gli Avari combattono anche gli 310— veni.
Poi, a causa delle continue lotte interne tra i vari pretendenti al trono e del conseguente stato di anarchia tra i vari duchi e marchesi, la forza militare dei Franchi subisce i primi contraccolpi da parte degli Ungheri che dalla fine del IX sec. per tutto il X devastarono il Friuli, depredando soprattutto la zona tra i1 Tagliamento e il Torre, ma il ricordo di essi è rimasto vivo anche nelle Valli del Natisone (anche se probabilmente, come fa notare L. Bosio a pag. 90 op. cit., gli Ungheri non scesero in Italia attraverso le Valli del Natisone; però è facile che anche queste Valli siano state interessate da qualche razzia di qualche gruppo periferico di essi).
Il re franco di turno deve concedere sempre maggiori autonomie e benefici in terre a duchi, marchesi e al patriarca d’Aquileia in particolare, per aumentare la loro forza di resistenza a queste continue incursioni degli Ungheri.
E’ proprio in questo periodo che duchi e marchesi e il patriarca d’Aquileia acquistano una forza politica sempre maggiore, man mano che aumentano i loro possessi terrieri, frutto delle donazioni continue dei re franchi.
Addirittura i re franchi, nel periodo di queste incursioni dei Magiari (detti Ungheri), permisero anche alle città e perfino a privati di erigere castelli e fortificazioni.
Così diventarono sempre più influenti quelle famiglie nobili tedesche che avranno un così importante peso nella storia delle Valli del Natisone, come giurisdicenti, non solo sotto il patriarcato d’Aquileia, ma anche sotto la Repubblica veneta.
In questo periodo questi nobili costruiscono i loro castelli anche nelle Valli del Natisone, analogamente a quanto fanno in Slovenia e assoggettano i territori, chiamando sul posto anche coloni tedeschi (vedi influssi tedeschi sul dialetto).
Tanto si accresce la potenza del patriarcato in questo periodo, che nel secolo X1110 il patriarca Federico riesce a respingere gli Ungheri.

Note

a)
Dei Fabbro A. — Rapuzzi P., “Primi risultati delle ricerche sugli insediamenti preistorici nella Val Natisone (Udine)”, in “Val Natisone”, Udine, Soc. Fil. Friul, Doretti, 1972, pagg. 14-19.

Ferugiio E., “Il Foràn dei Landri”, “Mondo sotterraneo XVII, gennaio—agosto 1921, p. 12 ss.

b)
E’ più probabile la tesi sostenuta da L. Bosio nella op. cit., pag. 39—53, che afferma che i Longobardi abbiano seguito la stessa strada già percorsa da Visigoti e Unni prima di loro (da Emona (Ljubljana) attraverso il valico di Preval e per la valle del Vipacco).

Insediamenti territoriali degli slavi nelle Valli del Natisone

Sappiamo che gli Slavi (come ci riferisce 5. Rutar in “Beneška Slovenija”, Blasnikova tisk., Ljubljana 1899, a pag. 102) già nell’anno 598 tentarono di entrare in territorio italico.
Inoltre il papa Gregorio, in una lettera, augura all’esarca bizantino di essere vincitore sugli Slavi e, in una successiva, datata il mese di luglio dell’anno ‘600 lo stesso papa si dice terrorizzato per il fatto che gli Slavi hanno già cominciato dalla parte del— l’Istria (“Istriae aditum”) ad entrare in territorio italico.

