La delimitazione dei confini tra Italia e Austria negli anni 1866 - 1867

L’Italia pretendeva dall’Austria il Trentino sulla base del principio di nazionalità.
Di esso, però, non tenne conto nella guerra diplomatica per la definizione del confine orientale del Veneto.
Nella seconda parte del suo studio sull’annessione del Veneto, del Friuli e della Slavia al Regno d’Italia nel 1866, lo storico del diritto Jaromir Beran affronta la questione della definizione dei confini tra Italia e Austria avvalendosi dei documenti del ministero per gli Affari esteri di Vienna, ma sicuramente, sottolinea, gli archivi italiani conservano materiale dello stesso valore.

Il confine occidentale della Valle dell’Isonzo conta già mezzo millennio di storia e va considerato — soprattutto per quanto riguarda il XVI e l’inizio del XIX secolo — nel più ampio contesto europeo. In questo studio, però, ci limiteremo al breve momento storico del burrascoso 1866, che fu come una scossa di terremoto.

Quando nell’aprile 1866 l’Italia decise di allearsi con la Prussia, stabilì pure le condizioni per il futuro il trattato di pace.
Nel secondo punto delle istruzioni del 9 marzo 1866 dettate al negoziatore (general Giuseppe Govone) l’Italia pretendeva dall’Austria non solo il Veneto ma tutti i territori abitati da italiani. Cercò di far valere questa richiesta il 5 e il 7 luglio 1866 come condizione per l’armistizio dopo la sconfitta dell’Austria sul fronte settentrionale.
Con tenacia e fino all’ultimo lottò avvalendosi dei cavilli della diplomazia per ottenere il Trentino ed arrivare quindi al confine linguistico (nella nota del 30. 7 inviata al governo francese si legge: «exelusivement aux populations italiennes»).
L’Italia sosteneva che si trattava della liberazione del territorio italiano sulla base del principio di nazionalità.

Di questo principio, però, non si tenne conto nella guerra diplomatica per il confine orientale del Veneto.
Nell’istruzione all’ambasciatore italiano a Parigi, il 29 luglio 1866 veniva sottolineato che i punti più importanti delle trattative dovevano essere l’annessione del Tridentino e lo spostamento del confine veneto sull’Isonzo.
Il 14 agosto 1866, quindi due giorni dopo l’armistizio, il ministro degli Affari esteri fa sapere all’ambasciatore che la concessione più desiderata e più importante da parte austriaca sarebbe stata la ratifica dei confini (rectification des frontieres) e che la parte italiana sarebbe stata pronta ad offrire una compensazione (des satisfaisantes).
Già il giorno prima della firma del trattato di pace con l’Austria, il 3 ottobre 1866, il plenipotenziario per le trattative, generale Luigi Federigo Menabrea, nella comunicazione al ministero degli Esteri si espresse per il confine lungo il corso dell’Isonzo o almeno per la linea lungo i corsi dei fiumi Judrio — Torre — Isonzo.

Qui non possiamo analizzare il faticoso lavoro della parte italiana nella triplice trattativa con Prussia, Francia ed Austria.
Dobbiamo, però, sottolineare che in nessuno dei testi diplomatici italiani veniva preso in considerazione il fatto che sul territorio occidentale del Litorale austriaco viveva da un millennio un altro popolo in maniera compatta e con un confine linguistico ben definito.
In questo territorio la linea di confine veniva cercata in base a criteri combinati in maniere diverse.

Già il 14 luglio 1866 l’imperatore francese offrì a Prussia e Austria le proprie proposte affinché su una precisa base politica si potesse pattuire l’armistizio.
Nel primo punto consigliava la conservazione dell’integrità territoriale dell’Austria, Veneto escluso. Durante i trattati a Mikulov del giorno 26 luglio 1866 la posizione della Prussia venne chiarita soprattutto in relazione al fatto che non avrebbe sostenuto l’Italia nelle sue pretese territoriali che andassero oltre il Veneto.
Questo è espressamente dichiarato nel punto uno del preliminare di quel giorno:
«L’unità territoriale della monarchia austriaca rimane intatta, eccezion fatta per il regno Lombardo — veneto…».
Si chiarì allora anche il punto di vista della Francia la quale si limitò a dichiarare di essere pronta ad offrire i suoi buoni servigi a entrambi i Paesi, nel caso ci sorgessero delle difficoltà sulla questione dei confini.

Per arrivare all’armistizio con l’Austria (25 luglio, 2 agosto, concluso il 12 agosto a Cormons) l’Italia, a proprio vantaggio, pretese che i due eserciti dovevano rimanere sulla linea in base al principio dell’uti possidetis anche perché il suo esercito era fino all’armistizio assestato su una striscia del Tirolo e un piccolo tratto del Goriziano.
L’Austria da parte sua considerava questa linea come pregiudiziale per le future decisioni sul confine nell’ambito del trattato di pace e dal 2 al 14 agosto fece ritornare le proprie truppe sul fronte veneto.

L’Italia, che iniziò a spostare il proprio esercito il 10 agosto, si arrese e accettò la linea di demarcazione che correva sul limite orientale del Veneto in modo che tutto il territorio degli sloveni della Benecija restò controllato dall’esercito austriaco.

1. La delimitazione dei confini degli anni 1866 — 1867 viene trattata in maniera chiara da G. Valussi: Il confine nordorientale d’Italia. Trieste, 1972, 115 — 121. V. Adami: Storia documentata dei confini del Regno d’Italia. Vol. IV. Confine italo — jugoslavo. Roma, Min. della guerra, Stato Maggiore, Ufficio Storico, 1931.
Giorgio Banchig
da DOM n. 18 - 2010
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