Borovič

Kuo se ga zmisnen!
J živeu tapod Štefanovo lobjo: listje so ble njegà arjuhe, kajšan star žaki njegà kutra.
Pozime, kar j bluo narbuj mras, j klicu kakega pisà blizo sebè de ga ogreje.
Se nia maj prašavu kaj bluo, ki je, ki bo.
Kàr j paršluo, j paršluo: j bluo usè dobrò, maj slavo.
Kajšan krat samuo “nè dobrò”.
Nia brigalo.
Lobja j bla za ležat, ma sviet j biu njegà duom.
J bandrù po hostah, očì nimar odparte za zagledat an liep drien ol no lepò liesko.
Muj korlo za košé ol cajne plest.
Če j bluo j bluo; če nia bluo j bluo useglih.
Pa drug dan j bluo šluo lieuš.
Če je imeu potriebo popit an glaž, j prašu zagodà, priet ku j dielo nardiu, sude an judje so mu dal, zuok so viedli de koš ol cajna šigurno pride.

No jutro so ga ušafal otroc zaspanega za nimar tu negà ležo, ma se ga nieso ustrašli.
Borovič nie maj majdnegà prestrašu. Nanč martu.

Bòrovič

So se spregnile
rože
dol do tleh
tisto nuoč:
slana ih je umorila.

Tapod lobjo
Bòrovič j ležù
ku nimar polegnjen
na njegà listnjak.

Tisto jutro,
ku rožice,
kar sonce j ustajalo,
on nia ustù.

Otroc
so šli gledat
al in je spledu cajnce.

Cajnce so ble lepuo položene u rijo,
ma Bòrovič nia prasu
dvie palanke za nje,
je ostù spregnjen na listnjake ku rožice.

Otroc
so zastopil
de Bòrovič j šu u nebesa,
za plest košiče
an cajnčice
otročičan
gu Tamica.

Come lo ricordo!

Viveva sotto il capanno di Štefani: le foglie erano le sue lenzuola, qualche vecchio sacco la sua coltre.
D'inverno, quando faceva tanto freddo, chiamava a sé qualche cane perché lo scaldasse.
Non si chiedeva mai cosa è stato, cosa è , cosa sarà.
Ciò che giungeva, giungeva: era tutto buono, mai cattivo.
A volte solo “meno buono”.
Non importava.
Il capanno era per giacere, ma il mondo era la sua casa.
Gironzolava per i boschi, con gli occhi sempre aperti per adocchiare un bel corniolo o un bel nocciolo. Gli servivano per intrecciare le gerle e i cesti.
Se c'era, c'era, se non c'era era uguale. Il giorno dopo avrebbe avuto più fortuna.
Se aveva bisogno di bere un taglietto, chiedeva i soldi in anticipo, prima di fare il lavoro richiesto, e la gente glieli dava, perché sapeva che la gerla o il cesto sarebbero giunti di sicuro.

Una mattina lo hanno trovato i bambini addormentato per sempre sul suo giaciglio, ma non hanno preso paura.
Borovič non ha mai spaventato nessuno.
Nemmeno da morto.

A Borovič

Si sono piegate
le rose
fin per terra
quella notte:
la brina le ha tramortito.

Sotto il capanno
Borovič giaceva
sdraiato come sempre
sul suo giaciglio di foglie.

Quella mattina,
come le rose,
quando il sole levava
lui non si è alzato.

I bambini
sono andati a vedere
se avesse intrecciato i cestelli.

I cestelli erano ben disposti in fila,
ma Borovič non ha chiesto
due soldi per esse,
è rimasto curvo sulle foglie come le rose.

I bambini
hanno capito
che Borovič era andato in Paradiso
per intrecciare gerlette
e cestelli
ai bambinetti
nel limbo
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