La Slavia nella Julia

Il sacrificio di tanti nostri giovaninel battaglione Cividale e in altri reparti alpini
Ai tempi nostri, in cui viene pacificamente accettato il servizio militare sostitutivo (leggi obiezione di coscienza), in cui gli esperimenti nucleari a scopo militare da parte di alcune potenze vengono aspramente criticati nei massimi consessi mondiali, in cui gli appelli alla pace ed al pacifismo trovano sempre maggiori consensi fra le popolazioni del mondo intero, potrà sembrare strano il grande rumore sollevato e le reazioni manifestate in una piccola regione italiana, qual è il Friuli, contro lo scioglimento o ridimensionamento della brigata alpina Julia.

In base alle scelte operative dal Ministero della difesa, domenica 12 novembre, nel cor­tile della caserma Zucchi di Chiusaforte si è svolta la cerimonia di scioglimento della 15a compagnia Cividale appartenente alla Julia, una cerimonia che per molti è stata di mesti­zia, per altri occasione di rabbiosa reazione perché indice di possibili ulteriori trasferi­menti di reparti, che potrebbero portare, alla fme, alla soppressione della stessa brigata, friulana per antonomasia avendo essa come zona di reclutamento prevalentemente la nostra terra.

Nella Julia, in pace ed in guerra, si sono mescolati tanti giovani provenienti dai nostri paesi che hanno fraternizzato in momenti lieti e terribili, accomunati da tante prove, che hanno reso affetfivi i legami con il proprio reparto.

Il battaglione Cividale fu costituito nel 1909 e fu inquadrato nell’80 reggimento.
Par­tecipò alla prima guerra mondiale compiendo epiche gesta.
Il battaglione rientra a Cividale nel 21.
Inquadrato nella Julia, nel ‘39 parteci­pa
all’occupazione dell’Albania,
nel 41 alla campagna di Grecia,
l’anno seguente viene inviato sul fronte russo, dove sarà protagoni­sta di gesta drammatiche e viene disperso.
Pochi faranno ritorno da quella terribile pro­va.

Il battaglione è ricostituito nel 1948.
Nel 63 viene trasferito nella Caserma Zucchi di Chiusaforte, dove si è compiuto anche l’ulti­mo atto della sua lunga storia.



Gioverà ricordare che la compagnia Civi­dale, una volta battaglione, veniva reclutata quasi esclusivamente nelle nostre valli del Natisone ed assieme al battaglione Gemona, Tolmezzo e Feltre o l’Aquila, costituiva il famoso 80 reggimento alpini il cui motto friu­lano
«O la o rompi / O la va o la spacca»
motto passato poi al Tolmezzo dalla nappina bianca, risuonava dalle bocche dei nostri alpini durante i brevi ritorni al paese.
«Alpin io mame»,
dicevano i coscritti, orgogliosi di essere reclutati nel corpo;
«Fuarce Cividat»
risuonava il motto del battaglione con la nap­pina verde, colore della «verza», mentre «pomodoro» era detto il rosso della nappina del Gemona dal motto
«Mai daur / mai indie­tro». Accanto ai battaglioni alpini c’erano i quattro gruppi di artiglieria da montagna, il non plus ultra della nostra gioventù per staz­za, statura e forza fisica, capaci di trasportare lungo impervi sentieri di montagna o scalan­do pareti di roccia il carico della bocca da fuoco, del supporto, dello scudo e delle munizioni facenti parte del pezzo di artiglieria.
In questi gruppi militavano parecchi nostri robu­sti montanari, che si comportavano aderenti al motto del gruppo Udine
«tire e tàs / tira e taci»
oppure nel gruppo Osoppo dal motto meno imperativo
«Anin varia furtune / andia­mo, avremo fortuna»,
od il Conegliano dal motto veneto
«Gnanca se moro / neanche se muoio»
o del Belluno,
«Bello e uno»,
oppure
«Fin che go flà / finchè respiro».

A nessuno purtroppo è venuto in mente che i nostri valorosi alpini di parlata slovena avrebbero meritato anche essi almeno un pic­colo motto nel loro, nel nostro dialetto, ma forse per certe mentalità sarebbe stato chiede­re troppo nonostante l’esempio piemontese dell’Aosta dal motto:
«Cacusta non cacusta, viva l’Austa».

Non sarebbe stato certamente di troppo se fosse stata tenuta presente l’evidenza della diversità della lingua usata dai i nostri soldati, che si esprimevano fra essi nel nostro dialet­to, e se fosse stato tenuto nella debita consi­derazione il loro contributo dato con serietà, lealtà, talvolta con autentico eroismo in qual­siasi operazione fossero stati essf impiegati.

I nostri paesani, oltre che in artiglieria montagna, erano particolarmente apprezzati come conducenti dei muli, grazie ai quali si sono salvati i pochi scampati dalla sacca del Don nell’inverno 42/43.
Per l’onestà e l’ubbi­dienza molti vennero pure prescelti dagli uffi­ciali quali portaordini / attendenti ed anche questo impiego di tono minore ha consentito la sopravvivenza di alcuni.

Molti nostri giovani, infme, specialmente nel secondo dopoguerra, in maggioranza maestri diplomati alle magistrali di San Pie­tro, hanno scelto per professione la vita mili­tare, raggiungendo in parecchi casi il grado di Ufficiali superiori, per terminare con il congedo, a livello di generali.

Sono essi i nostri amici e coetanei che hanno onorato la divisa indossata dimostrando che si può essere ottimi ufficiali senza rinnegare le proprie origini e la lingua materna.
Luciano Chiabudini
DOM 1995
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