TOPONIMI del Comune di San Pietro al Natisone

Božo Zuanella ha fatto una ricerca sul significato dei toponimi di tutti i paesi delle Valli, pubblicata a suo tempo ( anni 1980-86) su DOM. E' augurabile che quanto prima questo lungo lavoro, assieme a quello sul significato dei cognomi, diventi oggetto di pubblicazione. Nel frattempo chi lo desidera può consultare il significato del nome del suo paese su Lintver. Il nome del paese può essere ricercato col motore di ricerca interno.

Most

(" Do par Mùoste, dol od Mùosta ").

Dalla " Historìa Langobardorum " di Paolo Diacono (c. 720-799) libro V, cap. XXIII:

" ...Avendo la gente degli Slavi saputo che egli (Vettari) era partito per andare dal re in Ticino, radunarono un gran numero di uomini per assalire la città di Cividale; avvicinandosi (alla città) si accamparono in una località detta Broxas non lontana da Cividale ".

Però la sera prima Vettari ritorna improvvisamente a Cividale e muove contro gli Slavi con un piccolo manipolo di soldati. Gli Slavi, vedendolo arrivare, presero a deriderlo ma " Vettari, avvicinatosi al ponte del Natisone, posto nel sito dove si erano accampati gli Slavi, levatosi l'elmo (era calvo) mostrò agli Slavi il suo volto ". Questo fatto e la successiva battaglia tra Slavi e Longobardi avvenne attorno all'anno 664. Ora analizziamo il testo.

1) Il " ponte del Natisone " non è altro che l'attuale Ponte San Quirino.

Con grande probabilità non esistevano allora, sul corso superiore del Natisone, fino a Stupizza, altri ponti ma soltanto guadi (ad es. quelli di Brischis/Brišče o di San Pietro).

Il nome stesso dato dagli Sloveni alla località lo conferma: Muost, per gli Sloveni, è " il ponte " per antonomasia. Se ci fossero stati altri ponti importanti lungo il corso superiore del Natisone gli Sloveni lo avrebbero chiamato con un nome specifico, alla stregua dei Friulani i quali, per distinguerlo da altri ponti che conoscevano (ad es. " il ponte del diavolo ", " il ponte di Premariacco "), hanno dovuto dargli un nome particolare: " Ponte San Quirino ", dalla omonima antichissima chiesetta di San Quirino presso San Pietro.

2) La località di " Broxas ", nonostante il parere di illustri storici che la identificano con l'attuale Brischis/Brišče, doveva trovarsi con molta probabilità, e il brano citato lo conferma, nei pressi del " ponte del Natisone ".

Abbiamo già visto che a Brischis, lambita dalle acque del Natisone, esisteva soltanto il guado e quindi non c'era la necessità di costruire ponti. Per la ubicazione di " Broxas " nei pressi del Ponte San Quirino si era già espresso Simon Rutar (cfr. " Beneška Slovenija ", Ljubljana 1899, pag. 106 dove cita il Porcia il quale afferma: " San Quirino, ove già fu la villa, detta Brossa " (" Descrizione della Patria del Friuli ", pag. 65).

Probabilmente anche la Porta Brossana di Cividale e l'omonimo borgo traggono origine dalla località di Broxas; infatti dalla porta Brossana iniziava la strada che conduceva alla località di Ponte S. Quirino e alle Valli del Natisone. Un tempo era consuetudine dare alle porte delle città il nome delle località più importanti verso cui erano orientate (ad es. a Udine abbiamo, tra le altre, la " porta Aquileja " che ha dato il nome all'omonimo borgo Aquileja).

In un documento del 1212 viene citata una " porta ambrosiana ", che si riferisce alla Porta Brossana di Cividale (di Prampero A.: " Saggio di un glossario geografico friulano dal VI al XIII secolo", Venezia 1882, pag. 119). Penso si tratti di una erronea interpretazione di Brossana nella quale era caduto anche lo storico Candido citato da Marcantonio Nicoletti (+ 1596) nel suo manoscritto: " Il ducato del Friuli " stampato a Pradamano (Udine) nel 1928. Scrive il Candido: " Wectaris... Carnuntonum quinque millia, qui apud Iuliense oppidum in Ambrosio apud Natisonis Pontem castrametati fuerunt, collatis signis delevit "; a questa affermazione ribatte il Nicoletti scrivendo che il Candido " fece errore pervertendo la Brossa in Ambrosio ", infatti: " Forogiulio giaceva (come è hoggidì) appresso il Natisone, nè molto lungi si vedeva il luogo di Brossa, dalla quale serva ancora la denominazione di Borgo Brossano" (pagg. 7-8).