Varie sono le ipotesi sull’insediamento degli Slavi nelle Valli del Natisone. Grosso modo, tre sono le posizioni degli storici riguardo .a questo problema: alcuni pensano che gli Slavi si siano insediati almeno in parte in queste valli già nella seconda metà del VI sec.; altri pensano che il loro primo insediamento in queste valli si sia verificato appena nel X sec. e altri ancora pensano a due insediamenti successivi, uno nel VI sec. e un altro nel X.
Tra le tre, quest’ultima posizione sembra quella più probabile, poiché troverebbe conferma sia in certe differenze etnografiche (fatte rilevare anche da Podrecca C., a pag. 15 della sua “Slavia Italiana, 1884), sia in alcune diversificazioni linguistiche, (come sostiene B. Gujon in “Le Colonie Slave d’Italia”, in “Studi Glottologici italiani”, vol. IV, alle pagg. 12—13).
Secondo questa ultima ipotesi dapprima nella seconda metà del VI sec. si stanziarono nelle Valli del Natisone Slavi provenienti dalla Carinzia, poi nel X sec. vennero, chiamati dal patriarca d’Aquileia, a ripopolare il Friuli devastato da— gli Ungheri, Slavi dalla Dalmazia, Bosnia ed Erzegovina.
Il Podrecca e ii Gujon ipotizzano perciò che la valle di San Leonardo fu interessata all’insediamento da parte degli Slavi carinziani mentre quella di San Pietro a quello degli Slavi dalmati.
A mio parere dal VI sec. in poi si può parlare più che di due insediamenti successivi, di una infiltrazione progressiva continua nel territorio delle Valli di popolazioni “slave” di varia provenienza, con punte massime di afflusso nei periodi storici più favorevoli a tale infiltrazione (~ probabile ad es. che l’annessione dell’Istria e del territorio prima governato dagli Avari al regno franco, creando una certa omogeneità politica abbia potuto favorire più di prima l’infiltrazione in qualità di coloni terrieri di popolazioni “slave” da sud e da est (infatti l’Istria bizantina rappresentava prima una “barriera” oltre che politica anche militare — vedi vallum Alpium Juliarum all’infiltrazione di popolazioni slave)).

Comparando fra di loro le varie fonti storiche si arriva alla conclusione che gli Slavi si insediarono nelle Valli del Natisone abbastanza gradualmente e non sempre pacificamente.
Che l’insediamento di questi Slavi non fosse sempre pacifico, ma fosse dovuto anche ad invasioni vere e proprie si può arguire tra l’altro da una cronaca di Andrea Bergamate e dalla “Cronaca veneta” di un certo Giovanni (entrambe opere citate da Podrecca C., a pag. 29 della “Slavia Italiana — Istituti amministrativi e giudiziari”, Cividale 1887).

Entrambe queste cronache, riferendosi agli anni 830— —846 (quindi al tempo della dominazione franca), parlano di invasioni di Slavi in Friuli, e tracce di questo insediamento sono rimaste in tutto il Friuli nei nomi dei paesi da loro creati od occupati (es. Gradisca, Gradiscutta, Pasian Schiavonesco, Sclaunicco, Giassicco, Dolegnano, ecc.).

In un primo tempo è probabile che gli stessi Longobardi abbiano chiamato alcune famiglie di “Slavi” a coltivare le loro terre soprattutto nella pianura friulana spopolate a causa delle continue guerre e pestilenze.
Abbiamo visto come le Valli del Natisone (soprattutto la zona alta delle Valli) fossero terreno familiare agli Slavi carinziani che facevano continue scorrerie e organizzavano anche dei veri scontri armati in questa zona contro i Longobardi.
E’ probabile anche che fin dalla II~ metà del VI sec. alcuni di essi si siano insediati stabilmente in queste valli (almeno nella parte alta).

Successivamente nel X sec. altri Slavi dalla Carniola furono chiamati dal patriarca d’Aquileia a ripopolare i campi del Friuli devastati dagli Ungheri, analogamente a quanto fecero soprattutto nel X110 sec. alcuni vescovi tedeschi chiamando nell’attuale Slovenia coloni dalla Carinzia (come riferisce Josip Gruden, a pag. 74, 10 fasc. nella sua “Zgodovina slovenskega naroda” (“Storia del popolo sloveno”)).
Simili insediamenti erano avvenuti anche nell’Istria franca, come ci prova un documento del Placito di Risano (‘804), dove le città litoranee dell’Istria protestano contro il Duca franco Giovanni perchè:
“Insuper Slavos super terras nostras posuit; ipsi arant nostras terras, et nostros roncoros, segant nostra prata, etde ipsas nostras terras reddunt pensionem Joanni”.

Come riferisce Grion G., pag. 33 dell’op. cit., gli Istriani “tre anni dovettero pagare le decime, anzichè alla Chiesa, agli Slavi” chiamati da Giovanni a lavorare i loro campi.
Abbiamo anche qualche traccia di insediamenti di friulani in Slovenia al tempo del patriarcato (alcuni nomi di paesi, come Laško, Lahovče, Lašiče, Laski rovt, testimoniano di questi insediamenti, come riferisce Josip Gruden a pag. 77, op. cit., fascicolo I°.

