MATAJUR

Il Matajur è il monte più significativo delle Valli; ne è il simbolo! Visitarlo diventa un obbligo. E' eccezionale dal punto di vista floristico per la sua ricchezza e anche per la presenza di essenze altrove assenti alle sue quote.

Salita al Matajur da Loch di Pulfero

Tutte le Valli e Matajur da Castelmonte
Tutte le Valli e Matajur da Castelmonte
Matajur dal Karkos
Matajur dal Karkos
Matajur con Rodda e Mersino
Matajur con Rodda e Mersino
Il Matajur è certamente il monte più interessante di tutte le nostre Valli nonostante la sua modesta altezza (1643 m). E' il più probabile fra i monti che re Alboino, come racconta Paolo Diacono, ha salito per contemplare di là l'Italia, meta delle sue imprese. Inoltre per la sua cima passa da secoli il confine politico, prima quello della Repubblica Veneta, poi quello del Regno d'Italia. E' anche il monte che da tanto tempo ha richiamato l'attenzione degli studiosi naturalisti soprattutto per la sua interessante flora.

Il Matajur è facilmente accessibile da ogni lato per la scarsa pendenza dei fianchi, rivestiti fino in vetta da boschi e prati: da Brischis, da Pulfero, da Loch, da Stupizza (Valle del Natisone), da Savogna (Valle dell'Aborna). Dalla sua cima si gode una splendida vista su tutte le Alpi e Prealpi Giulie e sulla pianura friulana e isontina.

Mersino

Per salire a piedi il monte dal fondo Valle la via più breve è quella che parte da Loch di Pulfero e passa per Mersino. Da Loch (189 m), un tempo, saliva un ripido sentiero, che in un'ora conduceva tra prati e castagneti a Mersino Basso. Ora si sale molto più comodamente in auto fino alla chiesa di S. Lorenzo.

Poco prima di arrivare a Mersino Basso, 592 m., il terreno si addolcisce.

Si possono vedere ancora i terrazzamenti che permettevano fino a pochi anni fa la coltivazione di prodotti alimentari come il frumento, la patata, il fagiolo, la rapa, la carota, il vino, in quantità sufficienti per quasi mille persone (tra Mersino Alto e Basso).

Tutte le famiglie coltivavano il frumento, mentre il mais era completamente assente; a differenza del fondo Valle, dove veniva coltivato soprattutto il mais e molto poco il frumento. Conoscendo le caratteristiche delle due piante ce ne possiamo dare una ragione: il frumento veniva seminato in autunno, infatti non gela; il mais a primavera inoltrata, in quanto molto sensibile alle gelate. A Mersino il mais, che pure era indispensabile per l'alimentazione di allora (la famosa polenta !), veniva procurato soprattutto tramite il baratto delle castagne con la pianura friulana.

Mersino è formato da diverse frazioncine: Juret e Marseu a Mersino Basso ; poi, salendo verso Mersino Alto: Pozzera, Bardo, Zorza, Medves, Oballa e Jerep. Tutti, eccetto Pozzera (= luogo dove scola l'acqua), sono cognomi. La corrente elettrica è arrivata a Mersino nel 1948, la strada bianca nel 1957, la strada asfaltata nel 1972.

Il primo fabbricato sulla destra, salendo, nel 1974 aveva ancora il tetto di paglia. Fino a poco tempo prima, tutte le case avevano il tetto di paglia. Teniamo presente che la copertura di paglia era una copertura ideale (se escludiamo il pericolo di incendio): isolava bene sia dal rigido freddo invernale che dal caldo estivo e anche dall'umidità, pur permettendo un'ottima ventilazione. Inoltre la materia prima, la paglia, veniva prodotta sul luogo in quanto il frumento veniva battuto a mano con una tecnica ben precisa che recuperava interamente gli steli; mentre le tegole si sarebbero dovute portare sulle spalle dal fondo Valle.

E' interessante notare il limite di coltivazione della vite. Questa infatti è coltivata fino alla borgata di Pozera (circa 640 m.); cessa improvvisamente poco prima di Mersino Alto, 765 m, dove è completamente assente anche nei campicelli proprio sotto il paese (circa 770 m). Ciò significa chiaramente che pochi metri più in alto di Pozera la vite non riesce più a maturare.