E Carlo Podrecca nella sua " Slavia Italiana " (Cividale, 1884) fa notare che " sopra la porta della pubblica loggia del borgo Brossana di Cividale veniva collocata una lapide in marmo con la seguente iscrizione: Non procul hinc Broxas est in finibus Antri / Qui nomen tibi Porta dedit Broxana vetustum..." (pag. 17).

3) Che Broxas non possa essere Brišče/Brischis di Pulfero lo confermerebbe la seguente osservazione: come poteva il duca Vettari, avvicinandosi al " Ponte del Natisone " mostrare la sua faccia agli Slavi se questi erano accampati a Brischis/Brišče distante dal Ponte San Quirino circa 6-7 km.? Io credo che la prima battaglia tra Slavi e Longobardi verso il 664 si sia svolta probabilmente nella piana presso il ponte S. Quirino dove, a detta del Podrecca (o.c.) "si trovarono innumere ossa ed armi, prova di quella strage" (pag. 17) e tuttora vengono alla luce reperti antichi. Che gli Slavi fossero allora accampati "non lontano da Cividale" e che il pericolo per la città fosse reale e incombente lo conferma anche il fatto che Vettari, appena giunto da Ticino, si muove immediatamente e senza particolari preparativi verso la linea fortificata, il cosiddetto " limes" longobardo che passava per la località di Ponte San Quirino, naturale punto strategico e facilmente difendibile.

Probabilmente gli Slavi eludendo o travolgendo gli avamposti longobardi e i distaccamenti militari al di fuori della linea fortificata (ad es. Antro) si erano fermati o erano stati costretti a fermarsi davanti a questo cistacolo. Infine, se gli Slavi abitavano allora già sui monti della Slavia e non soltanto nella valle dell'Isonzo, è presumibile che siano calati dalle montagne alla confluenza delle Valli (Ponte di san Quirino) e non a Brischis, luogo abbastanza decentrato e infido dal punto di vista strategico. Alcuni sostengono che l'incursione slava del 664 si sia svolta nei pressi dell'attuale Brischis dato che nei pressi esiste il microtoponimo " tepeno puoje " (campo di battaglia); a parte il fatto che " tepeno puoje" può avere ed ha probabilmente un significato diverso, mi risulta che la località si trova a sud di Tarcetta e quindi abbastanza lontana da Brischis (è di fronte a Perovizza).

Ho fatto questa lunga disgressione storica per dimostrare soprattutto che il toponimo Brišče/Brischis non si può con certezza identificare con Broxas. Se le mie osservazioni risulteranno esatte allora Brišče è un toponimo molto diffuso nell'area slovena e come tale dovrebbe essere trattato.

La esatta determinazione di " Broxas " (nei pressi del " ponte del Natisone ") rimane un problema tuttora aperto. La forma dialettale Muost (Ponte) è sorta dalla regolare dittongazione della lettera o di Most.

Numerosi sono nell'area slovena i toponimi che si richiamano a " Most "/Ponte. Ne Citiamo solo alcuni: Moste, Mostič, Mostec in Carinzia, Most na Soči (un tempo Sveta Lucija) e Moste in Slovenija; " Na muoste" è invece il nome di una località presso Kranjac/Crisnero di Savogna sita accanto al ponte gettato sull'Alberone/Aborna.

Da notare infine che Mùost/Ponte San Quinino segna, dal tempo della colonizzazione slava del Friuli il confine etnico-linguistico tra Slovenj e Friulani.

Dolenj Barnas

Le frazioni di Dolenj Barnàs.