Questo e altri esempi dell’epoca dimostrano che simili insediamenti erano abituali in quel tempo e per lo più avevano uno scopo politico ben preciso: assimilare il popolo soggetto gradualmente mediante iniezioni successive di persone con lingua e tradizioni propri del signore del luogo.
Questa politica ò perseguita già dai Franchi anche a livello religioso con l’immissione di propri vescovi tedeschi nelle terre occupate (e ciò si verifica sia in Slovenia che in Friuli, dove l’imperatore tedesco favorisce per l’elezione a patriarca propri vescovi tedeschi).

Le Valli del Natisone sotto il Patriarcato di Aquileia

Già Carlo Magno aveva creato personalmente come patriarca d’Aquileia San Paolino. Abbiamo visto come i patriarchi d’Aquileia e le famiglie nobili sono le due nuove forze che si fanno strada soprattutto sotto i successori di Carlo Magno.
Infatti questi imperatori avendo bisogno di aiuto militare contro gli Ungheri soprattutto, ma anche contro gli altri popoli, beneficiano quelle forze che tale aiuto possono loro dare: i nobili, il patriarca d’Aquileia, le abbazie e le città.

Ma tra tutti costoro quello che ne trae i maggiori vantaggi ~ il patriarca d’Aquileia. Già Berengario aveva concesso terre al patriarca Federico, poi altre concessioni vengono fatte al patriarcato dal re Ugo e soprattutto dagli Ottoni e da Corrado II.
Il patriarca Sigehard sa approfittare anche della lotta delle investiture, schierandosi dalla parte dell’imperatore Enrico IV contro il papa Gregorio VII, ottenendo così in cambio larghe concessioni territoriali: ottenne infatti così il comitato del Friuli, la dignità ducale, vari feudi e la marca di Carniola. Anche le Valli del Natisone in questo periodo cadono sotto la giurisdizione del patriarcato.
Il patriarca, trovandosi in difficoltà economiche, spesso alienava per denaro il suo diritto di giurisdizione su certi feudi a un nobile o, talvolta, a più famiglie nobili, così che al— le volte su un territorio esiguo esercitavano in comune il diritto giurisdizionale più nobili.
Addirittura certe volte il patriarca concedeva a qualche nobile perfino il diritto di prelevare per sè la decima.
Il patriarca diventa così man mano un potente signore feudale e a sua volta concede terre con le giurisdizioni connesse a monasteri, abbazie, città e famiglie nobili.
E’ la sorte che tocca a gran parte del territorio delle Valli del Natisone che vengono spezzettate e concesse come piccoli feudi a vari nobili, al capitolo di Cividale, al monastero di Santa Maria in Valle, e così via.

In assenza di dati precisi è difficile stabilire approssimativamente guariti nelle Valli fossero piccoli proprietari terrieri più o meno indipendenti dai signori del luogo o quanti fossero piccoli artigiani e commercianti. Naturalmente 1’ imperatore tedesco favorisce il succedersi sul seggio patriarcale di vescovi tedeschi.
Di riflesso i patriarchi di origine tedesca concedono ampie concessioni terriere a familiari e parenti, ed è così che va sempre più aumentando in tutto il Friuli e anche nelle Valli dei Natisone il numero di signori feudali tedeschi con propri castelli e possessioni terriere, che avranno tanta importanza nella storia del Friuli e delle Valli del Natisone in particolare.
Il patriarca altre volte deve tollerare contro voglia le usurpazioni territoriali di potenti famiglie che spadroneggiano sempre più sui territori a loro assegnati, non solo esigendo tributi (ca— nani pagati in prodotti agricoli o in denaro) dai contadini soggetti, ma nei territori più difficilmente controllabili, quali le Valli del Natisone, anche organizzando. razzie con i loro armati e depredando relativamente alle Valli i contadini e i mercanti che si recavano a Cividale e nella bassa friulana a barattare i loro prodotti.
Gli abitanti delle Valli si dedicavano allora principalmente allo allevamento e all’agricoltura.
L’allevamento era concentrato soprattutto sui pascoli del Matajur e del M. Mia e, in generale, nelle zone più alte, mentre l’agricoltura veniva praticata più diffusamente nella zona pianeggiante.
Più tardi, con l’incremento della produzione agricola che viene a superare il proprio fabbisogno, aumenta la necessità di barattare i propri prodotti e di commerciare soprattutto con i friulani vicini.
Un’occasione particolare di smercio dei propri prodotti era rappresentata dalle fiere che, dal ‘200 in poi si fanno sempre più frequenti.
Particolare importanza ebbe in questo periodo per i traffici commerciali, la strada che passando per la valle del Natisone congiungeva Tolmino, la valle dell’Idria e la Carinzia a Cividale.

