La lingua

Dalla tesi di laurea di
Piero Bravin, Augusto Busnelli, Giulio Panzani
La lingua slava fu introdotta nel territorio friulano dai popoli che invasero questa zona compresa fra le Alpi Giulie e il Tagliamento nel VI secolo d.c.

Si trattava probabilmente di una lingua slava comune alle componenti locali della comunità, priva per ciò delle attuali differenziazioni dialettali, che rimase tale fino alla caduta dei Longobardi, in quanto esisteva la continuità di fatto con tutti i popoli slavi ad oriente.

Nemmeno il passaggio politico al Patriarcato di Aquileia impedì tale contatto verso Est con le popolazioni affini.

Al riguardo va osservato però che alcuni fattori culturali, quali l’annessione all’impero franco e la conseguente colonizzazione culturale germanica, da un lato, e la dipendenza ecclesiastica da Salisburgo e da Aquileia, dall’altro, avevano ormai formato la Slovenia vera e propria, ritagliandola da una Slavia meridionale più vasta. A Nord i tedeschi, ad Est gli ungheresi, ad Owest i friulani strinsero gli sloveni in una morsa etnica.

Un secondo dato, comune a tutti gli slavi — che dalla distruzione della nobiltà slovena nell’822 da parte dei Franchi sono costituiti esclusivamente di servi della gleba — é l’organizzazione vicinale dalla quale trarranno origine e sviluppo i comuni rurali.

Con l’annessione del Friuli alla repubblica veneta (1420) l’isolamento si accentua e si forma così la Slavia Veneta.

Fu Venezia infatti, per quanto intervenisse sulla comunità in modo “ rispettoso” al fine di proteggere i suoi confini orientali dell’impero, a provocare l’interruzione della perfetta continuità degli sloveni del Friuli con quelli dell’Isonzo e della Sava.

Ciò nonostante rimase ben radicata dovunque e a tutti i livelli la coscienza della diversità culturale e la capacità di organizzare questa diversità in espressione politica. Venezia infatti, pur favorendo la divisione politica, riconfermò il diritto degli sloveni veneti ad una gestione “autonoma” del potere locale, della amministrazione della giustizia e dell’uso della lingua in tutte le manifestazioni pubbliche.

Questi dati aquistano però significato se correlati alle scelte economiche della dominante, basate essenzialmente sulla rendita fondiaria.

“L’auto-tutela” rientra infatti sotto certi aspetti,nell’interesse di Venezia, nella misura in cui garantiva un certo ordine (vigilanza dei passi e in modo particolare per le epidemie, dagli abusi feudali ecc.) e facilitava o meglio permetteva la riscossione fiscale in un’area che, a detta dei rappresentanti veneziani in terraferma, si configurava ”povera e selvaggia” in cui si parlava un dialetto incomprensibile.

Al riguardo si osserva uno sviluppo all’originale forma di organizzazione patriarcale. E’ del periodo veneto, infatti, l’introduzione dell’Arengo unito e delle Banche giudiziarie.

Con 1’800 e la conseguente ventata napoleonica, la Slavia veneta, dopo secoli di isolamento, entra a far parte assieme agli italiani, ai croati e agli sloveni delle cosiddette “Provincie Illiriche”.

La lingua slovena, che é ancora un insieme di dialetti, corre il rischio di perdere di significato a vantaggio del croato che vanta credenziali maggiori per diventare il dialetto unificatore di tutti gli slavi meridionali. A questo pericolo si oppongono alcuni slavi appoggiati dagli stessi francesi; nasce così il moderno nazionalismo sloveno che si sviluppa dalla matrice illirica.

Con il Congresso di Vienna (1815), questo potenziale momento comune di lotta viene reciso. Gli sloveni vengono allegati all’Austria la quale si guarda bene dall’unificarli, sia pure nel suo ambito.

La Slavia veneta viene annessa al Regno Lombardo-Veneto ed è di nuovo separata dalle terre dove si parla la stessa lingua nonchè dallo sviluppo del movimento nazionalista sloveno, il quale, uscito dal campo della cultura(’48/80-90) e divenuto l’aspirazione delle masse contadine ,riesce, già nel 1846, ad ottenere una prima vittoria con l’apertura delle prime scuole slovene. Ciò non avviene nella Slavia extraveneta dove le specifiche vicende storiche hanno portato da un lato al costituirsi di una classe di piccoli coltivatori poveri, dall’altro hanno innescato una forte emigrazione che, se nel periodo veneto manifestava fenomeni di temporaneità Verso-l’Est, con l’ ‘800 e successivamente si caratterizzerà come permanente.
(L’Austria, tra l’altro, abolisce ogni autonomia.)