Abbiamo già notato che Dolenj Barnàs (Vernasso) è formato da diverse frazioni le più importanti delle quali sono Dolenje e Gorenje (Vernasso Basso e Alto); qui di seguito cercheremo di spiegare l'etimologia degli altri piccoli borghi o casali situati nei pressi (Hlieve, Bikunjak e Mohorin).

HLIEVE (it. Clevis)

E' la forma dialettale plurale dello sloveno " hlevi " (stalle) in cui si nota la solita dittongazione della e in ie.

Questo toponimo presuppone l'esistenza di rustici (stalle, casoni, recinti o pascoli) adatti all'allevamento del bestiame. Clevis invece non è altro che la forma slovena adattata alla grafia italiana cui è stato aggiunto il suffisso plurale friulano -is.

I toponimi e microtoponimi del tipo "hlev " (stalla) e simili sono numerosissimi soprattutto nella valle dell'Isonzo e nel Goriziano; ne cito alcuni: Hlev, Hlevec, Hlevnik, Hleven vrh, Hleviške planine, Hlevišče, Hleviše ecc. (Cfr. France Bezlaj, ESSJ, pag. 197).

Un microtoponimo Hlevac (it. Clivaz) è presente anche nella Val Resia un altro (Klevišče) a Platischis mentre nelle Valli del Natisone ne segnaliamo due a titolo esemplificativo: Hlevišča (sulle pendici del Matajur) e Hlievinca nei pressi di Tercimonte. La presenza di questi microtoponimi documenta una intensa attività nel campo della pastorizia e dell'allevamento del bestiame.

Hlieve (Clevis) è una borgata ormai completamente abbandonata a ridosso del Mladesiena.

BIKUNJAK (it. Bicugnac)

Anche questo toponimo è legato alla pastorizia e all'allevamento del bestiame. Si tratta di uno zootoponimo (località che ha tratto il nome da un animale) e deriva dallo sloveno " bìk " (dialetto: " bàk " - toro).

Bikunjak deriva dall'aggettivo Bikov + il suffisso -njak e significa: luogo dove vivono o pascolano i tori (pascolo o allevamento dei tori); il gruppo ov di Bikovnjak si è trasformato, nel dialetto sloveno delle Valli regolarmente in u.

A questo punto è bene notare che non solo il gruppo ov (scritto anche o1) ma anche il gruppo av (scritto: al) si trasforma spesso all'interno, ma soprattutto alla fine di parola, in u. Cito alcuni esempi: Gabrovica > Gabruca; " sem dolžan (sono debitore) > " san dužan "; " pokrov "(coperchio) > " pokrù "; sol (sale) > " su "; " sem jokal (ho pianto) > " san joku "; " sem delal" (ho lavorato) > " san dielu "; " delavnik" (giorno feriale) > " dielunik " ecc.

La stessa trasformazione dialettale avviene per il gruppo el (pronuncia eu) in fine di parola, ad es.: pekel" (inferno) > " pakù "; " sem padel " (sono caduto) > " san padu "; " sem jedel" (ho mangiato) > " san jedu "; " sem še1 " (sono andato) > " san šu "; " kotel " (caldaia) > " kotù " ecc.

Altri microtoponimi presenti sul nostro territorio che possiamo collegare a Bikunjak e all'allevamento del bestiame sono ad es.: Volovnjak nei pressi di Barza di Montemaggiore che significa " luogo dove vivono o pascolano i buoi" (Voi = bue); Govejak (presso Montefosca) = " pascolo di bovini)) (sl. govedo = bestiame bovino), za Govejak (Platischis); Kravjak (sui Matajur) " pascolo di mucche "; da notare che "govejak" e " kravjak " nel dialetto sloveno delle Valli non significano, come nella lingua slovena letteraria, " sterco di bue o di mucca)) ma " il pascolo o l'allevamento di questi animali ".

Ai microtoponimi sopra elencati aggiungiamo anche il notissimo toponimo Kravar (it. Cravero) presso San Leonardo. Kravar significa "vaccaro)) (inglese: cow boy); il paese ha preso il nome da un pastore (kravar) che per primo si è insediato in quella località. Di Kravar/Cravero ci occuperemo in seguito.

