Trubar e gli sloveni della Benecia


Quest'anno ricorre il 500° della nascita del riformatore sloveno
Da almeno 600 anni risuona a Natale in qualche chiesa delle Valli del Natisone il «Te dan je vsega veselja» (Questo giorno è di grande gioia), il solenne inno che canta l’insondabile mistero dell’incarnazione e della nascita di Cristo con immagini di tale immediato impatto e comprensione da diventare un modello per altre composizioni sacre slovene.
Queste, accanto alla pittura e alla scultura, sono diventate la Bibbia e il catechismo non solo dei poveri e degli analfabeti.

Il «Te dan je vsega veselja» fu pubblicato per la prima volta nel «Catechismus in der windischen Sprach» (Catechismo in lingua slovena), il primo libro sloveno dato alle stampe nel 1550 da Primož Trubar, il padre della lingua letteraria slovena del quale quest’anno si celebra il 500° anniversario della nascita (Raščica 1508 - Derendingen 1586).
E Trubar scrive del canto come «Ta stara božična pejsen» (il vecchio canto natalizio), la cui origine gli esperti in materia collocano almeno all’inizio del ‘400.
Nella suo «Catechismus» Trubar riporta anche la sequenza pasquale »Jezus je od smarti ustù« (Gesù è risorto dalla morte), altro antichissimo canto che ancora si sente nelle chiese delle Valli del Natisone.

Il collegamento tra la Benecia, Trubar e la cultura del suo tempo non è, quindi, casuale e senza evidenti implicazioni rispetto alle polemiche sull’appartenenza o meno dei dialetti delle Valli del Natisone, del Torre e di Resia all’area linguistica slovena e sui disegni di legge - in particolare i loro preamboli - presentati dal centrodestra in consiglio regionale.

Ai tempi di Trubar la Benecia apparteneva a pieno titolo all’area culturale slovena e ha continuato ad esserlo fino ai giorni nostri pur con le particolarità e i ritardi dovuti alle circostanze storiche.

Se si leggono i testi del riformatore sloveno, si noterà una grande somiglianza con lo sloveno predicato nelle chiese delle Valli del Natisone fino a qualche decennio fa e quel «Matevž» nel titolo »Ta evangeli svetiga Matevža« (il Vangelo di Matteo) è identico al «Mateuž» usato da don Giuseppe Jaculin nel suo «Vangel svetegha Mateuža«, pubblicato nel 1998.

Dieci anni prima della nascita di Primož Trubar, il sacerdote sloveno Lorenzo di Mernico, trascriveva sul registro della Confraternita di Santa Maria di Castelmoste il Padre nostro (Oratio dominicalis sclauonice) l’Ave Maria (Salutatio angelica) e il Credo (Symbolum apostolicum).

Queste formule venivano usate nel santuario mariano dai sacerdoti e dai pellegrini sloveni provenienti dalle Valli del Natisone, del Judrio e dell’Isonzo, molti dei quali si iscrissero alla confraternita e i loro nomi documentano questa massiccia presenza slovena.
In quei decenni, inoltre, fu compilato il noto «Catapan» dl Cergneu, sorto nell’ambito della confraternita di Santa Maria di Cergneu superiore - Gorenja Čenjeja e contiene i legati dei fedeli delle frazioni degli attuali comuni di Nimis, Taipana e Lusevera e su fino a Breginj / Bergogna per la celebrazione di sante messe in suffragio delle loro anime o quelle dei loro congiunti.
Questi due manoscritti sono ritenuti tra i più antichi ed importanti «monumenti» della lingua slovena.

Non va dimenticato, inoltre, che a cavallo trail XV e XVI secolo alcuni artisti della fiorente scuola architettonica e pittorica di Škofja Loka operarono nelle Valli del Natisone, ricostruendo in stile tardogotico le chiese, danneggiate dal terremoto del 1511, e abbellendole con efficaci affreschi.

Loro mentore fu pre’ Klement Naistoth, pure lui di Škofja Loka, che fu vicario di San Pietro al Natisone fino alla sua morte avvenuta nel 1531.
Pre’ Klement fu uomo di cultura, di larghe vedute, poliglotta, che nel 1487 accompagnò il vescovo Pietro di Caorle nella visita pastorale in alcune parrocchie dell’attuale Slovenia.

Anche dopo il 1521, quando sorse confine di stato tra la Slavia friulana e la Valle dell'Isonzo le relazioni tra i sacerdoti e la gente continuò senza nessun ostacolo.
Ci fu un’osmosi culturale, linguistica e di rapporti umani che portarono ad un’evoluzione culturale e dei dialetti locali altrimenti non si spiegherebbero le differenze tra le parlate attuali e quelle documentate negli ultimi secoli.
I libri sloveni, le raccolte dei canti sacri, i manoscritti delle prediche conservati negli archivi parrocchiali e poi i catechismi stampati testimoniano non solo l’appartenenza di questi dialetti all’area linguistica slovena, ma anche la grande vitalità e l’alto livello letterario raggiunto dalla comunità slovena della provincia di Udine.
LM.
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