Non abbiamo molti ragguagli sul tipo di rapporti che intercorrevano nell’ambito del territorio delle Valli tra i contadini soggetti e i loro signori, fin dal tempo dei Franchi, ma grosso modo i rapporti dovevano essere di tipo feudale, analogamente a quanto succedeva nello stesso periodo nel resto del Friuli, in Carinzia e nelle zone viciniori sulle quali abbiamo maggiori documentazioni in proposito.
Da quel che si può capire, i contadini (delle Valli del Natisone in particolare, in quanto zona periferica), subivano continue vessazioni e razzie, tanto che da documenti tardi sappiamo che chiesero più volte l’aiuto della città di Cividale e del patriarca ed in seguito della Repubblica Veneta contro questi potenti.
Se ai canoni in natura, alle razzie e violenze di ogni genere, alle decime che dovevano pagare alle chiese, aggiungiamo le continue lotte tra i signori del luogo, dei signori contro le città e contro il patriarca, le incursioni periferiche di nemici esterni (quali gli Ungheri) ci facciamo un’idea della vita dei contadini sotto i Franchi e sotto il patriarcato.
Il patriarca, oltre che con potenti signori feudali doveva fare i conti con una nuova forza politica emergente: le varie città che, beneficiate con donazioni e privilegi da vari imperatori, erano assurte a comuni e rivendicando la propria autonomia, lottavano continuamente con le forze feudali per strappare loro nuove terre e nuovi diritti.
Soprattutto sotto il patriarcato nelle Vai— li del Natisone parecchi terreni prima incolti (chiamati dagli Slavi “puste”, “pustote”) dovettero essere messi a coltura, proprio perchè il patriarca aveva sempre maggior bisogno di nuove entrate per le spese a cui andava incontro e per conseguenza la sua pressione relativamente alle entrate fiscali sui suoi soggetti tendeva ad aumentare sempre di più.
Il patriarcato aveva potenti nemici che confinando con le terre soggette alla sua giurisdizione, approfittavano di ogni momento di debolezza: da una parte il comune di Treviso, che cercava di estendersi al dì qua del Livenza, dall’altra i conti di Gorizia, l’isola di Grado e Venezia.
Più tardi, dal X1110 sec. in poi, la vita del patriarca diventa sempre più difficile, perché deve destreggiarsi come mediatore o alleato tra papa e imperatore e tra vescovi e conti.
Inoltre i soggetti diventano sempre più ribelli alla sua autorità, agendo da padroni sulle terre assegnate loro in amministrazione e guerreggiando tra di loro o facendo lega contro il patriarca.
Particolarmente triste fu per tutto il Friuli la seconda metà del XIV sec., quando, per l’indebolimento del Patriarcato i Camuni di Treviso e Padova rinnovano i loro attacchi contro di esso e inviano truppe di mercenari in aiuto ai Cividale si contro Udine e il patriarca.
Ma questi soldati di Ventura per la loro indisciplina e avidità di razzie si rivelano un flagello peggiore dei Turchi che a più riprese saccheggeranno il Friuli.

Le Valli del Natisone sotto la Repubblica Veneta

Nel 1419, quando Cividale si schierò con Venezia contro il patriarca e la città di Udine, come sempre a subirne le conseguenze furono anche le Valli del Natisone; infatti, come riferisce Grion O. (op. cit. pag. 84) gli “Ongari (che davano man forte al patriarca (a)) corse in Schiavonia, et rubarin per tutto, e tolse la foran de Landri (Rocca d’Antro (a)) et S. Maria de Monte, e tajarin tutte le vide a torno la terra et brusarin tutte le nostre ville.., “poi continua dicendo che si spinsero fino a Pletz.