Da notare anche il micro toponimo Konjàr (" do par Konjarje ") presso Bijača/Biacis di Pulfero. Un tempo gli abitanti di Varh / Spignon non erano collegati al fondovalle con la strada perciò hanno pensato di costruire a Biacis delle stalle per alloggiare i cavalli dei quali si servivano in pianura per il trasporto di merci. Konjar sarebbe la persona che accudisce o che si occupa dei cavalli (sl. " konj" = cavallo).

Ma torniamo di nuovo a Barnàs. Nei pressi del paese si erge il caratteristico " Monte dei bovi " da cui probabilmente ha preso il nome anche il castello di Guspergo (in tedesco Urusberg = "monte degli uri (buoi)" che si trova sul lato opposto della montagna; agli sloveni è noto come " Gurjon (" Gor na Urjòn") e significa appunto: " su, sul monte degli uri (buoi) " (cfr. Bruno Gujon, Le colonie slave d'Italia, Palermo 1927, pag. 31 dell'estratto dal IV vol. degli " Studi Glottologici Italiani ").

Termino qui la documentazione sulla pastorizia e l'allevamento del bestiame nelle nostre zone poiché il discorso ci porterebbe troppo lontano.

MOHORIN (it. Macorins)

Si tratta di un toponimo che deriva probabilmente da un nome di famiglia (" Mohorin "); sia la forma slovena che quella italiana (o meglio friulana con il caratteristico suffisso plurale in -ins) hanno avuto origine dall'agionimo (= nome di un santo) Hermagora (it. Ermacora) che con San Fortunato è patrono della Chiesa udinese e un tempo lo era di tutto il patriarcato di Aquileja, che si estendeva fino alla attuale Slovenia e alla Carinzia.

Hermagoras si è trasformato nel friulano Macòr e nello sloveno Mohòr; dalla forma slovena Mohor deriva ad esempio il toponimo Šmohor (ted. Hermagor) nella Ziljska dolina (Carinzia). Šmohor deriva dalla agglutinazione di šent (= sanctus) con Mohor; un'altro Šmohor è situato presso Laško in Slovenia e un Mohorjev hrib (monte di sant'Ermacora) è localizzato nella Slovenia centrale.

Numerosissimi sono nelle Valli i nomi di famiglia del tipo "Muhori ", " Muhoradi ", " Mohorovi " e " Mohorini "; da notare anche il diffuso cognome Macorig oggi presente anche nella area friulana del Cividalese (a. 1600 Matia Macorigh, a. 1698 Macorig di Oblizza); in questo caso si può ipotizzare, ma non necessariamente, un abbinamento della forma friulana Macòr con il suffisso slovena -ič.

Nell'area friulana è presente il cognome Macor e il cognome sloveno Mohorin è documentato nella parrocchia di San Leonardo nel 1639 (Mocorin). Il toponimo sloveno Mohorin di Vernasso è semplicemente il diminutivo in -in di Mohòr.

A questo punto dobbiamo segnalare anche la benemerita "Družba Svetega Mohorja " o " Mohorjeva Družba " (Sodalizio di Sant'Ermacora) fondata dal Vescovo A. Martin Slomšek nel 1851 con sede a Celovec / Klagenfurt; lo scopo di questa società era, ed è tuttora, quello di pubblicare buoni libri in lingua slovena. I primi tre abbonati alla Mohorjeva Družba nelle Valli del Natisone sono documentati già nel 1867; il loro numero cresce progressivamente negli anni seguenti e raggiunge nel 1910 la non indifferente quota di ben 337 abbonati.

Dopo la prima guerra mondiale la situazione politica in Europa cambia notevolmente e gli Sloveni delle Valli vengono messi nella condizione di non poter più ricevere i calendari e le pubblicazioni della Mohorjeva Družba; da notare che questi libri erano scritti nella lingua letteraria slovena e la nostra gente li leggeva senza difficoltà pur non avendo frequentato le scuole slovene.

Ciò dimostra in modo inconfutabile che il nostro dialetto non è nè " slavo " nè " paleoslavo " ma semplicemente sloveno.

NÒKULA (oppure NONKULA o Naukula) it. Oculis

" u Nokulah, iz Nokul "; gli abitanti: Nékulc.

a. 1300 in villa de Oculis; a. 1617 Oculis; a. 1623 di Naculis.

