Un paese dalla ostinata volontà di unità

A Pegliano celebrata la festa del patrono S. Nicolò nella chiesa restaurata con il lavoro e il contributo della gente.
La chiesa è una testimonianza di amore, di tenacia, di bellezza.
Era da anni che a Pegliano, frazione del comune di Pulfero, non si celebrava la festa del patrono san Nicolò. 116 dicembre scorso la ricorrenza è stata ricordata con la santa messa, celebrata da p. Mario Vit S. I., presidente del Centro culturale «Veritas» di Trieste, che ci ha inviato le riflessioni che volentieri pubblichiamo.

San Nicolò di Bari nasce nell’Asia Minore intorno al 350, diventa vescovo di Mira, le sue spoglie nel 1097 vengono portate a Bari sottraendole al tentativo di trafugamento, la sua fama di taumaturgo si diffonde in tutta Europa, soprattutto nei Paesi slavi, fino alla Russia.

Dei suoi straordinari prodigi si ricorda la ricomposizione di tre fanciulli, fatti a pezzi da un uomo violento, e restituiti ai loro genitori e alla loro comunità.

La vita di san Nicolò è metafora della vita della comunità di Pegliano:
vita difficile, che ha conosciuto miseria, spopolamento, migrazione, frammentazione, dispersione ma anche ostinata volontà di unità.

La vita di san Nicolò è anche metafora della vita e della storia della chiesa di san Nicolò di Pegliano.
Costruita inizialmente nel 1370 in località strategicamente rilevante al tempo del grande patriarca di Aquileia Marquardo di Randek (1365-1381), sottoposta alla giurisdizione prima del Capitolo di Cividale poi della “parrocchiale di San Pietro de’ Schiavi”, appare, alla visita pastorale del canonico Missio nel 1602, pur nella sua modestia, «decente e ordinata».

Ma nel 1700 il tetto ha bisogno di intervento e il coro di rifacimento.
Nei decenni successivi tutto l’edificio risulta «cadente» e verso la metà del XIX secolo la comunità decide di costruire una nuova chiesa e in “luogo più comodo e centrale”.
Il nuovo edificio, sorto intorno agli anni ‘50, nel 1873 appare al visitatore «bellino e asciutto»; sulla soglia d’ingresso, inciso su lastra di pietra; sta scritto il monogramma della Compagnia di Gesù: LHS (Iesus Hominum Salvator, Gesù Salvatore degli Uomini).

Ma la storia travagliata della chiesa continua a causa dello spopolamento delle frazioni, delle contese del clero, della contrazione del servizio liturgico, del nuovo decentramento del luogo sacro. A segnarne apparentemente l’atto di morte, il terremoto del 1976.

«Ma dove è abbondata la morte è sovrabbondata la vita» (Rom 5,20).

L’ostinata, encomiabile volontà di conservare un patrimonio consegnato dai sacrifici e dalla fede dei padri ha trovato ancora una volta in alcuni (perché non ricordarne i nomi?) la determinazione di ricomporre «i pezzi» devastati dell’edificio.

E così via via, non con il prodigio del portento miracoloso, ma con la miracolosa forza della passione e del sacrificio, la chiesa è stata restaurata e resa antisismica, abbellita di nuove pitture, rifatti i due altari, ridipinti i suoi quadri:
agli occhi del visitatore, soprattutto se credente, l’edificio appare come testimonianza di amore, di tenacia e di bellezza.

Il Centro Culturale «Veritas» di Trieste, come segno di apprezzamento e di gratitudine per questa concreta testimonianza di solidarietà e di fede, ha voluto far dono alla chiesa di san Nicolò di una preziosa tovaglia per l’altare, sul quale le amorose ed esperte mani di un artigiano locale avevano collocato un nuovo leggio a reggere quella Parola che si è fatta carne per dare la vita, come veniva testimoniato dalla ricorrenza festosa che si celebrava per la conclusione dei lavori di ricostruzione/riqualificazione della vita della chiesa.

A significare che, sull’esempio di san Nicolò, la vita delle persone, delle comunità e anche dei manufatti può sempre rinascere quando si conserva nel cuore e nella volontà, il detto antico e sempre attuale:
«Che ne è di tuo fratello?» (Gn 4,9).
Mario Vit
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