Nell’anno successivo (1420) anche le Valli del Natisone passarono sotto la Repubblica Veneta.
La Serenissima assicurava larga autonomia amministrativa e giudiziaria e l’esenzione da molte tasse (la Ducale 1492, 26 Settembre, parlando degli Slavi delle due Convalli di Antro e Merso, conferma loro i privilegi ottenuti
“habito praesertim respectu quod ultra quod sunt personae pauperes, sunt etiam illì soli, qui suis laboribus et impensis curam et onus habent custodiendi angustias illorum passuum et tenendi ipsos in ordine et bene securos ob respectum gentium barbarorum.”)
alle due Convalli di Antro e Merso, in cambio dell’impegno assunto dagli abitanti della zona di custodire a proprie spese e con propri armati i cinque passi di Pulfero, Clinaz, Luico (Livek), Clabuzzaro e S. Nicolò, e inoltre provvedere alla manutenzione della strada di Pulfero.
Sia i cinque passi come pure la strada di Pulfero stavano particolarmente a cuore a Venezia, oltre che per la difesa dagli stranieri anche per i commerci.

Gli armati impiegati per la custodia dei cinque passi erano 200 (i nomi dei passi risultano dal Decreto 8 set.
Non è stato trovato ancora alcun documento da cui risulti quando gli Sloveni delle Valli abbiano iniziato a difendere i cinque passi menzionati.
In merito si può concordare con il Grion quando nell’op. cit. alle pagg. 184—185, spiegando il fatto che il margravio franco Eriz— zo abbia chiamato nella zona delle Valli “un dugento famiglie slovene di limitanei”, lo motiva adducendo la diffidenza del margravio verso i Longobardi, “vinti ma non bene domi” e si può ritenere probabile che proprio in questi primi dodici anni di regno franco (776—788) il margravio abbia affidato a queste famiglie slovene il compito di custodire i confini.

Moltissime “Ducali” e “Decreti” (vedi Carlo Podrecca, “Slavia Italiana”, 1884: pag. 67 — Decreto 30 settembre

1622, del Provveditore di Cividale; pag. 67 — Decreto 8

settembre 1655, di Gb. Alvise Falier; pag. 68 — Ducale

1663, 11 aprile; vedi Podrecca C. “Slavia Italiana — Istituti Amministrativi e Giudiziari” — Cividale 1887: pag.105—

— Ducale 1658, 12 ottobre, di Giovanni Pesaro; pag. 105 —

— Decreto 9 ottobre 1659 del Provveditore di Cividale) rilevano l’importanza di questi passi soprattutto in tempo Oltre all’esenzione dalle imposte e ai vari privilegi, le Convalli di Antro e Merso godevano di una vera autonomia (c).

Venezia fu così larga nei confronti degli abitanti delle due Convalli perchè concedendo larghi privilegi e autonomia agli abitanti sopraddetti, riusciva a tenere meglio a freno i castellani del luogo e le continue rivendicazioni sulla Schiavonia della confederata Cividale.
Ma gli abitanti delle due Convalli non ebbero vita facile neppure sotto Venezia, in quanto nonostante avessero ottenuto maggiori privilegi ed una autonomia relativamente maggiore rispetto al periodo patriarcale, tuttavia i rapporti tipicamente feudali tra i giurisdicenti (coloro che detenevano la giurisdizione su un determinato territorio) del luogo e i contadini rimasero pressochè immutati.
I contadini erano sempre soggetti al pagamento di aliquote sui prodotti agricoli ai propri giurisdicenti; inoltre una sfortunata serie di guerre, carestie ed epidemie si abbattè sugli Sloveni delle due Convalli soprattutto nel secolo XVI0 (si pensi alla peste del 1575 e al terremoto del 1511).
Abbiamo una riprova di queste mutate condizioni di vita anche nel decremento demografico che risulta da una relazione del 1637 del Provveditore Paolo Balbi, il quale contava appena 4.000 abitanti, in netta diminuzione rispetto al periodo precedente.

Non si può certo dire che le due Convalli sotto Venezia conobbero un periodo di pace. Anche se le guerre non furono così frequenti come nel periodo patriarcale, in compenso furono più gravi.
Particolarmente disastrose furono le continue scorrerie dei Turchi che devastarono tutto il Friuli a più riprese (nel 1472, nel 1477 oltrepassa— no il Tagliamento e nel 1478 tornano di nuovo). guerra non bastasse, nel 1511 oltre ad un violento terremoto che semidistrusse Cividale, scoppiò pure la peste che infierì sulla città (e quindi probabilmente anche nelle due Convalli) e a Gradisca.
Finalmente il trattato di Noyon (15 agosto 1516) pose fine alla guerra.