La forma slovena Nokula è un sostantivo plurale dialettale in -a. Di solito gli studiosi non si pronunciano sull'etimologia di questo toponimo limitandosi a scrivere: toponimo di origine oscura.

Io credo però che gli studiosi dovrebbero comunque rischiare di esprimere una loro interpretazione, se ce l'hanno, anche a costo di andare incontro a critiche in quanto le eventuali proposte interpretative potrebbero ispirare o spingere altri ad approfondire il discorso, altrimenti questi problemi non si risolveranno mai. Per questo motivo propongo una mia interpretazione di Nokula/Oculis, anche se a qualcuno sembrerà strana, fantastica o inverosimile, basandomi su una serie di constatazioni articolate.

A) Nella lingua friulana esiste il vocabolo " còcule " sf. (pl. Còculis) il frutto del Cocolàr (o nojàr); es. " Còcule noglòse " (noce malescia).

Confrontare anche la voce dialettale slovena delle valli del Natisone: " kokòc " (il frutto del noce) che convive con " orèh " ed è conosciuta soprattutto nei paesi del fondovalle; a Hlasta/Clastra e a Hostne/Costne esiste perfino il nome di famiglia (hišno ime): Kokoci.

Il tutto deriva dal greco: kòkkos (nocciolo, granello) mediato dal latino: còccum il quale ha prodotto il diminutivo del basso latino coccula, da cui il friulano còcule (frutto del noce) e cocolàr (l'albero del noce). Anche se c'è assonanza tra Oculis e Còculis non credo che il primo derivi dal secondo.

B) Il latino " nux " - nucis (= noce: albero e frutto del noce) è un vocabolo molto produttivo che ha dato origine a diverse voci passate poi nella lingua italiana e ovviamente anche in quella friulana; ad es. Nocciola (diminutivo di " nux ") = frutto del nocciolo; nòcciolo (da " nucleolus " che a sua volta è diminutivo di " nux ") = guscio legnoso contenente il seme di certe frutta; nòcca (ad es.: le nocche delle dita); nocèlla (l'osso del polso) ecc. Le voci latine prodotte da " nux " sono " nucellum " (terreno piantato ad alberi di noce), " nucarius " (aggettivo riferentesi all'albero del noce), " nucularius " (aggettivo che riguarda il frutto e la pianta del nocciolo). La mia attenzione è stata attratta da quest'ultimo aggettivo, del quale seguiamo la trasformazione nel friulano. " Nucularius" (leggi: nukularius) > nucular (friulano: noglàr); da " nucular " (albero del nocciolo) si traggono le *nucoIe o *nocule (pronuncia: nokule) che si sono trasformate nella lingua friulana in " lis nolis " (noccioline).

Per dimostrare questa trasformazione prendiamo ad esempio la voce latina: " panùculus o panùcula " che ritroviamo in friulano nella forma di " panòle " (pannocchia). Credo che Nokula/Oculis sia la forma " nokule " che è rimasta fossilizzata nel toponimo e pertanto non ha potuto seguire l'ulteriore trasformazione in " nòlis ".

Mentre la forma slovena Nokula ha conservato la forma romanza originaria, quella italiana (meglio, friulano) ha perso la N iniziale. Questa perdita si può spiegare nel contesto della frase " in Noculis " dove, per l'agglutinazione delle due n, si è poi prodotta la dissociazione della N da (N)oculis ed il toponimo è stato tramandato in questa ultima forma. Da notare che anche la forma Oculis, con la caratteristica desinenza friulana in -is, è un sostantivo plurale come la forma slovena Nokula.

(N)oculis o Nokula significa semplicemente: " noccioline " e possiamo considerarlo sinonimo di Koreda (" luogo ricco di noccioli ") che abbiamo già trattato su queste pagine.

C) E' necessario porre attenzione anche alla voce friulana " conòle " sf. (pl. Conòlis) nocella della mano, articolazione della mano con 1'avambraccio. Probabilmente " conole " deriva da " nocule " per semplice metatesi (nocule o nocole > conole; noculis o nocolis > conolis).