A Bardo notiamo degli stupendi e antichi esemplari di tèbuka, una qualità di pero. Producono peri da succo. Con questi peri veniva prodotto un vinello, il famoso sidro (tebukovac), che sopperiva, almeno in parte, la mancanza della vite, oppure un distillato (zganje) dallo squisitissimo profumo di pera. E' possibile salire in auto fino a S. Lorenzo, da dove si gode una bellissima vista sulla Valle da Robic fino a S. Quirino, sulla catena del monte Kanin, sulla conca di Montefosca, sulla catena dello Stol e, poco più a ovest, su quella di Musi.
Chiesa del Sacro Cuore a Mersino alto.Partenza da S. Lorenzo, percorso ideale.
Chiesa del Sacro Cuore a Mersino alto.Partenza da S. Lorenzo, percorso ideale.

San Lorenzo

S. Lorenzo, antica chiesa di Mersino Alto e Basso, era sicuramente un punto di osservazione specie durante le invasioni in quanto comunicava visivamente con la Valle di Caporetto, con la chiesetta di Biacis, di S. Canziano e di Castelmonte (altri punti di osservazione importanti).
San Lorenzo
San Lorenzo
Da qui si domina anche la Valle del Pradolino e del Bodrino.

S. Lorenzo è circondato da monti. Iniziando da sud-ovest: il Mladesiena (711 m), la Kraguenca (949 m), il Joanac (1168 m), il Vogu (= luogo del carbone, 1124 m.), il Mija (= confine, 1237 m.), la catena dello Stol e, dietro questa, quella del monte Canin col caratteristico monte Prestreljenik (monte Forato) Infatti si vede a occhio nudo il caratteristico foro.

Da S. Lorenzo, 859 m, si possono osservare tantissimi paesetti: tutti quelli della Valle del Natisone e inoltre Montefosca, Gorenja Vas, Robedischis in Slovenia, Rodda, ecc.

S. Lorenzo è ricco di fiori caratteristici come la Primula officinalis e la Primula auricola (orecchia d'orso) che amano terreni calcarei. Che il terreno sia calcareo lo vediamo spostandoci verso nord, dove osserviamo un vistoso fenomeno di erosione: un campo solcato (fascia calcarea di rocce) eroso per azione chimica dall'acqua meteorica. Questo fenomeno avviene in rocce calcaree quasi pure di carbonato di calcio (pressappoco a questa altezza nel fondovalle per molti anni è stata attiva una fornace di calce, che utilizza appunto pietre di carbonato di calcio), che diventa solubile in presenza di acqua arricchita di anidride carbonica.

Questo luogo ricorda un terribile episodio della Seconda Guerra Mondiale. Da queste rocce vennero fatti precipitare cinque soldati cosacchi, dopo essere stati torturati dai partigiani. La violenza da qualsiasi parte provenga, rimane sempre qualcosa di orribile e di inconcepibile.

Dopo aver ammirato ancora il paesaggio dalla sella di S. Lorenzo e in particolare il foro del monte Presteljenik, ci si può allacciare alla vecchia mulattiera, che da Jerep sale alle malghe. Si attraversa un boschetto di abeti e pini silvestri piantati nel primo dopoguerra, che, ci si accorge subito, non hanno trovato il loro habitat ideale. Notiamo, infatti, che la maggioranza di essi è sofferente, non riesce a crescere e ha le cime spezzate.

Salita al Nabruna

Iniziamo la salita del monte Nabruna.

Sul costone incontriamo i ruderi di un filo a sbalzo, che scendeva addirittura dalla malga alta alla borgata di Jerep.

I fili a sbalzo venivano molto usati, in quanto le distanze e le pendenze erano notevoli e quindi assai faticose per il trasporto sia del fieno che della legna. Subito dopo incontriamo un suggestivo Kazon in un boschetto di faggi, il kazon più vicino al paese.

Il territorio è carsico e continuerà ad esserlo fin quasi alle malghe superiori. Questo è un luogo ideale per i caprioli; specie a fine inverno, quando pascolano in branco, è facilissimo incontrarli.

La malga "Za Čela"

Ben presto si arriva alla malga Za Čela (1336 m). Luogo suggestivo! Perchè non approfittare per una breve merenda!