In seguito, nel periodo 1615—17, la Repubblica, per conservare il dominio del mare Adriatico, intraprese un’altra guerra detta di Gradisca o degli Uscocchi (fuorusciti Croati).
Nel corso di queste guerre e precisamente nell’agosto 1616 (come ci riferisce S. Ruttar nell’op. cit., a pag. 157) Erizzo raccimola un gran numero di soldati (e tra questi parecchi Sloveni) e occupa Kobarid, ma il signore di Tolmino Gaspare Dornberg alla testa di pochi soldati si avvia alla volta di Cividale.
Passando per le Valli del Natisone ne incendia alcuni villaggi e uccide molto bestiame.

Note

(a)
Parentesi tonde dell’autore.

(b)
Vedi in proposito Podrecca C. op. cit. — 1884, pag. 59 Ducale 1455, 16 luglio, che conferma le lettere ducali 1450, 15 novembre, ed esonera gli Slavi dalla contribuzione di legnami e di paglia per le navi, “considerata conditione montanearum istarum et situ ac paupertate earum”;

pag. 61 — Ducali 1550, 31 agosto; 1559, 10 marzo; 1579, 12 settembre; e 1668, 21 marzo, le quali ordinano “di non astringere gli abitatori delle Convalli a gravezze e di osservare le loro solite et antique immunità”;

pag. 61 — Decreto 1622, 30 settembre, del Provveditore di Cividale che in base agli ordini del Senato “fa pubblicamente intendere come gli habitanti delle Convalli di Antro e Merso come dalla pubblica munificenza vengono conservati esenti d’ogni dazio”;

pag. 62 — Ducale 1635, 19 maggio, che afferma che dalle Convalli non si deve richiedere il dazio carni col soldo per lira;
Ducale 1635, 18 Ottobre, che parla dell’esenzione dal dazio per macina;
Ducale 1636 10 giugno, che esenta la Schiavonia dal pagamento della Tansa;
poi le lettere del Senato, 18 e 28 marzo 1642, sull'esenzione delle Convalli dal dazio acquavite;
segue la pratica sull’esonero dal dazio del vino;

pag. 63 — Ducale 1652, 5 ottobre, sull’esenzione dalle gabelle e dal dazio per macello; 1656, 3 giugno — Lettere del Senato’ sull’esenzione delle Convalli dalla Tansa;

pag. 64 — 1658; 3 novembre — I Presidenti Savi del Senato che “... non sieno molestate le convalli di chi si sia per qualsivoglia gravezza o altra imposizione”;
1660, 13 settembre — I venti Savi del Senato ordinano al Provveditore di Cividale “che siano mantenuti i privilegi delle Convalli infinite volte confermati dal Senato”;

pag. 64 — 65 — Ducale 1663, 11 aprile”... li Populi d’Antro e Merso restano dichiarati liberi, immuni et esenti da ogni et qualunque gravezza”;
1668, 14 dicembre — Dei venti Savi, che esonerano le Convalli dalla contribuzione dei galeotti;
1722, 10 luglio — Ordinanza degli Inquisitori di Terraferma che esenta le Convalli dal pagamento del Campatico.

Poi in “Slavia Italiana — Istituti Amministrativi e Giudiziari” — Cividale, 1887 — a pg. 107 — Ducale 1464, 15 ottobre, nella quale si precisa che se in qualche lettera ducale fosse scritto esenti e non esenti non s’intenda il secondo caso per la Schiavonia, se non quando verrà fatta espressa menzione di lei;
Ducale 1492, 26 settembre; del Consiglio dei Dieci, 1532, 17 maggio, al Provveditore di Cividale;

pag. 112 — 1665, 21 gennaio — del Collegio dei Savi al Provveditore di Cividale — che infligge una multa di 500 ducati a chi infierisca contro gli abitanti delle Convalli;
Ducale 1772, 28 agosto, che esenta le Convalli dalla notificazione di beni, dal pagamento di Carnpatico e da “qualsivoglia gravezza”.