Nokula/Oculis si ricollega probabilmente al frutto o all'albero del nocciolo e possiamo considerarlo un relitto toponomastico di origine latina.

D) Dubito che la forma slovena Nokula (oppure Nonkula o Naukula) possa essere sorta dalla preposizione slovena " na " ± Oculis, nel significato di " a Oculis, su Oculis" in quanto mi sembra che le preposizioni attualmente usate: " v " e " iz" (v Nokulah, Iz Nokul) lo escludano (noi, infatti non andiamo " če na Nokula" ma " v Nokula ").

Può anche darsi che la N di Nokula non sia altro che una lettera con funzione prettamente funzionale, aggiunta dagli sloveni per pronunciare più agevolmente il nome Oculis. Può darsi, ma bisognerebbe dimostrarlo. Però è altrettanto probabile che Oculis abbia perso la lettera iniziale (N) dato che casi analoghi non sono proprio tanto rari (cfr. ad es. la forma italiana Obenetto che deriva certamente dalla forma slovena Dubenija e che ha perso la D iniziale).

Naturalmente non escludo che Nokula/Oculis possa essere un toponimo di origine preromana o che abbia un significato diverso da quello da me proposto. La mia proposta interpretativa vuole essere anche di stimolo per ricercare soluzioni diverse, che però devono avere una logica e siano sostenute da valide argomentazioni.

SPIETAR (San Pietro al Natisone)

"V Špietre, "iz Špietra ". Gli abitanti: "ŠPIETRIJC' ".

a. 1192 Ecclesia S. Petri de Algida cum capellis suis; a. 1296 Sanctus Petrus Sclavorum; a. 1368 Curam Sancti Petri inter Sclavonibus; 1457 Sancto Petro de Sclavonibus; a. 1601 San Pietro de Schiauoni; a. 1703 Lucas Cucauaz de Sancto Petro in Sclabonis; 1782 San Pietro de Schiavoni.

Nei libri dei battesimi, dei defunti e delle cresime, custoditi nei vari archivi parrocchiali delle Valli, troviamo annotata la espressione "Paroecia S. Petri Slavorum" fino al 1940 e in certi casi anche dopo questa data.

La denominazione ufficiale " San Pietro degli Slavi" fu cambiata nel 1867 in "San Pietro al Natisone" per "meschini interessi nazionalistici " (cfr. C. Desinan, Problemi di Toponomastica Friulana / Contributo II, pag. 186); eguale sorte toccò all'antico sigillo della parrocchia di san Pietro sul quale campeggiava la scritta "Ecclesia Sancti Petri Sclaborum "; l'antico sigillo sparì e fu sostituito con un timbro su cui campeggia la scritta " Chiesa o Parrocchia di "San Pietro al Natisone ".

Prima di commentare il toponimo Spietar voglio spiegare ai lettori che cosa significano in realtà le espressioni: " Slavi", "Schiauoni", "Sclàs", " gens Slavorum" (a. 780 circa in " Historia Langobardorum" di Paolo Diacono) riferite alla popolazione delle nostre Valli e annotate nei documenti antichi.

Nelle cronache degli scrittori occidentali greci e latini, che, a partire dal VI secolo, si occupano degli Slavi che erano apparsi sulla scena europea troviamo l'appellativo generico "Skiabenoi ", " Sclabi ", o slavi ". In quel tempo gli Slavi rappresentavano una entità culturale, linguistica ed etnica abbastanza omogenea e - non si erano ancora divisi negli attuali 11 popoli che parlano altrettante specifiche lingue slave e formano 11 entità nazionali distinte. Soprattutto coloro che da secoli vivevano a stretto contatto con gli Slavi (ad es. i Friulani e gli Italiani) hanno continuato a chiamarli col nome generico "Slavi ", " Sclàs " anche dopo che questi si erano trasformati ad es. in Sloveni e Croati.

Premesso questo si può allora facilmente arguire che "Riva degli Schiavoni" e "Chiesa di San Giorgio degli Schiavoni " a Venezia si riferiscono ai Croati della Dalmazia; infatti, dai documenti ufficiosi veneti si legge ad es.: " Sclavonia seu Dalmatia ".