La malga Za Čela (= dietro le rocce) è un luogo caratteristico, carsico e perciò pietroso e adatto al pascolo. Il versante nord è ripidissimo e domina il valico di confine.

Tra queste rocce (dimora dei camosci), in una caverna naturale sgorga una delle pochissime sorgenti di questa zona. Tutta l'acqua di questo versante infatti si inabissa subito tra le rocce e sgorga solo a Valle nella ormai famosa sorgente dell'Arpit.

L'acqua per le mucche, come possiamo osservare, veniva raccolta dai tetti e conservata in cisterne di cemento ancora presenti.

Da ammirare la costruzione in blocchi di pietra lavorata della vecchia latteria: ogni blocco è stato scalpellato per ore ed ore fino ad assumere la dimensione e la forma desiderate.

Un tempo i kazoni erano costruiti in legno e tetto di paglia. Questa però è una zona molto soggetta ai fulmini, come testimonia un vecchio parafulmine posto sul cucuzzolo sopra la malga; perciò appena possibile i kazoni sono stati ricostruiti in muratura. La sabbia veniva prodotta sul luogo pestando i sassi col martello. Osservando i muri notiamo che la sabbia è ricchissima di cristalli di quarzo, infatti il quarzo, molto comune in questa zona, si presta ad essere sminuzzato in sabbia. La calce e, in seguito, il cemento venivano trasportati a spalle da Loch. L'attività della malga è cessata verso il 1970.
Architrave di un kazon
Architrave di un kazon
Rifocillati e soprattutto idratati, si può continuare a salire a salire la mulattiera. Lungo il sentiero ammiriamo un piccolo rampicante caratteristico e molto comune in questo punto: la Clematis montana. Poco sopra la malga, immersa nel bel verde di una faggeta, scopriamo una magnifica forra; vediamo anche una specie di letto del torrente che probabilmente in tempi lontanissimi ha eroso le rocce e provocato questa voragine.

Le malghe e la latteria

Saliamo ancora e giungiamo alla malga superiore.

Con difficoltà riusciamo ad immaginare la bellezza di un tempo di questo luogo! L'uomo e gli animali domestici rendevano famigliare questo posto pur immerso nella natura selvaggia. Sarebbe stato interessante riprendere con la telecamera (che naturalmente allora non esisteva) la vita estiva di questa malga e di quella posta più in basso. Tutti gli abitanti di Mersino si trasferivano quassù. In paese restavano soltanto gli invalidi e gli ammalati. Specialmente il mese di luglio e di agosto le malghe erano un luogo pieno di vitalità, di suoni, di canti, di richiami di ogni genere. I bambini e gli anziani pascolavano le mucche; gli uomini e le donne si dedicavano alla fienagione. Le ragazze alla sera si vestivano a festa, quando andavano a portare il latte in latteria.

Di latterie ce n'erano due: quella della malga Za Čela e questa più in alto della malga superiore, Tu Dolin (= nella valle, 1401 m.), che ora è stata trasformata in rifugio, gestito prima dal CAI di S. Pietro e attualmente dal Comune di Pulfero. Le latterie erano il luogo di ritrovo, il luogo del rilassamento, del divertimento: una vita per noi inimmaginabile, una vita a misura d'uomo, non di macchina com'è quella attuale.

Un laghetto e una fonte d'acqua fresca.

La mulattiera per un lungo tratto sale dolcemente, poi... incredibile , un laghetto!

Sopra il laghetto c'è una fonte d'acqua che lo alimenta.

E' opportuno osservare che a questa stessa quota (1400 m. ca.), anche se in zone molto diverse, ci sono altre due fonti : la fonte Skrila e la Tersica. Questa, con la quale ci rinfreschiamo, si chiama Tudolin (= nella valle). Come spieghiamo la presenza di queste tre fonti quasi in cima al monte (il Matajur è alto 1643 m) e come la presenza del laghetto?

C'è da osservare che fino a non molti anni fa c'era un laghetto (molto più piccolo) quasi in cima al Matajur, come ben testimonia la foto scattata nell'anno 1957. Ora questo laghetto è scomparso e quello più in basso contiene l'acqua soltanto nella stagione delle piogge, mentre anni addietro l'acqua era presente soprattutto nei mesi più caldi. E' evidente che i laghetti sono opera dell'uomo. L'acqua della sorgente veniva indirizzata nella parte più bassa di un avvallamento, che ogni anno veniva smaltato di argilla per renderlo impermeabile. Ecco spiegata la presenza dei laghetti!