Con il plebiscito del 1866 la Slavia Veneta venne a trovarsi inserita nello stato italiano. I neocittadini italiani di lingua slovena erano circa 35.000. Se il problema della minoranze slavo sembrava precoce, tuttavia sul piano di una strategie politica di sviluppo e quindi di esaltazione dei propri caratteri storici, oppure all'apporto di integrazione, doveva essere assolutamente affrontato. Dall’altra parte, esisteva per lo stato italiano la necessità di formulare un preciso programma accentratore e di controllo che doveva salvaguardare gli interessi della borghesie imprenditoriale, mercantile e finanziaria del nord, nonchè gli interessi del latifondo nel sud, sui quali trovava l’appoggio indispensabile per affrontare i problemi più immediati: l’unificazione reale del paese attraverso l’alfabetizzazione di massa, le lunghissime ferme militari, costruzione di una efficiente rete burocratico-amministrativa a carattere piramidale, strutturazione delle comunicazioni ecc.
La Slavia Veneta doveva adempiere inoltre, per la sua posizione geografica, ad una funzione di guardia ai confini e di base per eventuali disegni espansionistici dell’Italia. In questa logica va ascritta la conquista delle terre irredente a seguito del primo conflitto rnondiale.
Riallecciandoci alle vicende del movimento nazionaliste sloveno bisogna dire che ”l’essenza di una forte borghesie e di una classe di grandi proprietari di terra sloveni dette al movimento quel carattere popolare e unito, “superiore alle clessi”, che è ancore oggi l’ideale del nazionalismo piccolo borghese.
In realtà. il movimento nazionale sloveno ebbe un contenuto di classe in quanto fu l’espressione della lotta dei contadini e della piccola borghesia contro la grande borghesie e i grandi prøprietari di terra tedeschi nell’interno, e, nelle provincie del litorale, contro la borghesia italiana, la quale dominava la regione economicamente e anche politicamente.
Lo sviluppo del capitalismo e la formazione di una industria, per quanto asservite in gran parte al capitale staniero, accentuarono il movimento nazionale, ma provocarono nel seno di esso una prima diffurenziazione, che si manifestò con le formazione di un movimento organizzato liberale e di un movimento organizzato cattolico. Il primo si appoggiava prevalentemente alla piccola borghesia di città, nazionalista con tendenze capitallatiche, il secondo ai appoggiava alle masse rurali.

Una seconde differenziazione fu provocate dallo sviluppo del movimento operaio”. (1)
Nella Slavia Veneta questi dìnamismi sociali, evidentemente, non potevano influire se non di riflesso. Nei territori sloveni e nel litorale stesso - in cui la vita sociale e politica, dopo uno sviluppo lento e pacifico, si sposta, come abbiamo già visto, obbiettivamente in un terreno rivoluzionario - si vede, infatti, ”il movimento operaio sloveno non porsi il compito di diventare l’elemento dirigente della popolazione slovena: la guerra porta lo scompiglio in tutti i partiti sloveni i quali si uniscono attorno ella bandiera imperiale.” (2)

(1) Schema di una piattaforma per l’azione politica delle organizzazioni comuniste delle Venezia Giulia.
“Lo stato operaio” 1930 - Feltrinelli reprint-pag.516.

(2) Il movimento di liberazione dei contadini sloveni.
“Lo stato operaio” 1927—Feltrinelli reprint-pag. 829.
Vedi “l’italianizzazione della colonia slava”

Sfasciatosi l’impero Austro-Ungarico, i dirigenti il movimento nazionale sloveno subirono l’attrazione della borghesia serba, (525.000 tra sloveni e croati), mentre le provincie litoranee venivano occupate dall’Italia.
Ciò provocò un distacco assai profondo di essi dallo masse, le quali, dalle due parti della frontiera, si orientavano verso i partiti estremi, particolarmente verso il partito comunistea... il partito comunista d’Italia diventò così un partito di massa, il solo partito rivoluzionario di massa della Venezia Giu1ia. (3)
Il compito fondamentale che il P.C.I. si pose in questa regione fu quello di riuscire a realizzare l’alleanza politica tra il movimento nazionale delle popolazioni slovene e croate oppresse e il movimento rivoluzionario di classe del proletariato italiano contro il fascismo. Rivendicare perciò, innanzitutto, il diritto di queste popolazioni all’auto-decisione realizzabile attraverso, non inutili questioni di confine, ma, la lotta rivoluzionaria contro le dittatura fascista e Jugoslava.