Ecco un altro esempio: nel Molise (Italia merid.) esiste il paese di San Vito degli Schiavoni (poi cambiato in San Vito dei Normanni); che in questo caso Schiavoni significhi Croati è fuori di ogni dubbio, dato che in questa località si stanziarono, attorno al 1400 - 1500, gruppi di Croati i quali, incalzati dai Turchi, vennero in Italia attraverso il mare.

Allo stesso modo le espressioni " Schiavoni ", " Slavi ", " Schiavi ", " Sclàs ", " Sclavanie ", " Schiavonia" e " Slavia " riferite agli abitanti o al territorio delle Valli del Natisone significano: Sloveni o territorio in cui vivono gli Sloveni.

A sostegno di questa affermazione riporto alcuni esempi.

A) Nei verbali dei processi dell'inquisizione contro alcuni Sloveni delle Valli nel 1500 e 1600, custoditi nell'archivio arcivescovile di Udine, ricorre ad ogni piè sospinto la frase: " interrogatus respondit lingua sclabonica " (= Interrogato, rispose in lingua slovena); che si trattasse della lingua slovena e non di quella croata, bulgara, russa ecc. lo può arguire anche un bambino.

B) Il famoso manoscritto di Castelmonte (Starogorski Spomenik) pubblicato nel 1974 da Mons. Angelo Cracina e scritto verso il 1500 contiene il Padre nostro (" Oče naš"), l'Ave Maria (" Češčena si Marija ") e il Credo (" Jast verujo na Boga ") in lingua slovena. Il testo del Padre nostro è preceduto dalla frase per noi molto significativa "Oratio dominicalis sclauonice ".

Questa preghiera è scritta, senza alcuna ombra di dubbio, nel dialetto sloveno delle Valli e si ricollega ai manoscritti sloveni di Rateče e di Stična ed è praticamente la stessa che si usa tuttora in tutta la Slovenia e nelle Valli del Natisone. In questo caso " sciauonice " è sinonimo di "lingua slovena ".

C) Fra Alasia da Sommaripa, nato verso il 1578 a Sommariva in Piemonte e vissuto per lungo tempo a Duino/Aurisina presso Trieste è l'autore del " Vocabolario Italiano-Schiavo " (Udine, 1607); anche in questo caso il vocabolo Schiavo (= Slavo) significa " sloveno" dato che si tratta in realtà di un vocabolario italiano-sloveno.

Che gli sloveni delle Valli del Natisone abbiano coscienza di quello che sono e da dove provengono lo dimostra il nome stesso che si danno; quando essi dicono: " mi smo Sloviénj'" intendono dire " Noi siamo Sloveni " in quanto la parola Slovènj o Sloviénji non può avere, dal punto di vista etimologico, altro significato e gli appellativi " Slavi ", " Paleoslavi" ecc, sono pertanto falsi e anacronistici. E quando un abitante delle Valli dice: " Mi guormo po slovinsko " questa frase significa esattamente: " Noi parliamo in sloveno" perché " po slovinsko " non può avere altri significati e sfido chiunque a dimostrare il contrario e cioè che noi parliamo una lingua diversa dallo sloveno. Le parole, anche in sloveno, hanno dei riferimenti ben precisi e non si può cambiare o interpretare a proprio piacimento il significato oggettivo di un vocabolo; altrimenti entriamo nel campo della mistificazione.

Una controprova per sostenere che gli " Slavi" delle Valli del Natisone sono semplicemente " Sloveni " ci viene dal nome col quale noi chiamiamo i Friulani e il Friuli (rispettivamente: "Làhi" e "Laške "). " Vlahi" è il nome con cui gli Slavi chiamavano i coloni romani che avevano assoggettato nel corso delle loro invasioni e in seguito è passato ad indicare genericamente i popoli di origine latina ((V)lahi = popolazioni latine o neolatine); il popolo neolatino che, da 1300 anni, vive a stretto contatto con gli Sloveni della Benečija è quello friulano.

Gli Sloveni, che inizialmente non potevano percepire la differenza tra i vari popoli neolatini lo chiamarono col nome generico di " Lahi" (= latini o Romani) e con questo nome, che è tuttora vivo, noi indichiamo esclusivamente i " Friulani" mentre " Laške" è il territorio dove essi vivono.