La presenza dell'acqua alla stessa quota in tre punti diversi dovrebbe avere una spiegazione più o meno simile, solo che a impermeabilizzare il terreno non è stato l'uomo ma la natura.

Ardečje kamje - Un panorama stupendo!

Continuando il cammino si arriva alla sella. Il luogo, poco più in là, è chiamato Ardečje kamje (sassi rossi) proprio per la presenza di sassi (o terra) rossi. Il terreno è acido; ce ne accorgiamo dalla presenza del mirtillo, pianta che appunto ama il terreno acido e aborrisce il terreno calcareo. Come mai in una zona dall'aspetto carsico ci si imbatte in terreni acidi? Effettivamente ci si può accorgere con facilità dei rapidi passaggi da suoli basici a suoli acidi. Lo manifestano in maniera chiara e facilmente riscontrabile proprio le piante con la loro presenza o anche con la loro assenza.

Il posto è suggestivo (come tutte le selle), viene voglia di sedersi. Prima di salire verso la cima, ci si può abbassare leggermente per recarsi alla punta più a nord della nostra Valle, da dove si domina la conca di Caporetto. Uno spettacolo stupendo che merita la piccola fatica!

Tornati alla sella, ha inizio una bella salitina! Il luogo è chiamato Go za Babo.

Ai bambini, davanti una salita particolarmente ripida, veniva detto: - Te se zadene Baba ! - Ti salirà sulle spalle la Baba ! Nell'immaginazione del fanciullo la Baba era una brutta vecchiaccia che si divertiva a pesare smisuratamente sulle spalle dei bambini. Per la verità la Baba potrebbe essere anche qualche masso o qualche collinetta dall'aspetto di una Baba; da cui forse il nome del toponimo.

Comunque, se si vuol raggiungere la cima, si è costretti a salire con la Baba sulle spalle.

L'esposizione a nord-ovest favorisce la crescita di piante altrove assenti. Ci sono perfino piantine di stelle alpine. Perciò occhi aperti per ammirarle non certo per coglierle!

La cima del Matajur

Il panorama è davvero superbo! L'occhio in qualsiasi direzione spazia liberamente.
Veduta da Matajur su Stol e Kanin
Veduta da Matajur su Stol e Kanin
Le Valli dal Matajur
Le Valli dal Matajur
Il Krn dal Matajur
Il Krn dal Matajur
La pianura è visibile fino alla laguna e al mare. Essa è limitata a occidente dall'ultimo tratto del corso del Piave e dal gruppo del Cavallo e solcata dal Meduna, dal Cellina, dal Tagliamento, dal Torre, dal Natisone, dall'Isonzo. Oltre a diverse cime delle vicine catene prealpine (Quarnam, Ciampon, Musi, Montemaggiore, ecc.), si scorgono i gruppi del Canin e del Presteljenik, del Mangart, del Tricorno, dello Jalovec, del Krn e, verso oriente, l'altipiano di Ternova e, più lontano, il Carso di Trieste e dell'Istria.

La rosa dei venti posta sulla colonna della cima ci aiuta a individuare ciò che ci interessa.

A occidente, al di là delle Prealpi Carniche, spuntano alcune delle Dolomiti (Pelmo, Antelao, Cristallo).
Matajur da Ledina
Matajur da Ledina
Matajur da Ledina
Matajur da Ledina
Proprio sulla cima del monte ci sono i resti dell'antica cappella al Redentore, appena visibili. La foto testimonia il logorio delle intemperie (e delle guerre). La cima del Matajur è infatti zona prediletta dai fulmini.
Resti del monumento 1958
Resti del monumento 1958
Monumento al Redentore 1900
Monumento al Redentore 1900
La discesa può avvenire per altra strada, verso il rifugio Pelizzo.