Il fascismo, infetti, ne aveva aggravato le condizione sia de un punto di vista economico (l’area veniva staccata dal suo retroterra), sia da un punto di vista culturale (scioglimento di tutte le organizzazioni: scuola, giornali, circoli ecc.).

“L’offensiva contro la classe operaia e la oppressione nazionale sono però ben lungi dall’essere prerogative del regime fasciata. Esse si iniziarono e giunsero ad un grado assai intenso già sotto i governi democratici. Il fascismo non fece altro che completare, perfezionare, applicare al cento per cento il pieno di reazione anti operaia e di snazionalizzazione tracciato dagli stessi governi democratici. Il fatto deve essere tenuto presente perché indica chiaramente quali sono le basi della dominazione italiana nella Venezia Giulia. Questa dominazione..., è una pedina per l’intervento più deciso dell’Italia nelle politica mediterranea.(4) (5) Ibidem 1930 pag. 517 (4) Ibidem 1930 pag.518

Tale politica repressiva non mutò la situazione della Slavia ex Veneta già spossessata di ogni identità e anche nel momento in cui la lotta partigiana vedeva impegnati gli sloveni in prima persona, solo in maniera ridotta vi contribuisce.
A1 riguardo:
“Nella Benecia già nel maggio 1945 aveva compiuta una marcia (”pohod’) la neo costituita brigate Siimon Gregorcic... Scopo delle spedizione, che durò più giorni.., era quello di far sentire la presenza partigiana slovena, di risvegliare nell’animo delle popolazioni il sentimento nazionale, di smuoverle dall’apatia e dall'attendismo, di stimolare un maggiore afflusso nelle file partigiane” e ancora nel 1944 “le “Gregorčičeva” e la “Bazoviška” compirono un nuovo “pohod” in Benecìa, fino a Pulfero, Canebola, Faedis, Torreano ecc.”
“Soltanto una aliquota della popolazione corrisponde una più o meno chiara coscienza nazionale slovena... nei più continua a prevalere il sentimento di appartenenza all'Italia. Si spiega anche cosi, di fronte a qualche comportamento di spavalderia e di prepotenza di qualche partigiano... di fronte a qualche requisizine forzosa e poi a qualche forzoso reclutamento nei battaglioni sloveni e a qualche grassazione compiuta da delinquenti comuni... il manifestarsi in altri strati - specie di tendenze moderata o conservatrice - della popolazione di una certa avversione verso il movimento partigiano in generale e verso quello sloveno in particolere’’.(5)
Le specifiche vicende storiche non potevano favorire le prese di coscienza e la partecipazione diretta di questa minoranza nazionale; problemi gravi od urgenti che nemmeno trent’anni di Repubblica hanno permesso di affrontare, bensi contribuito ad aggravare.

In conclusione, dopo questa analisi sintetica e limitata, quello che ci preme sottolineare è come la continua e sistematica negazione ad una propria identità, abbia generato, quasi, la vergogna di “essere diversi .
Alla domanda:”Voi, vi sentite slavi?”, risposta quasi risentita;”No, siamo italiani”. (5) L’incontro tre sloveni e italiani nelle lotta di liberazione”.
Atti del convegno di Pulfero 1974.

Attualmente, infatti, anche se il dialetto slavo viene ancora parlato, specie nelle valli interne e dai vecchi, predomina, naturalmente, la lingua e la cultura italiana: ciò non rappresenta un processo di crescita, bensì, una lenta e inevitabile perdita di ogni valore autoctono.

Al riguardo è calzante quanto G. Stalin afferma:

“... como si potrebbe distruggere la lingua esistente e creare, al posto suo, una lingua nuova.., senza apportare l’anarchia nelle vita sociale e senza provocare una minaccia di disgregazione per la società stessa?...

La lingua, ... è immediatamente connessa con la civiltà produttiva dell’uomo, e non soltanto..., bensì con ogni altra attività dell’uomo in tutte le sfere del suo lavoro, dalle produzione alla base, dalla base alle sovrastruttura...” (6)

(6) G. Stalin - “Il marxismo e la linguistica - pag.26/27 - Feltrinelli
Piero Bravin, Augusto Busnelli, Giulio Panzani
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