Per gli Sloveni dell'interno invece "Lahi" sono gli Italiani, mentre per i Polacchi l'Italia è semplicemente: " Wlochi " (= Lahi); infine la " Valacchia " è un territorio della Romania abitato da popolazioni di origine latina.

Come gli Italiani e i Friulani chiamano tuttora gli Sloveni delle Valli del Natisone col termine generico di " Slavi " e " Sclàs " così gli Sloveni della Beneàčija chiamano con un nome altrettanto generico (Lahi = Latini) i Friulani.

Da tutte queste constatazioni possiamo trarre la conclusione che nelle Valli del Natisone non esistono " gli Slavi " che parlano " la lingua slava " ma vivono soltanto gli Sloveni che parlano un dialetto sloveno; allo stesso modo in Friuli attualmente non vivono i " latini " o i " romani " (= Lahi) anche se così vengono comunemente chiamati dagli Sloveni delle Valli ma soltanto Friulani che parlano una lingua neolatina propria (il ladino friulano).

Ma torniamo al toponimo Spietar / San Pietro degli Slavi, ora San Pietro al Natisone; l'appellativo " degli Slavi " significa: " degli Sloveni " come abbiamo or ora spiegato; la forma dialettale slovena Spietar deriva da Sent (= tedesco Sankt, latino Sanctus, italiano Santo) ± Peter. Di Sent, a causa della agglutinazione e della successiva riduzione, si è conservato solo l' S iniziale, il primo e di Peter si è dittonghizzato in ie mentre l' er finale si è trasformato regolarmente in ar (alla stregua di " moder " > " modar ").

Nelle Valli del Natisone riscontriamo diversi casi di abbinamento tra Sent e un agionimo (nome di un santo), fenomeno questo che si riscontra in tutta l'area slovena.

Cito alcuni esempi tra i più significativi, Sinčur o Senčur (it. San Guarzo), paese posto tra Cividale e Ponte San Quirino: deriva da Šent + Jur' = San Giorgio; in sloveno il t unito alla j produce regolarmente č. Go par Špas (denominazione antica di Landar / Antro) è sinonimo di Šémpas e di Santo Passo e significa: " San Silvestro I papa, il santo del "passaggio" dal vecchio al nuovo anno ", come ho già dimostrato precedentemente.

(Svet)Stuoblank (toponimo e parrocchia in comune di Drenchia / Dreka) deriva da Šent ± Bolvenk (San Volfango); (Svet) Šinklauž (Šent + Miklauž = Nicolò) presso Jajnich / Jagnjed. (Svet) Šintonih o Čintonih (Šent + Anton) a Merso San Leonardo. (Svet) Štandrež o Štandri (Šent + Andrej) a Cravero, (Svet) Štandrež (Šent + Andreas) a Stermizza e a Erbezzo. " Do par Škurinc' " (letteralmente: presso la chiesetta di San Quirino a San Pietro); Škurinac deriva da Šent + Kuirinac e la forma diminutiva dial. slovena Kuirinac si spiega col fatto che la menzionata chiesa di San Quirino, nei cui pressi si radunava l'Arrengo delle contrade di Merso e Antro, è davvero molto piccola.

Nei pressi della grotta di San Giovanni d'Antro (Svet Ivàn u Čelè) esiste il microtoponimo Štvàn (Šent + Ivan) e il torrente che scende dalla stessa grotta si chiama Štivanščak (Šent ± Ivàn + ščak).

E' interessante notare che gli Sloveni delle Valli del Natisone, dimenticando che nelle forme agglutinate e contratte (ad es. di Štandreš o di Šintonih) era già compreso l'aggettivo " santo ", hanno aggiunto loro un altro " svet " (santo) e così alcuni santi, di cui sopra, sono diventati doppiamente... santi.

Tra i numerosi toponimi dell'area slovena che si collegano con Špietar ne ricordiamo i più importanti: Šempeter pri Novi Gorici, Šempeter v Savinjski dolini (Slovenia) e Št. Peter (4 x) in Carinzia (Austria).
Božo Zuanella

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