(c)
Si veda in proposito Podrecca C. — “Slavia Italiana — Istituti Amministrativi e Giudiziari” Cividale, 1887 —

a pag. 113 — Ducale 1658, 12 ottobre,che dichiara gli abitanti delle Convalli separati “non solo dal territorio stesso di Cividale, ma dalla patria ancora”;


Ducale 1660, 8 febbraio — il Senato conferma che le Convalli debbano intendersi separate dal territorio, Città e Patria.Ducale 1662, 2 marzo —

Lettere dei Presidenti 20 Savi dei Senato che richiamano le precedenti fino alla Ducale 1492, 12 settembre, e si pronunciano nello stesso senso;

Ducale 1663, 12 aprile — che, come già quella dei 1658, ribadisce la separazione delle Convalli “non solo da Cividaie e suo territorio, ma dalla Patria stessa”;

Ducale 1788, 2 aprile — una delibera del Senato che dimostra come la Schiavonia “come una nazione diversa e separata dai Friuli” si governava da sé.

(d)
I Turchi, avidi di bottino, erano particolarmente attirati dalla ricca pianura friulana ed anche se qualche banda periferica di essi arrivava fin nelle due Convalli, per lo più si limitava a saccheggiare la zona pianeggiante, perché nella parte alta gli abitanti delle due Convalli avevano buon gioco contro di essi, favoriti come erano dai boschi e dalle cime dei monti dove si ritiravano o nei castelli o attorno a chiesette che all’uopo erano trasformate in vere e proprie fortificazioni
(si pensi alle chiesette votive che pullulano nella zona risalenti più o meno tutte a questo periodo, 1300 — 1500).

— Si veda in proposito Olinto Marinelli in”Guida delle Prealpi Giuiie”, ed. Atesa;
ed anche il lavoro monografico di D’Alano p.R., “Gli ignorati affreschi delle chiesette votive della Slavia friulana”, in “Val Natisone”, Udine, Soc. Fil. Friul., Doretti.

Le Valli dopo il 1866 *

Al plebiscito del 1866 tutti i Valligiani aventi diritto al voto, meno uno, votarono questa formula:
“Dichiariamo la nostra unione al Regno d’Italia sotto il Governo monarchico—costituzionale del Re Vittorio Emanuele Il, e dei suoi successori”.
Come i plebisciti di quel tempo in generale, anche questo plebiscito non era che una formalità per ratificare una conquista già avvenuta che comunque non si sarebbe più potuto scavalcare.
Inoltre gli aventi diritto al voto erano allora pochissimi, cioè solo quelli che avevano un certo censo, quindi praticamente i grossi proprietari. Anche se si escludesse le possibili “manipolazioni” prima, durante e dopo l’operazione di voto, sarebbe spiegabile comunque la opzione per il Regno d’Italia, se si considera che i votanti avevano già provato la gravosa fiscalità austriaca e non avevano ancora provato quella del Regno d’Italia che si sarebbe rivelata ben peggiore, inoltre probabilmente la maggior parte di essi identificava il Regno d’Italia con una nuova “Repubblica di Venezia”.
Il Regno d’Italia allora sembrava incoraggiare tali aspettative, perchè fu largo di promesse in tale occasione, come risulta tra l’altro da un articolo del “Giornale di Udine” del 22 novembre 1866 (a).
Inoltre si promise scuole slovene e in particolare un istituto magistrale per la formazione degli insegnanti che avrebbero dovuto poi operare nelle scuole delle Valli.

Ma il Regno d’Italia, assicuratosi il territorio delle “Valli”, seguì una politica ben diversa da quella preannunciata in fase elettorale.
Ben lungi dal rispettare il patrimonio di tradizioni, cultura e lingua degliSloveni delle Valli, cominciò con la costruzione in loco di scuole di lingua esclusivamente italiana.
Ebbe inizio così l’italianizzazione di massa degli Sloveni delle Valli.
Nel 1867 il toponimo originale del paese più rappresentativo delle Valli “Svet Petar Slovenov” fu sostituito con “S. Pietro al Natisone”.
Inoltre venne proibito nelle scuole l’uso sia dello sloveno locale sia dello sloveno letterario (b).

Nel 1877 venne istituito il promesso “Istituto Magistrale femminile” di S. Pietro, per formare giovani slovene all’insegnamento elementare in lingua italiana. Oltre a queste “pressioni culturali”, si fece sentire nelle “Valli” la fiscalità del Regno italico, ancora più gravosa di quella austriaca.

*
Per il periodo storico dal 1797 al 1866 vedi le considerazioni fatte relativamente alla situazione delle Valli sotto la dicitura “Ordinamenti politico—amministrativi e giudiziari dal 1797 al 1866”.
Giorgio qualizza
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