A volere, aiutati dalla foto, possiamo scoprire il luogo preciso dov'era il laghetto. Bisogna prendere il sentiero verso il "Dom na Matajure". Poco sopra il rifugio, sulla sinistra del sentiero scendendo, s'intravvede un piccolo avvallamento, ora ricoperto d'erba. Lì c'era il laghetto!
Il laghetto quasi in cima 1957
Il laghetto quasi in cima 1957
Il versante, posto verso sud, è il luogo ideale per numerose piante da fiore tra le quali la pinguicola, una pianta insettivora e il Lilium Martagon, numeroso proprio sotto la cima.

I può operare una piccola puntatina alla freddissima acqua di fonte Skrila.
Korito a Skrila
Korito a Skrila
Con facilità e con soddisfazione si raggiunge il rifugio Pelizzo. Se si decide di pernottare a uno dei due rifugi, il tramonto e il calar della notte sono davvero suggestivi!

Si può anche chiedere al gestore del rifugio Pelizzo di vedere le bellissime diapositive sulla montagna.

Si dorme nell'unico stanzone del rifugio, nei letti a castello! Chi russa si porti le mollette da biancheria e si tappi il naso. Buonanotte!!!

La sveglia molto mattutina per i curiosi è d'obbligo: per veder sorgere il sole, mentre le Valli sono ancora quasi buie e per recarsi a osservare i camosci mentre fanno la prima colazione!

Per tornare a S. Lorenzo basta prendere il sentiero quasi pianeggiante giusto sopra il rifugio. In una ventina di minuti si è alla latteria delle malghe, pronti a rifare il percorso a ritroso.

I fiori del Matajur

Le pendici del Matajur sono una zona ricca di fiori; i prati ne erano ancora più ricchi quando erano ben curati e falciati.

Le sommità fino ai 1000 metri erano, il mese di maggio, ricoperte di narcisi; più in alto, appena si fondeva la neve, specie sui fianchi degli avvallamenti, fiorivano a migliaia le soldanelle e subito dopo i crocus; e così, via, via ogni mese dell'anno aveva una sua fioritura particolare anche quando l'erba era ormai alta. Ad esempio nella prima estate fioriva l'arnica, che tra l'altro per diversi anni nel primo dopoguerra venne molto raccolta dalla gente di Mersino e di Matajur perché commercializzata. Veniva esportata negli USA per ricavarne un medicamento.

Oggi, dato il degrado dei prati e l'avanzamento dei boschi e dei cespugli, certi fiori bisogna andare, per così dire, a cercarli col lumino.

Sopra il laghetto della malga superiore, a nord ovest, abbonda l'Alnus minor, l'ontano verde cespuglioso e prostrato: è l'ultimo rappresentante delle piante verso la cima del monte.

Il bosco

Due parole sul bosco per gli interessati. Il bosco non è soltanto una superficie coperta di alberi, è assai di più! E' un complesso vivo di piante ed animali, concatenato a causa ed effetto e retto da leggi proprie. Questi tre elementi, superficie-piante-animali, formano una grande unità. Sono ingranati uno nell'altro come le ruote dell'orologio e formano una inseparabile associazione vitale. L'uno non può vivere senza l'altro. In questa eterna circolazione si compie la vita del bosco.
Colori autunnali
Colori autunnali
Le piante del bosco prendono dal suolo le materie inorganiche e le trasformano in organiche (amido, albuminoidi, zucchero, grasso, ecc.). Queste servono da cibo agli animali erbivori. Gli animali carnivori si cibano di animali erbivori. Piante, erbivori e carnivori muoiono e le loro spoglie, costituite da materie organiche, vengono di nuovo trasformate in materie inorganiche dall'azione dei bacteri.

Nino Specogna

Realizzazione della pagina Nino Specogna
Questo sito, realizzato e finanziato interamente dai soci, è completamente independente ed amatoriale.
Chiunque può collaborare e fornire testi e immagini a proprio nome e a patto di rispettare le regole che trovate alla pagina della policy
Dedichiamo il sito a tutti i valligiani vicini e lontani di Pulfero, San Pietro al Natisone, Savogna, Stregna, Grimacco, San Leonardo, Drenchia, Prepotto e di tutte le frazioni e i paesi.
© 2000 - 2023 Associazione Lintver
via Ponteacco, 35 - 33049 San Pietro al Natisone - Udine
tel. +39 0432 727185 - specogna [at] alice [dot] it